Feo Belcari
Feo Belcari Laico | |
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Età alla morte | 74 anni |
Nascita | Firenze 4 febbraio 1410 |
Morte | Firenze 16 agosto 1484 |
Sepoltura | Sacrestia della Basilica di Santa Croce (Firenze) |
Appartenenza | Arcidiocesi di Firenze |
Invito all'ascolto |
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Feo Belcari (o Alfeo o Maffeo) (Firenze, 4 febbraio 1410; † Firenze, 16 agosto 1484) è stato un poeta e compositore italiano, conosciuto ai nostri giorni soprattutto come autore di sacre rappresentazioni, delle quali fu il più prolifico esponente della scuola fiorentina quattrocentesca.
Biografia
Origini
Feo (diminutivo di Alfeo o anche di Moffeo), figlio di Feo di Coppo (Iacopo), apparteneva a una famiglia della buona nobiltà fiorentina. Ricevette una ottima educazione, anche se nulla sappiamo sulla sua formazione e sugli studi.
Intorno al 1435 si sposò con Angiolella di Tommaso di Gherardo della nobile famiglia dei Piaciti e con lei ebbe diversi figli fra cui Iacopo, padre di un altro Feo letterato e una femmina che nel 1453 si fece monaca col nome di Orsola nel Monastero del Paradiso [1].
Attività
Risale al 24 marzo 1436 un avvenimento della sua vita con data certa: il suo intervento alla funzione solenne della consacrazione della cattedrale di Firenze e la notizia proviene da un appunto autografo del Belcari su un libro di cartapecora intitolato Monti e Decime facente parte dell'archivio della Basilica di San Lorenzo (sul libro venivano annotati tutti i denari che il Capitolo di San Lorenzo aveva al Monte).
Questa notizia dimostra con certezza che il giovane Belcari, pur di nobile lignaggio e di agiato tenore di vita, avesse un lavoro come scrivano del Monte delle graticole[2], non perché avesse bisogno di mantenersi lavorando, ma perché la famiglia gli aveva insegnato l'orrore dell'ozio.
Cultura e devozione
Il giudizio di Bartolomeo Gamba | ||||||
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Fu un uomo retto e pio, preciso e onesto nel suo lavoro, devoto e assiduo nelle pratiche religiose e al contempo amante della letteratura e delle arti,
« | (...) con fama non meno d'eccellente dote d'ingegno, che di rara integrità di costumi » | |
(Giulio Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, 1722)
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Nel 1443 o 1444 volgarizzò il Prato spirituale, sesto libro delle Vite dei Ss. Padri[3].
Fu grande devoto di san Bernardino, cui dedicò una lauda e che cantò come inflessibile fustigatore dei vizi.
Nella basilica di Santa Croce, dove stava la tomba di famiglia, fece erigere nel 1453 un altare in onore della beata Umiliana de' Cerchi, con immagine della beata.
Fu anche un importante membro di una confraternita guidata dai Gesuati di Firenze, con diritto di confraternare ai capitoli gesuati.
In virtù di tale sua attività scrisse nel 1449 la Vita del Beato Giovanni Colombini da Siena Fondatore dell'Ordine de' Giesuati, con parte della vita d'alcuni altri de' Giesuati. Cosa molto divota e utile alla edificazione dell'anima.
La congregazione stava attraversando un periodo assai delicato e l'opera agiografica di Belcari venne in loro aiuto narrando la loro storia per recuperarne l'identità: all'interno, un forte fronte di opposizione stava spingendo per la clericalizzazione dei congregati e il loro accesso al sacerdozio; la questione era già stata oggetto di sentenza papale nel 1438, ma il diniego del pontefice ai ribelli non aveva risolto il problema. La Vita di Belcari insieme ad altri atti istituzionali della congregazione ebbero lo scopo di riaffermare anche nei fatti la legittimità dello stato non-sacerdotale dei fratres.
La Vita del Beato Giovanni Colombini fu ispirata al Prato fiorito che aveva tradotto tre anni prima. Dai ritratti di Belcari, emergono le figure dei primi Gesuati come di uomini profondamente mistici, avvezzi a vivere con il cuore molto vicino a Dio e a considerare le manifestazioni della grazia divina al pari delle esperienze della vita quotidiana.
Per la congregazione scrisse anche laude e drammi sacri.
