Libro della Sapienza

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Libro della Sapienza
Rep.Ceca Chrast MiniaturaCodexGigas Incipit-LibroSapienza XIII.jpg
Monastero benedettino di Podlažice, Miniatura dal Codex Gigas, Incipit del Libro della Sapienza (XIII secolo); Chrast (Repubblica Ceca)
Sigla biblica Sap
Titolo originale Σοφία Σολομώντος (sofía solomóntos, "sapienza di Salomone")
Altri titoli Sapienza di Salomone
Nazione [[]]
Lingua originale greco
Traduzione
Ambito culturale
Autore Anonimo
Note sull'autore
Pseudonimo
Serie
Collana
Editore
Datazione 50 a.C. ca.
Datazione italiana
Luogo edizione Alessandria d'Egitto
Numero di pagine
Genere
Ambientazione
Ambientazione Geografica
Ambientazione Storica

Personaggi principali:

Titoli dei racconti
Della serie {{{Serie}}}
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Note
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ID ISBN

Il Libro della Sapienza o Sapienza di Salomone o semplicemente Sapienza (greco Σοφία Σολομώντος, sofía solomóntos, "sapienza di Salomone"; latino Sapientia) è un testo contenuto nella Bibbia cristiana (Settanta e Vulgata) ma non accolto nella Bibbia ebraica (Tanakh). Come gli altri libri deuterocanonici è considerato ispirato nella tradizione cattolica e ortodossa, mentre la tradizione protestante lo considera apocrifo.

È scritto in greco e la sua redazione è ipotizzata ad Alessandria d'Egitto attorno circa 50 a.C., ad opera di un autore ignoto. La successiva tradizione cristiana lo ha pseudoepigraficamente attribuito al saggio re Salomone.

È composto da 19 capitoli con vari detti di genere sapienziale, con in particolare l'esaltazione della Sapienza divina personificata.

Testo

Il testo del libro della Sapienza è contenuto in quattro grandi manoscritti: B (Codex Vaticanus, IV secolo), S (Codex Sinaiticus, IV secolo), A (Codex Alexandrinus, V secolo) e C (Codice di Efrem, V secolo) e in numerosi manoscritti secondari. Il migliore è il B, che è servito di base alla presente traduzione e che di solito è indicato con l'espressione textus receptus. La sigla latina rappresenta la versione latina Itala, passata nella Vulgata ma non tradotta da Girolamo perché non riteneva il libro canonico, come fece anche col Siracide. La traduzione latina è precedente di almeno due secoli al manoscritto greco più antico che possediamo, il codice B: per questo risulta molto utile per la ricostruzione di passi particolarmente difficili.

Autore

Il libro si presenta come opera di Salomone, chiaramente indicato, escluso il nome, in 9,7-8.12; in greco il testo si intitola "Sapienza di Salomone". L'autore si esprime come un re (7,5; 8,9-15) e si rivolge ai re come a colleghi (1,1; 6,1-11,21). Di fatto però si tratta di un espediente letterario, per mettere questo scritto, come del resto l'Ecclesiaste o il Cantico dei Cantici, sotto il nome del più grande saggio d'Israele. Il libro è stato scritto tutto in greco, anche la prima parte (1-5), per la quale alcuni hanno supposto, a torto, un originale ebraico. L'unità della composizione è confermata dall'unità della lingua, che risulta flessibile e ricca, scorrevole e senza forzature nelle diverse forme della retorica.

Linguaggio ed interpretazioni

L'autore si rivolge in primo luogo agli ebrei, suoi compatrioti, la cui fede è scossa dal prestigio della civiltà alessandrina: lo splendore delle scuole filosofiche, lo sviluppo delle scienze, il richiamo delle religioni dei misteri, dell'astrologia, dell'ermetismo, oppure l'attrattiva dei culti popolari. L'uso di certi riguardi dimostra che ricerca anche l'ascolto dei pagani per portarli a Dio, colui che ama tutti gli uomini. Questo intento è però secondario; il libro risulta molto più un'opera di difesa che una iniziativa missionaria.

Sottolineati il luogo, la cultura e le intenzioni dell'autore, non meraviglia più che si rilevino nel libro numerosi contatti con il pensiero greco. La loro importanza non deve però essere esagerata. L'autore deve certamente alla sua formazione ellenistica un vocabolario astratto e una spigliatezza di ragionamento che assolutamente non permettono il lessico e la sintassi ebraica; esso gli dà, inoltre, un certo quantitativo di locuzioni filosofiche, di sistemi di classificazione e di temi di scuola; ma tutto ciò non significa ancora adesione a un sistema filosofico; serve solo a esprimere un pensiero che si nutre dell'Antico Testamento.

