Conferimento del primato (Matteo)
Conferimento del primato (Matteo) | |
Pietro Perugino, Gesù Cristo consegna le chiavi a san Pietro (1481 - 1482), affresco; Città del Vaticano, Cappella Sistina | |
Passi biblici | Mt 16,17-19 |
Insegnamento - Messaggio teologico | |
Conferimento del primato a Pietro. | |
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Il testo di Mt 16,16-19 (traduzione Bibbia CEI 2008) |
16Rispose Simon Pietro: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente". 17E Gesù gli disse: "Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. 18E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. 19A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli". |
Il solenne conferimento del primato a Pietro è narrato nel Vangelo secondo Matteo (16,17-19).
Il brano di Matteo non ha paralleli diretti negli altri Vangeli; un insegnamento simile si trova però in Lc 22,31-32 e in Gv 21,15-17 .
Studio letterario
Canonicità
Qualcuno ha sostenuto che il brano è stato inserito tardivamente nel Vangelo secondo Matteo. Tale ipotesi non è sostenibile , data l'unanime testimonianza dei manoscritti più antichi. Esso va quindi ritenuto a tutti gli effetti parte del primo Vangelo.
Contesto
Il conferimento del primato fa seguito alla Confessione di Pietro, narrata subito prima (16,13-16), e presente anche negli altri sinottici (Mc 8,27-29 ; Lc 9,18-20 ).
Al brano segue l'ordine ai discepoli di non divulgare l'identità di Gesù (16,20).
Struttura del testo
La struttura del brano è perfetta, e può essere così articolata[4]:
- beatitudine o macarismo (v. Mt 16,17 )
- promessa e missione (v. Mt 16,18 )
- investitura (v. Mt 16,19 )
Il piccolo brano gioca su vari contrasti:
- terra - cielo
- carne e sangue (cfr. il riferimento a "la gente" del v. Mt 16,13 ) - il Padre dei cieli
- le forze di morte - la roccia su cui Gesù edifica la Chiesa
Genere letterario
Il genere letterario del brano è quello della dichiarazione-istituzione, e della catechesi solenne sul ruolo [[Chiesa|ecclesiale di Pietro[5].
Stile
Lo stile è solenne. Esso, e la teologia che lascia trasparire, sono riscontrate anche in altri passi dello stesso evangelista: 18,18-20;19,28;28,18-20.
Il brano riporta alcune espressioni caratteristiche: "bar-Jonah", "carne e sangue", "porte della morte", "chiavi del regno", "legare e sciogliere". Esse hanno carattere semitizzante, e si radicano nel linguaggio dell'Antico Testamento. Anche se non si ipotizza per esse un originale semitico-aramaico o una tradizione giudaico-palestinese soggiacente, è tuttavia certa la loro origine in ambiente giudeo-cristiano.
L'intonazione del passo è post-pasquale[6].
Storicità
Gli esegeti hanno espresso dubbi e perplessità circa l'autenticità, l'unità e l'origine storico-letteraria del brano, in base alle osservazioni stilistiche sullo stile matteano del brano e al fatto che nei racconti paralleli della confessione di Pietro di Marco (8,27-30) e di Luca (9,18-21) i versetti in questione non sono presenti.
L'analisi letteraria porta ad affermare che il brano è un ampliamento che l'evangelista Matteo ha realizzato sulla base del racconto di Marco della confessione di Pietro; Matteo avrebbe raccolto ed elaborato una tradizione petrina i cui echi si trovano in Lc 22,31-32 e in Gv 21,15-17 .
Sono state formulate varie ipotesi sulle circostanze originarie in cui Gesù ha pronunciato le parole del brano:
- Si tratterebbe delle parole storiche di Gesù a Pietro a Cesarea di Filippo; tale ipotesi non più sostenuta dagli esegeti[7].
- Il testo rifletterebbe un riflesso del discorso di Cristo a Pietro nella prima apparizione pasquale, menzionata in Lc 24,34 ; 1Cor 15,5 ; Gv 15-17 ; ma nel testo attuale non vi è nessun indizio evidente di apparizione o teofania pasquale. Tale ipotesi risulta essere in ribasso tra gli esegeti.
- Oscar Cullman suggerisce di collocare il brano nel contesto della passione di Gesù, nell'Ultima Cena, per analogia con Lc 22,31-32 . Si tratta di un'ipotesi precaria e senza alcun fondamento.
Sulla base del testo attuale è impossibile ricostruire la situazione in cui tale tradizione è maturata. Tale discussione sembra comunque irrilevante, tenendo conto della consueta tecnica letteraria di Matteo. Il fatto importante è che il passo riflette una precisa volontà di Gesù per l'istituzione della Chiesa, nella stessa linea del resto della tradizione neotestamentaria[8].
