Libro dei Proverbi
Libro dei Proverbi | |
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Miniatura dalla Bibbia carolingia foglio 188v, IX secolo | |
Sigla biblica | Pr |
Titolo originale | משלי (mishlè) |
Lingua originale | ebraico |
Il Libro dei Proverbi (in ebraico משלי, mishlè; in greco Παροιμίες, Paroimíes; in latino Prouerbia) è uno dei libri sapienziali dell'Antico Testamento, il più caratteristico della letteratura sapienziale d'Israele.
Esso non si presenta, a prima vista, come un libro di facile lettura: soprattutto nella parte centrale, infatti, è costituito da una raccolta di detti sparsi, per lo più a tema etico, molti dei quali sono molto distanti dal modo di vivere contemporaneo. Una prima caratteristica fondamentale dell'opera è quindi che essa è il libro della vita quotidiana, un testo che tratta gli aspetti più comuni e ordinari della vita umana, come la famiglia, il lavoro, il commercio, la vita nella società, ecc.
Il prologo del libro (1,1-9) presenta al lettore un aspetto di grande attualità, cioè il motivo stesso per cui è stato scritto il libro: per l'educazione dei giovani, attuata mediante un linguaggio persuasivo, che ha come obiettivo la vita stessa.
Genere letterario
La letteratura sapienziale dell'Oriente antico
Per approfondire, vedi la voce Sapienza extrabiblica |
La letteratura sapienziale ha trovato una ricca espressione in tutto l'Oriente antico. Lungo tutta la storia, l'Egitto ha prodotto scritti sapienziali. In Mesopotamia, a partire dall'epoca dei Sumeri, sono attestate composizioni di proverbi, favole, poemi sulla sofferenza del tipo del libro di Giobbe.
La sapienza mesopotamica penetrò anche in terra di Canaan:
- a Ras Shamra sono stati ritrovati testi sapienziali scritti in accadico;
- da ambiente di lingua aramaica proviene la Sapienza di Achikar, che è di origine assira ma è stata poi tradotta in numerose lingue dell'antichità.
Si tratta dunque di una "sapienza" internazionale. Non si caratterizza per una particolare preoccupazione religiosa; essa si esplicita piuttosto nel settore profano. Cerca di spiegare il destino degli individui, non attraverso una riflessione filosofica di tipo greco, ma traendo argomento dall'esperienza. Si tratta cioè di un'arte del ben vivere, con una nota di buona educazione. Insegna all'uomo a conformarsi all'ordine cosmico e intende dare il mezzo per essere felici e avere successo. Ma non sempre di fatto avviene così e le esperienze di fallimento giustificano il tono di pessimismo di certe opere sapienziali, sia egiziane che mesopotamiche.
La letteratura sapienziale di Israele
Per approfondire, vedi la voce Sapienza |
Israele ha conosciuto questo genere sapienziale. L'elogio più bello che la Bibbia ritiene di fare della sapienza di Salomone, è che essa superava quella dei figli dell'Oriente e quella dell'Egitto (1Re 5,10 ). I saggi arabi e idumei erano famosi (Ger 49,7 ; Bar 3,22-23 ; Abd 8 ). Giobbe e i tre saggi suoi amici vivono in Edom. L'autore di Tobia conosceva la sapienza di Achikar e 22,17-23,11 è strettamente dipendente dalle massime di Amenemope. Numerosi salmi sono attribuiti a Eman e a Etan, saggi di Canaan, secondo 1Re 5,11 . I Proverbi contengono le Parole di Agur (30,1-14) e le Parole di Lamuel (31,1-9), tutti e due originari di Massa, una tribù dell'Arabia settentrionale (Gen 25,14 ). Non desta dunque stupore che le prime opere sapienziali di Israele presentino strette somiglianze con opere analoghe dei popoli vicini: provengono infatti dai medesimi territori.
Le parti più antiche dei Proverbi non danno altro che precetti di sapienza umana. Se si eccettuano l'Ecclesiastico e la Sapienza, che sono gli scritti più recenti, i libri sapienziali non affrontano neppure i grandi temi dell'Antico Testamento: la legge, l'alleanza, l'elezione, la salvezza. I saggi di Israele non si preoccupano della storia e del futuro del loro popolo, la loro riflessione si sofferma sul destino individuale, analogamente ai fratelli d'Oriente. Ma il loro sguardo è illuminato da una luce superiore: quella della fede in YHWH. Al di là dell'origine comune e delle numerose somiglianze, questo riferimento essenziale determina, nella sapienza israelita, una fondamentale differenza che va sempre più accentuandosi con il progredire della rivelazione.