Contesto storico

Datazione

All’interno del libro si possono individuare una serie di indizi che inducono a datare il libro durante il principato di Ottaviano Augusto, cioè tra il 30 a.C. e il 14 d.C. L’argomento divenuto classico è la presenza, in (6,3), del termine kràtesis, “sovranità”, parola tecnica usata per indicare la conquista dell’Egitto da parte dei Romani nel 30 a.C.

Dialogo col mondo ellenistico

E’ facile scoprire nel libro chiari influssi provenienti dal mondo ellenistico. Oltre al genere letterario dell’encomio, l’influsso dell’ellenismo è molto forte a livello di vocabolario, soprattutto quello di matrice filosofica: non mancano infatti reminiscenze o vere e proprie citazioni di autori greci, soprattutto Platone e gli autori della tragedia. L’uso che l'autore fa dell’ellenismo è però ben più profondo: lo scopo del libro è quello di aiutare i giudei alessandrini a esprimere la loro fede in un contesto molto distante dalla loro cultura ebraica. Per fare questo, l’autore si serve di concetti filosofici, teologici e morali di matrice greca, ricorrendo anche all’antropologia platonica e persino a concezioni epicuree, come il concetto di incorruttibilità in (2,23-24).

Un esempio importante è il testo di (13,1-9), che tratta il tema della conoscenza naturale di Dio, ufficialmente formalizzato nella dottrina cattolica dal Concilio Vaticano I. Secondo l’autore la ricerca di Dio da parte dei filosofi greci, in particolare gli stoici, non è da disprezzare: il libro conferma la validità dell’argomento stoico – aristotelico che postula l’esistenza di Dio attraverso il passaggio dalle realtà materiali. Inoltre viene applicato per la prima volta alla conoscenza di Dio il principio logico dell’analogia di proporzionalità (13,5): pur rigettando il panteismo dei filosofi stoici, il libro prende sul serio il loro tentativo di cercare Dio.

Dialogo col mondo biblico

L’autore è un giudeo profondamente nutrito della tradizione di Israele e, in particolare, saldamente ancorato alla Scrittura. Nella prima parte (1-6) sono ben presenti le domande sollevate da Giobbe e da Qohelet sulla dottrina tradizionale della retribuzione: dov’è la giustizia di Dio, se il giusto soffre e muore, mentre l’empio sembra trionfare? La risposta del libro, cioè la felicità eterna dei giusti e la triste sorte dell’empio nel giudizio finale, nasce da una rilettura di (1-3): il progetto originario di Dio viene compreso in chiave di immortalità e incorruttibilità (1,14; 2,23-24). Nella seconda parte il punto di partenza è offerto da due testi classici della sapienza di Salomone, (3,5-15) e (1,7-12). Nella terza parte la descrizione delle piaghe d’Egitto segue da vicino il libro dell’Esodo, ma anche la rilettura già operata di questi testi da parte dei (78; 105; 107). Il libro della Sapienza appare così profondamente intessuto di riferimenti biblici che, per il fatto di non essere mai citati direttamente, lasciano al lettore la libertà di collocare ogni riferimento all’interno del suo contesto originale, riuscendo in tal modo a penetrare ancora più profondamente il senso della citazione.

Struttura letteraria

La maggior parte degli studiosi dividono il libro della Sapienza in tre grandi sezioni:

Prima parte: (1,1-6,25): il libro dell’escatologia. Questi primi sei capitoli sono dedicati all’annuncio del progetto di Dio per la vita futura dei giusti, contrastato dal progetto ostile degli empi, che tuttavia è destinato a fallire. Al centro di questa prima parte troviamo (3,1-4,20), dove vengono presentati quattro dittici antitetici che mettono in evidenza la diversa sorte che toccherà ai giusti e agli empi.

Seconda parte: (7-9): il libro della Sapienza propriamente detto. Dopo aver fatto l’elogio della Sapienza, garanzia dell’immortalità, cuore di questa sezione è la preghiera per ottenere il dono della sapienza. Il capitolo (9) costituisce il centro letterario dell’intero libro della Sapienza.

Terza parte: (10-19): il libro della storia. E’ concentrato su una riflessione relativa alla presenza della sapienza nel passato di Israele, che si apre al capitolo (10) e prosegue con sette antitesi in (11-19). La storia diventa fondamento dell’escatologia. In questa sezione i sette dittici antitetici presentano una riflessione sui fatti dell’Esodo in cui, alla punizione subita dagli egiziani – gli empi – si contrappone il premio concesso agli israeliti – i giusti - . Le antitesi sono interrotte dalla presenza di due importanti digressioni: la prima sulla filantropia divina (11,15-12,27), la seconda sull’idolatria (13-15).