Esegesi
Le parole di Gesù a Pietro prendono spunto dalla sua professione di fede, ma ne dilatano l'orizzonte: esse annunciano il ruolo e il destino futuro del primo degli Apostoli.
Il macarismo (v. 17)
L'espressione si riallaccia all'inno di giubilo di Mt 11,25-27 : Dio si è compiaciuto di svelare ai "piccoli", per bocca di Pietro, la misteriosa identità di Gesù.
"Carne e sangue" è un'espressione biblica per indicare l'uomo nella sua debolezza e fragilità (Sir 14,18;17,26 ; Gv 1,13 ; 1Cor 15,50 ; Ef 6,12 ; Eb 2,14 ), e qui sta ad indicare le doti naturali: non è grazie ad esse, ma per rivelazione del Padre, che Pietro ha potuto conoscere l'identità del suo maestro. Le parole di Gesù sono cariche di tensione gioiosa per il dono fatto a Pietro.
Vi è un contrasto tra il Padre di Gesù e il padre di Simone-Pietro (Bariona, "figlio di Giona"[9]): la distanza è quella esistente tra Dio e l'uomo, tra il Creatore e la creatura; dal padre terreno Pietro riceve la fragilità umana, dal Padre del cielo la conoscenza ineffabile del mistero di Cristo, che solo Dio può comunicare: cfr. Mt 11,27 : "nessuno conosce il Figlio se non il Padre".
La promessa del primato (v. 18)
Il cambio del nome
L'imposizione di un nuovo nome designa, nella tradizione biblica, il conferimento di un incarico. Nell'Antico Testamento sono significativi i cambiamenti del nome di Abramo, costituito "padre di una moltitudine (Gen 17,5 ) e quello del nome di Giacobbe, che ha combattuto con Dio e gli uomini e ha vinto (Gen 32,29 ).
La roccia/pietra
A differenza del greco, nel quale "roccia" (petra) e "pietra" (petros: pezzo di roccia staccato) sono due termini distinti, il termine aramaico Kepha esprime i due significati; la frase di Gesù ha in aramaico un significato univoco: "Tu sei Roccia e su questa roccia io edificherò la mia Chiesa": Pietro, come primo ed esemplare discepolo di Gesù, che per l'iniziativa salvifica del Padre dei cieli riconosce l'identità di maestro, costituirà la salda roccia su cui Cristo eleverà il solido edificio della sua comunità.
Probabilmente il substrato veterotestamentario dell'affermazione è il passo di Is 28,16 ; è significativo anche il midrash su Is 51,1-2 , che afferma di Abramo: "Guardate, ho trovato una pietra, sulla quale potrò edificare e fondare il mondo". Nell'Antico Testamento comunque il termine roccia è riferito principalmente a YHWH (Dt 32,4.15.18 ; Sal 17,3;72,26;88,27;93,22 ; Is 17,10 ; Ab 1,12 ) e al Messia (Is 28,17 ; Dn 2,34-35 ; cfr. soprattutto Sal 117,22 , ripreso e interpretato più volte in chiave messianica nel Nuovo Testamento: Mt 21,42-44 ; Mc 12,10-11 ; Lc 20,17 ; Rm 9,33 ; 1Pt 2,4-8 ; 1Cor 3,11 ; Ef 2,20 ). Nella comunità di Qumran è attestata l'immagine della roccia per indicare la stabilità della comunità o la fiducia dei singoli, fondata su YHWH[10].
Nel Nuovo Testamento la funzione di "fondamento" (themélion, 1Cor 3,11 ) è attribuita a Cristo, che è detto anche "pietra angolare" (kehpalè gonías, Mt 21,42 ) e "chiave di volta" (agrogoniàios, Ef 2,20 ); ma anche gli apostoli sono chiamati "fondamento" (Ef 2,20 ; Ap 21,14 ): essi, come Pietro, sono le colonne, le fondamenta della Chiesa; ma a loro volta poggiano sull'unico fondamento, che è Cristo.
L'attributo di YHWH che è roccia è trasferito poi nel Nuovo Testamento anche a Cristo (At 4,11 ; Rm 9,33 ; 1Cor 10,4 ; 1Pt 2,4-7 ).
Nel nostro testo la "pietra", con l'annessa costruzione, è contrapposta al simbolo delle "porte di morte".
La Chiesa
Nei Vangeli il termine ekklesía ("Chiesa", nel senso di "convocazione") ricorre solo altre due volte, in un solo versetto, Mt 18,17 .
Il termine greco ekklesía deriva dal verbo greco ekkaléo ("convocare"), che sottolinea l'iniziativa di Dio[11].