L'originalità della sapienza biblica non consiste quindi in una serie di principi assolutamente esclusivi ed introvabili in altre culture e correnti filosofiche, quanto piuttosto nel nesso che lega tali principi e norme con la fede. In altri termini, ciò che è veramente significativo e decisivo sotto il profilo sapienziale non è il fatto che gli enunciati della Bibbia possano rinvenirsi anche altrove, bensì il posto che essi vengono ad occupare all'interno della struttura spirituale della fede ebraica e la loro connessione con l'idea stessa di Dio.
L'opposizione sapienza-stoltezza diventa opposizione giustizia-iniquità, pietà-empietà. La vera sapienza è in realtà il timore di Dio; e il timore di Dio è la pietà. Se della sapienza orientale si può dire che è un umanesimo, della sapienza di Israele si potrebbe dire che è "umanesimo religioso".
Questa saggezza umana può dunque esercitarsi sia per il bene che per il male, e tale ambiguità giustifica i giudizi sfavorevoli pronunziati dai profeti contro i sapienti (cfr. Is 5,21; 29,14 ; Ger 8,9 ). Questo fatto dà ragione anche al perché ci sia voluto tanto tempo prima che si arrivasse a parlare di una sapienza di Dio, nonostante sia lui a donarla agli uomini e, già a Ugarit, la sapienza sia l'attributo del dio principale El. Solo a partire dagli scritti postesilici si parla di Dio come del solo sapiente e di una sapienza trascendente che l'uomo vede operante nella creazione, ma che resta inscrutabile (cfr. Gb 28; 38-39 ; Sir 1,1-10; 16,24-25; 39,12-13; 42,15-43 , ecc.).
Testo
Tutti gli studiosi moderni che hanno affrontato l'impresa della traduzione del libro dei Proverbi hanno dovuto superare delle difficoltà.
Il libro è stato scritto originariamente in ebraico e generalmente è ben conservato, anche se non mancano alcuni problemi testuali ed errori scribali. La versione greca (LXX) è molto interessante sia perché probabilmente traduce un testo ebraico diverso da quello che abbiamo oggi, sia per la teologia che i traduttori hanno voluto esprimere. Si tratta di una teologia influenzata dalla filosofia greca e molto attenta all'aspetto morale; chi ha tradotto mostra molto spesso di aver spiritualizzato i Proverbi, e nel complesso propone una teologia più ricca rispetto a quella del testo ebraico.
Autore, datazione, struttura
La raccolta è interamente posta sotto il patronato di Salomone, "figlio di Davide, re di Israele" (1,1), paternità che viene oggi considerata pseudoepigrafa. Salomone era famoso per aver posseduto buone capacità letterarie e di governo, e per essere stato l'autore di parecchie massime a carattere sapienziale. Qualificandolo come "figlio di Davide", il redattore finale sacralizzava un libro che per il suo contenuto poteva essere considerato un'opera semplicemente profana: Davide, infatti, era il portatore della promessa messianica, e grazie a questo fatto i Proverbi potevano essere ricuperati da parte di una teologia specificamente religiosa. Con la specificazione "re di Israele", il redattore faceva riferimento a una concezione comune a tutto l'Oriente Antico, secondo la quale la sapienza ha un'origine regale.
Gli studiosi discutono ancora se la sapienza di Israele sia sorta dalla sapienza popolare orale oppure provenga dalla cerchia di saggi che erano funzionari alla corte del re. Come mostrano alcuni paralleli coi proverbi di origine orientale, si può pensare che il detto a uno o due stichi sia sorto a livello popolare e solo successivamente sia stato tramandato oralmente. La stesura per iscritto di questi proverbi avvenne entro la cerchia dei sapienti di corte e nel contesto del tempio: in questi luoghi il materiale sapienziale è stato sistemato e organizzato secondo prospettive più ampie, e durante questa operazione sono state aggiunte anche nuove massime ed esortazioni.
Dopo una breve introduzione generale (1,2-7), che ne spiega il contenuto e ne giustifica il titolo, il libro presenta una raccolta di nove collezioni di diversa lunghezza, che si possono così distinguere:
- 1,8-9,18: contiene 10 esortazioni del padre educatore rivolte al suo discepolo ("figlio mio"). Le esortazioni sono intervallate da 3 interventi della Sapienza personificata, che prende direttamente la parola. Ad essa sarà opposto un antitipo, la Follia. La Sapienza si dice presente in Dio dall'eternità e opera insieme a lui nella creazione (soprattutto 8,22-31). Si può ipotizzare un'origine scritta entro la cerchia dei maestri di sapienza. È sicuramente tardivo; il suo contenuto e le sue relazioni letterarie con gli scritti posteriori all'esilio permettono di fissare la sua composizione tra il IV e il III secolo a. C., momento in cui anche l'opera ebbe la sua forma definitiva.
