San Bernardino Realino

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San Bernardino Realino, S.J.
Presbitero
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al secolo
battezzato
Santo
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San Bernardino Realino
Titolo
Incarichi attuali
Età alla morte 85 anni
Nascita Carpi
1º dicembre 1530
Morte Lecce
2 luglio 1616
Sepoltura
Appartenenza
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Vestizione [[]]
Professione religiosa Napolo, 1566
Ordinato diacono
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Ordinazione presbiterale 1567
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Incarichi ricoperti
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° vescovo di Roma
Elezione
al pontificato
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(per causa incerta o sconosciuta)
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pontificato
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Successore {{{successore}}}
Extra Anni di pontificato


Cardinali creazioni
Proclamazioni
Antipapi {{{antipapi}}}
Eventi

Iter verso la canonizzazione

Venerato da Chiesa cattolica
Venerabile il [[]]
Beatificazione 27 settembre 1895, da Leone XIII
Canonizzazione 22 giugno 1947, da Pio XII
Ricorrenza 2 luglio
Altre ricorrenze
Santuario principale Chiesa del Gesù di Lecce
Attributi
Devozioni particolari {{{devozioni}}}
Patrono di Lecce
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Incoronazione
Investitura
Predecessore
Erede
Successore
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Trattamento {{{trattamento}}}
Onorificenze
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Nomi postumi
Altri titoli
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Padre {{{padre}}}
Madre {{{madre}}}
Coniuge

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Consorte

Consorte di

Figli
Religione {{{religione}}}
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Collegamenti esterni
Scheda su santiebeati.it
Invito all'ascolto
Firma autografa
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Tutti-i-santi.jpgNel Martirologio Romano, 2 luglio, n. 8:
« A Lecce, san Bernardino Realino, sacerdote della Compagnia di Gesù, che rifulse per carità e bontà e, rigettati gli onori mondani, si dedicò alla cura pastorale dei prigionieri e degli infermi e al ministero della parola e della penitenza. »

San Bernardino Realino (Carpi, 1º dicembre 1530; † Lecce, 2 luglio 1616) è stato un presbitero italiano, appartenente alla Compagnia di Gesù. È stato proclamato santo da papa Pio XII nel 1947.

Biografia

Nascita e studi

Era il primogenito di Francesco, cavallerizzo maggiore delle principali corti dell'Italia settentrionale e di donna Elisabetta Bellentani; la figura paterna fu spesso assente, impegnata com'era a Mantova presso il suo signore Luigi Gonzaga, detto il Rodomonte: Bernardino crebbe, sotto la guida della mamma, pio, docile, garbato con tutti e caritatevole verso i poveri[1].

Fu avviato presto agli studi, in cui si dimostrò molto dotato. Nel 1546 fu mandato a studiare i classici greci e latini a Modena: là non gli mancarono insidie da parte dei cattivi compagni, ma seppe mantenersi casto.

Dopo tre anni, si trasferì a Bologna per lo studio della medicina e della filosofia. Fu assiduo alla chiesa di San Michele al Bosco e all'attiguo convento degli Olivetani dove un religioso, suo concittadino, si prese cura di lui come direttore spirituale.

L'incontro con Cloride

Allora non pensava alla vita religiosa. Un giorno, entrato in una chiesa, fu preso dalla casta bellezza di una giovane donna, Cloride e se ne innamorò. Per compiacerla sospese lo studio della medicina e si diede a quello della giurisprudenza con tanta intensità da ridursi a un solo pasto al giorno.

Il 3 giugno 1556 conseguì il titolo di dottore in utroque, ma non poté rientrare a Carpi perché esiliato dal suo duca ferrarese, Ercole II d'Este, in seguito a un colpo di spadino da lui inferto, in un impeto d'ira non represso, sulla fronte di un tal Giovanni G. Galli che, costituito arbitro in grossi interessi economici, li aveva ingiustamente attribuiti ai propri parenti ai danni dei Realino[1].

Gli incarichi di governo

Bernardino si rifugiò presso suo padre che, alla morte di Luigi Gonzaga, era passato al servizio del cardinale Cristoforo Madruzzo, succeduto nel 1545, per volere dell'imperatore Carlo V, al terribile Fernando Alvarez di Toledo, duca d'Alba, in qualità di luogotenente e governatore di Milano.

Passando per Pavia, il Realino aveva voluto sostarvi per conoscere san Carlo Borromeo, che si era iscritto all'Ateneo Ticinese per lo studio della filosofia e del diritto. Nominato cittadino milanese, il santo si accinse a governare con giustizia e onestà prima il comune di Felizzano e poi quello di Cassine, entrambi nel Monferrato, dopo aver esercitato per due anni l'ufficio di avvocato fiscale ad Alessandria[1].

La morte di Cloride

A Cassine lo raggiunse la notizia della morte della sua Cloride: dal dispiacere si ammalò e per un istante pensò persino al suicidio. Un po' di calma ritornò nella sua anima, addolorata e soggetta al pessimismo, col ricorso alla poesia e soprattutto alla preghiera.

Il 3 luglio 1561, mentre dopo aver assistito alla Messa se ne stava in camera pensando umilmente ai benefici di Dio e alla donna onestamente amata, ella gli apparve e lo rincuorò, additandogli il cielo[1].