Nei LXX il termine traduce per settanta volte il termine ebraico qahàl ("adunanza", "assemblea"[12]). Il sinonimo ebraico hedàh viene solitamente tradotto dai LXX con synagogé, che ha sostanzialmente lo stesso significato di ekklesía, ma i cristiani riservarono il termine ekklesía per la loro comunità, e usarono synagogé per quella giudaica. Quella che era la "Chiesa di YHWH o di Dio" diventa la Chiesa di Cristo, la comunità messianica della quale Pietro è costituito fondamento; non si tratta di un'assemblea locale come quella di Mt 18,17 , ma di quella comunità che prende il posto di Israele, e della quale entrano a far parte tutti quelli che riconoscono Gesù come Messia, Figlio del Dio vivente.
Le parole di Gesù costituiscono Pietro fondamento della Chiesa, che è resto santo di Is 6,13 , l'attuazione del popolo di Dio escatologico, aperto a tutte le genti (Mt 28,19-20 ).
Le porte degli inferi
L'espressione "porte della morte" può avere due significati:
- Può riferirsi simbolicamente alle potenze di morte; in questo caso la Chiesa è associata allo statuto del Messia, che ha già vinto la morte.
- Può designare le forze del male, rappresentate dall'avversario, che contrasta l'azione di Dio e la perseveranza dei credenti (Mt 13,19.39 ).
In entrambi i casi la promessa di Gesù garantisce alla sua comunità quella stabilità spirituale e storica che è ben simboleggiata dalla roccia, fondamento sul quale è costruita.
L'investitura (v. 19)
Il linguaggio biblico della consegna delle chiavi indica la trasmissione del potere, dell'autorità e della responsabilità, per il servizio del popolo di Dio (cfr. Is 22,22 ). In Ap 3,7 si dice che Cristo è "il Santo, il Verace, colui che ha la chiave di Davide".
Cristo, che ha il "potere sopra la morte e sopra gli inferi" (Ap 1,18 ), conferisce il medesimo potere a Pietro. Questi riceve un compito in relazione all'entrare nel regno.
L'espressione "legare e sciogliere" era corrente nel linguaggio giuridico giudaico, e significava il potere di "proibire e permettere", o di "condannare e assolvere". È discusso l'ambito di tale autorità.
L'evangelista Matteo riporta la critica di Gesù nei confronti dei responsabili giudei, scribi e farisei: essi, che hanno il compito di interpretare autorevolmente la legge di Mosè, sono incoerenti, perché "legano pesanti fardelli [..] ma loro non vogliono muoverli neanche con un dito" (23,2); tale passo è simile a 23,13), dove gli scribi e farisei chiudono il regno e non permettono agli altri di entrarvi, e un insegnamento simile si ritrova anche in Lc 11,52 . Il confronto del nostro brano con questi altri fa intuire quello che dovrebbe essere il compito di chi tiene le chiavi, ovvero di chi ha il potere di "legare e sciogliere": dare un'interpretazione autorevole della volontà di Dio per poter entrare nel Regno dei Cieli; questo è ciò che Gesù ha fatto, portando a compimento la Legge e i Profeti. Il compito dei discepoli è quindi quello di attuare e insegnare questa rivelazione della volontà di Dio, nella quale consiste la "superiore giustizia" che consente l'ingresso nel Regno (Mt 5,19-20 ; cfr. 7,21). Del resto, Cristo risorto, costituito nella pienezza dei suoi poteri, affida ai discepoli il compito di insegnare ad osservare tutto quello che egli ha comandato (Mt 28,20 . Abbiamo quindi una connotazione magisteriale del potere delle chiavi, in linea con il significato del legare-sciogliere.
L'espressione si riferisce senz'altro anche all'autorità disciplinare, con la possibilità di "escludere o di accogliere" nella comunità messianica.
Pietro è quindi il responsabile ultimo dell'evangelizzazione di tutte le nazioni, e anche della vita comunitaria della Chiesa. Ciò che egli "proibisce e permette" è ratificato in cielo da Dio stesso: la ragione di ciò sta nel fatto che Pietro insegna la volontà di Dio, rivelata dall'inviato definitivo, Gesù..
La tradizione della Chiesa del I secolo è unanime nel testimoniare questa funzione essenziale dell'apostolo Pietro nella comunità; essa è attestata nelle varie tradizioni neotestamentarie (cfr. Lc 22,31-32 ; At 1,15-26; 2,14.41 ; Gv 1,42;21,15-17 ; 1Cor 1,12 ; Gal 1,18;2,1-14 ; 1Pt 1,1;5,1-4 ).
Nella storia della Chiesa
I Padri della Chiesa e i teologi del Medio Evo hanno dato poca importanza a tale testo, e ciò nonostante il loro impegno per stabilire l'autorità della Chiesa di Roma.
Il brano in oggetto è divenuto una zona calda del dibattito e della ricerca esegetica nell'epoca moderna, a causa della controversia sul ruolo e sull'autorità del papa, messi in discussione dai riformatori.
Note | |
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Bibliografia | |
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Voci correlate | |