- 10,1-22,16: prima collezione salomonica contenente 376 proverbi che riguardano la vita morale. Qui troviamo ripetuto molto spesso il nome del Signore. Gli studiosi vi riconoscono la parte più antica della raccolta, che con buona approssimazione può essere datata, assieme alle altre sezioni del nucleo del libro (c. 10-29), prima dell'esilio.
- 22,17-24,22: prima collezione dei saggi: in essa troviamo una sezione molto simile alla sapienza egiziana e Amenemope e una satira dell'ubriachezza.
- 24,23-34: seconda collezione dei saggi, nella quale si nota un ritratto del pigro.
- 25-29: seconda collezione salomonica composta da 127 sentenze organizzate in distici regolari. I materiali qui raccolti sono forse ancora più antichi della prima collezione.
- 30,1-14: detti di Agur, saggio non israelita. La data della sezione è incerta, come anche per quelle successive (cc. 30-31).
- 30,15-33: raccolta di proverbi numerici. Sono organizzati secondo una raccolta progressiva del tipo x+1, procedimento che si trova anche nel primo capitolo del profeta Amos.
- 31,1-9: parole di Lemuel, altro saggio non israelita.
- 31,10-31: famoso poema alfabetico che celebra la donna di carattere ("poema della donna forte"). Sta alla fine come contrappunto del ritratto della Sapienza in 9,1-6.
Poiché molto probabilmente Sir 47,17 si riferisce a Pr 1,6 , la redazione finale dovrà essere collocata non più tardi del 190 a.C..
Posizione nel canone
Per quanto riguarda la posizione nel canone ebraico, esso è collocato tra il libro di Giobbe e il libro di Rut, all'interno della collezione detta degli Scritti. Il libro costituì, insieme al libro dei Salmi, il nucleo originario di questa raccolta, dopo che già si erano formate le parti più antiche della Torah e dei Profeti.
La paternità salomonica del libro fu il motivo per cui il libro dei Proverbi venne accolto nel canone della Scritture di Israele.
Temi
La domanda attorno alla quale si ordinano tutte le riflessioni che si trovano nel libro dei Proverbi può essere espressa con le parole del Qohelet: "Qual è il vantaggio che l'uomo trae da ogni suo sforzo?" (1,3). Mentre Qohelet, nel suo scetticismo, fa emergere la radicale inconsistenza di ogni sforzo umano, Proverbi dà una risposta positiva: la realizzazione dell'uomo e della storia è concretamente possibile. Da tale risposta si può allora tratteggiare nelle sue linee essenziale la visione della vita che ne deriva.
È possibile individuare nel libro alcuni temi di fondo:
- la concezione pratica ed esperienziale della sapienza e, allo stesso tempo, l'attenzione alla dimensione etica ed educativa, non priva di una forte connotazione religiosa;
- il ruolo centrale della teologia della creazione e quindi della presenza del Dio di Israele;
- una forte attenzione all'uomo e alla sua vita quotidiana, anche se la dimensione antropologica è sempre legata a una precisa visione teologica.
Analizziamo dettagliatamente i temi del libro.
Pragmatismo
La sapienza di Israele non nasce nell'ambito della magia o delle corti aristocratiche, come nel resto del mondo semitico, ma si presenta subito più desacralizzata e "democratica". Dio partecipa all'uomo, creato a sua immagine, e al mondo la sua razionalità proprio attraverso la sua azione creatrice. Tale sapienza si sviluppa nell'uomo attraverso una valorizzazione della sua cultura e delle realtà terrestri, evitando ogni rischio di dualismo.
Nei Proverbi si trova la convinzione che la tecnica, la politica e le stesse relazioni pubbliche sono frutto della sapienza: l'uomo di stato deve sapere distinguere il bene dal male, il vero dal falso.
La sapienza è quindi l'arte del vivere che si realizza in tutte le situazioni dell'esistenza, la ricchezza come la povertà, la gioia come la tristezza: essa è il più grande dono che l'uomo possiede, di fronte al quale tutte le altre realtà create impallidiscono.
In (16,1-9) si cerca di definire il saggio ponendolo in relazione a Dio e descrivendolo come un uomo che si rende ben conto del divario esistente tra la propria conoscenza e la sua volontà. Descritto così. Il saggio non è più colui che osserva fedelmente la legge mosaica, ma è l'uomo che ha imparato a formare il proprio pensiero e le proprie azioni alla luce dell'esperienza della vita, posta a confronto con Dio.