I Gesuati fiorentini erano assai vicini ai Domenicani: Savonarola conosceva Belcari, o personalmente o tramite le sue opere e manifestò profonda stima e ammirazione per lui: trascrisse infatti molte liriche di Belcari nel Codice Borromeo (O anima cechata / Che non trovi riposo copiata) e nelle Postille al Breviario (Tuto sei dolce, Idio, Signor eterno) e in altre sue opere fece molte citazioni, soprattutto dall'Abramo e Isac.
Cariche pubbliche
Fu quindi uomo molto conosciuto in Firenze e tenuto in grande stima dai suoi concittadini, a servizio dei quali sostenne numerose onorevoli cariche:
- nel luglio-agosto 1455 sedette nel sommo magistrato (priore) dell'Arte della Lana
- nel 1451 e 1458 fu uno dei dodici Buonomini
- nel 1468 fu uno dei Sedici Confalonieri delle Compagnie del Popolo, una delle maggiori magistrature fiorentine.
La sua ottima reputazione e i servigi resi alla città gli guadagnarono numerosi encomi pubblici: nel libro degli statuti del Monte del 1482 si legge che, come capo scrivano dei libri del Monte del sette per cento, ebbe una altissima responsabilità, con molti scrivani sotto la sua direzione compreso il figlio Iacopo e con un emolumento più alto, proporzionato alla delicatezza del suo compito.
Frequentazioni artistiche
Nella Firenze del Quattrocento, fu assiduo frequentatore di molti artisti: fu amico di poeti e prosatori, come Tracolo da Rimini, Banco di Bencivenni, Giovanni de' Pilli, Mariotto Davanzati; fu poi in amicizia con i membri della famiglia Medici: Cosimo, i figli Piero (1416-1469) e Giovanni (1421-1463) e soprattutto del Magnifico Lorenzo, cui dedicò un sonetto e dal quale ne ricevette uno in affettuosa risposta.
Dopo la morte di Filippo Brunelleschi, scrisse una versione de La novella del Grasso legnajuolo : riscontrata col manoscritto e purgata da molti e gravissimi errori[4], avendone ricevuto il racconto corretto da molti artisti fiorentini (che a loro volta ne avevano appreso notizia diretta dal grande architetto), fra cui Michelozzo, Luca della Robbia, Antonio di Matteo dalle Porte, Andrea da san Gimignano, Antonio di Migliore Guidotti, Domenico di Michelino.
Morte
Morì il 16 agosto 1484 e fu tumulato nella sacrestia della chiesa di Santa Croce, nella tomba di famiglia.
In sua memoria fu composta da Girolamo Benivieni la Deploratoria per la morte di Feo Belcari, stampata nel 1519.
Le sue rime furono inserite nel vocabolario dell'Accademia della Crusca.
Opere
L'elenco seguente contiene le opere attribuite a Belcari dal libretto della Crusca[5]; la paternità di alcune è stata messa in discussione, specie da Bartolomeo Gamba[6] e Mario Marti[7].
- Sacre rappresentazioni
- Di Abram e d'Isac
- Dell'Annunziazione di Nostra Donna
- Di San Giovanni Battista quando andò nel deserto
- Di San Panuzio
- Dell'Ascensione
- Dell'Avvenimento dello Spirito Santo
- Come San Giorgio ferisce il Draco
- Stanze intermesse nella "Rappresentazione del Giudicio" che fece messer Antonio Araldo
- Opere in lingua volgare
- Vita del Beato Giovanni Colombini da Siena Fondatore dell'Ordine de' Giesuati, con parte della vita d'alcuni altri de' Giesuati. Cosa molto divota e utile alla edificazione dell'anima
- Volgarizzamento del Prato Spirituale
- Novella del grasso legnaiuolo
- Vita di Filippo di ser Brunellesco
- tre Lettere: alla figlia Orsola, a un amico, a Piero dì Pippo della Compagnia di San Geronimo di Pistoia
- Ricordo della consacrazione della Metropolitana (ovvero della cattedrale di Firenze)
- Volgarizzamento del Trattato di Riccardo di san Vittore dei quattro gradi della carità
- Alcune laude
- Opere in rima
- Istoria e vita di San Bernardino
- Sonetti
Le illustrazioni nella edizione del 1833
Note | |
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Bibliografia | |
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Voci correlate | |
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