Magistrato a Castelleone

In quel periodo il marchese di Pescara e del Vasto Ferdinando Francesco Davalos avendo bisogno di un magistrato di polso per il suo feudo di Castelleone (Cremona), devastato da matricolati lestofanti, si rivolse a Bernardino. Se a Felizzano e a Cassine il Realino fu riconosciuto da tutti per la benevolenza usata con tutti, l'alto senso della giustizia e l'illibata onestà nell'amministrazione del pubblico erario, a Castelleone meravigliò tutti con la sua santità.

L'ingresso nella Compagnia di Gesù

Gli evidenti miglioramenti apportati dal Realino a Castelleone, indussero il marchese di Pescara nel 1564 a designarlo suo uditore e luogotenente generale nei feudi che possedeva nel regno di Napoli.

Svolse quell'incarico con la sua solita onestà solamente per tre mesi, perché nell'udire predicare nella chiesa del Gesù Vecchio il padre gesuita Giambattista Carminata, decise di entrare nella Compagnia di Gesù, nonostante i suoi trentaquattro anni. Vi fu ricevuto e ammesso al noviziato dal provinciale padre Alfonso Salmerón, uno dei primi compagni del Loyola. Quando il maestro dei novizi gli significò che era ormai tempo di prepararsi al sacerdozio, egli gli rispose che avrebbe preferito rimanere semplice fratello coadiutore.

Nelle umili faccende di casa avrebbe avuto più tempo e più agio per meditare e pregare, ma i superiori non se la sentirono di defraudare le anime dell'opera di un uomo di così bell'ingegno. Il Realino studiò quindi filosofia nel secondo anno di noviziato e, dopo essere stato ammesso ai voti nel 1566 e al sacerdozio nel 1567, completò gli studi di teologia tra una occupazione e l'altra[1].

Appena insignito del sacerdozio fu prescelto come confessore e guida dei molti religiosi dell'Ordine. I suoi progressi nella perfezione religiosa dovettero esser molto rapidi se lo stesso san Francesco Borgia, terzo successore di sant'Ignazio nel governo dell'Ordine, lo prepose per due anni alla formazione dei novizi. Liberato da questo incarico padre Realino si diede al ministero apostolico. Non fu un grande predicatore ma incalcolabile fu il bene che egli fece dai vari pulpiti della città, a contatto delle claustrali alle quali dettò corsi di esercizi spirituali, dei carcerati, dei malati e persino degli schiavi ancora numerosi nelle città marinare fino alla sconfitta dei turchi a Lepanto del 1571[1].

Nei sette anni della sua permanenza a Napoli, anche gli alunni che frequentavano il Collegio dei gesuiti godettero della sua illuminata direzione spirituale. Per essi vederlo e acquistarne una illimitata fiducia, per l'alone di prudenza e di paternità che lo circondava, fu la stessa cosa. L'esempio era sempre la prima scuola dell'uomo di Dio, anche se lui si dichiararva miserabile e peccatore, sottoponendosi a dure penitenze con le quali estenuava il suo corpo[1].

Il tasferimento a Lecce

I napoletani cominciavano a benedire Dio per aver dato loro un religioso sempre pronto a confessare ovunque e a intraprendere tante opere di carità in casa e fuori, ma nel 1574 padre Realino ebbe l'ordine di partire alla volta di Lecce per dirigere una fondazione offerta alla Compagnia di Gesù, allo scopo di combattere l'ignoranza e la superstizione, molto diffuse nel popolo.

Tomba del Santo nella Chiesa del Gesù di Lecce

Vivendo alla giornata, secondo la generosità degli offerenti, il santo vigilò sulla costruzione della chiesa del Gesù, poi della casa professa e del collegio, sotto la direzione del provinciale padre Claudio Acquaviva. La chiesa fu consacrata il 27 ottobre 1577 e il collegio accolse i primi studenti nel 1580. Per 42 anni padre Realino ne fu l'anima. A lui accorsero i figli delle più scelte famiglie, a lui, come consigliere illuminato, si rivolsero i confratelli addetti alle scuole[1].

Nell'estate del 1616 si ammalò gravemente. I reggitori del Municipio gli resero visita chiedendogli di voler essere il protettore della città. Il moribondo acconsentì, tranquillo e lieto. D'altra parte era già amico, consigliere, soccorritore dei cittadini; era già loro patrono da più di quattro decenni, anche se non era leccese e nemmeno pugliese.

Culto

Dopo la sua morte si verificarono numerose guarigioni di ammalati che erano riusciti ad appropriarsi di qualche oggetto, che era stato a contatto con il suo corpo. Il Realino fu beatificato da Papa Leone XIII il 27 settembre 1895 e canonizzato da Papa Pio XII il 22 giugno 1947. Le sue reliquie sono oggi venerate a Lecce nella chiesa del Gesù. Prima erano custodite nella cappella del collegio della Sacra Famiglia, fondato da padre Nicodemo Argento per la gioventù studiosa e benestante.

Note
  1. 1,0 1,1 1,2 1,3 1,4 1,5 1,6 1,7 Guido Pettinati, I Santi canonizzati del giorno, Edizioni Segno, Udine, Vol. VII, 1991, p. 15-22.
Voci correlate
Collegamenti esterni