Attenzione ai dati fondamentali dell'umano
Dall'attenzione alla prassi emerge una figura di uomo incentrata non più sull'Israele ebraico ma sull'Adamo universale.
L'uomo è rappresentato alle prese con le domande fondamentali della sua vita: gli interrogativi filosofico-religiosi, in particolare la teodicea, quelli etici riguardanti i rapporti col prossimo, quelli sociali come il rapporto tra giustizia e politica.
Vi è anche una riflessione importante sulla libertà, che il sapiente vede come armonia che rende possibile l'equilibrio nel giudicare le cose del mondo.
Da questa antropologia dipende anche una visione nuova della società: il termine "prossimo", in particolare, che nella tradizione dei testi legislativi indicava un legame di sangue o almeno tribale, nel libro dei Proverbi assume un significato più vasto, fino a includere ogni uomo.
Ortoprassi più che ortodossia
L'antropologia così tratteggiata produce un'etica preoccupata soprattutto dell'ortoprassi più che dell'ortodossia teorica: l'oggetto primario della ricerca morale è il bene dell'uomo insieme a ciò che è bene agli occhi di Dio.
Nel libro dei Proverbi trova grande spazio la teoria della retribuzione: la morte e la sofferenza vengono presentate come le realtà che danno equilibrio alla storia dell'uomo, altrimenti tormentata e spesso ingiusta. Tutto l'arco della vita dell'uomo è racchiuso entro i due estremi della nascita e della morte: nonostante qualche intuizione, che rimane però solo simbolica, la morte e non l'immortalità rimane il vero giudice dell'uomo.
Tale visione che tenta di ridurre a schema una realtà molto più oscura e complessa verrà messa in crisi da Giobbe e Qohelet, ma già in Proverbi affiora l'esigenza di superare certe categorie troppo semplicistiche: la ricchezza non è sempre vista come segno della benedizione divina, ma può diventare anche segno di perversità e ingiustizia. Tuttavia, pur con queste correzioni, la scala dei valori dei Proverbi è ben radicata nella storia, è immanente.
Teologia
Da tale visione cosmologica e antropologica ne deriva l'immagine di un Dio a diretto contatto con la realtà in quanto creatore e garante del sistema retributivo. La teologia dei Proverbi è molto meno "jawhistica" di quella presente in altri settori della Bibbia, perché al centro di essa non vi è l'esperienza dell'elezione di Israele ma l'esistenza umana nella sua dimensione universale e quotidiana. Mentre la teologia ebraica classica era strutturata sugli interventi di Dio nella storia, in Proverbi la sapienza agisce nell'esistenza quotidiana, quasi in una dimensione atemporale. Mentre la teologia classica metteva al centro la Legge e i Profeti, la sapienza non si presenta mai esplicitamente come rivelazione: essa ha certamente i suoi precetti, che derivano però principalmente dall'esperienza di vita del sapiente, non da un intervento o una rivelazione di Dio. La teologia dei Proverbi, essendo a più diretto contatto con altre sapienze profane, si rivela più ecumenica ed è il tentativo di formulare con un linguaggio più universale i frutti di un'esperienza umana storica particolare.
In (10,1-3) viene messa in luce la stretta connessione che caratterizza tre temi fondamentali della sapienza dei Proverbi, il conoscere, l'agire e il credere. La sapienza consiste quindi nel sapere fare unità tra questi tre aspetti della vita, che, secondo alcuni, possono essere considerate le tre tappe fondamentali della teologia sapienziale dei Proverbi: la parte più antica sarebbe interessata dalla ricerca dell'ordine del mondo e quindi avrebbe un interesse cosmologico; in Pr 10-15 si troverebbero le tracce di un interesse antropologico e quindi etico; in 1-9 l'interesse teologico raggiungerebbe il suo culmine. In riferimento alla figura di Dio si deve riconoscere la centralità della teologia della creazione e quindi della ricerca di un ordine del mondo. Solo il riconoscimento dell'azione creatrice di Dio consente ai saggi dei Proverbi di comprendere la realtà e permette di leggere questo libro all'interno della fede di Israele, rivalutando in questo modo la dimensione religiosa del libro.
Il Nuovo Testamento fa largo uso del libro dei Proverbi, letti nella versione greca dei LXX. Un caso particolare è rappresentato dalla figura della sapienza personificata come compare in (1,20-33; 9,1-6) e in particolare in (8), figura che è alla base della presentazione della figura di Cristo nel prologo del Vangelo di Giovanni (1,1-18) e nella lettera ai Colossesi (1,15-20).
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