La suddivisione generale del libro mostra di non seguire un preciso ordine logico: la parte relativa al futuro dovrebbe essere spostata all’ultimo posto, invece è all’inizio. A livello della macrostruttura passato, presente e futuro sono intrecciati in una sintesi ben realizzata: la speranza nel futuro è infatti la forza propulsiva della vita del giusto, ma, nello stesso tempo, è la storia passata la garanzia migliore di tale speranza. L’anello di congiunzione tra futuro e passato è la sapienza, che viene donata da Dio all’uomo nel presente della storia.

Un’analisi attenta del libro mostra la presenza di temi comuni che si ripetono per tutta l’opera, contribuendo a rafforzare l’idea di una solida unità letteraria del libro. Uno di questi temi è quello del cosmo, che svolge una funzione capitale in tutto il corso del libro; un altro fondamentale è quello della giustizia, che per alcuni autori costituisce addirittura l’asse portante dell’intera opera: la sapienza è il mezzo principale che Dio mette a disposizione dei governanti per imparare che cosa sia la giustizia. In questo senso alcuni autori hanno visto nell’opera un vero e proprio trattato di teologia politica.

Lo stile e il genere letterario

Lo stile del libro risente dell’influsso della cultura greca, e il vocabolario utilizzato è particolarmente ricercato, infatti 315 termini presenti nel libro non si trovano altrove nel testo greco della LXX. Si trovano anche degli hapax totius graecitatis, cioè delle parole che non ricorrono in nessun luogo della letteratura greca a noi conosciuta. Inoltre si trovano termini presi in prestito dal linguaggio filosofico corrente, in particolare lo stoicismo: ciò è segno che già a livello di vocabolario l’autore ha voluto tradurre il messaggio biblico in un contesto ellenistico. Lo stile è caratterizzato dalla bellezza della forma letteraria: la vicinanza alle forme espressive della poesia e della retorica greca rende il libro più seducente per i giudei di Alessandria di Egitto che si sentivano fortemente attratti dal mondo greco. In tal modo la grande tradizione di Israele veniva riproposta a questi lettori in una modalità espressiva a essi più congeniale.

Dopo lunghe discussioni gli autori vedono nel libro della Sapienza la presenza di un solo genere letterario. Secondo i canoni della retorica greca e romana si possono distinguere tre tipi di genere: quello forense, quello deliberativo e quello dimostrativo. Il primo è usato nei tribunali per stabilire la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato; il secondo ha come scopo quello di indicare che cosa si deve o non si deve fare; il terzo è descritto dai manuali di retorica classica, in particolare la Retorica di Aristotele e le opere di Cicerone e Quintiliano, e ha come scopo quello di tessere l’elogio di qualche virtù o di biasimare qualche vizio. Un’analisi attenta del testo rivela molti punti di contatto con questo genere dimostrativo altrimenti detto epidittico: l’elogio della virtù prescelta, la sapienza, che occupa i capitoli (7-9, è preceduto da un appello agli ascoltatori, una confutazione delle tesi degli avversari e una serie di esempi antitetici (1-6). Come nei trattati di retorica classica, l’autore del libro della Sapienza vuole convincere il lettore della bontà della sua tesi, ricorrendo anche a digressioni relative a temi apparentati a quello principale.

L’autore ricorre costantemente alla Scrittura, per cui il genere letterario dell’encomio si arricchisce con un procedimento tipico della letteratura giudaica: il midrash. Esso può essere definito come la ricerca del senso unitario della Scrittura che parte dalla convinzione che essa conservi una perenne attualità per i suoi lettori. Il commentatore deve proprio ricercare questa attualità e saperla calare nelle concrete situazioni di vita dei lettori. Il midrash ha quindi un tono popolare e omiletico. Proprio la fusione tra genere dimostrativo e genere midrashico è la caratteristica peculiare di questo libro: l’autore, pur rimanendo fedele alla tradizione biblica, è riuscito a esprimerla in un linguaggio accessibile ad ascoltatori fortemente influenzati da un contesto ellenistico.

Il libro della Sapienza e il Nuovo Testamento

Dopo un iniziale scetticismo in cui si negava che gli autori del Nuovo Testamento conoscessero il libro della Sapienza, oggi si tendono a sottolineare quegli indizi che potrebbero testimoniare un uso del libro della Sapienza da parte delle Sacre Scritture cristiane, in modo particolare da Paolo e da Giovanni.

Un testo teologicamente molto importante come 13,1-9 è sicuramente accostabile a Rm 1,19-32 ; inoltre è possibile confrontare la visione del paganesimo presente in Rm 1 con il punto di vista di 13-15. Il modo in cui Paolo rilegge gli avvenimento dell’Esodo in (10,1-4 è molto simile al metodo midrashico di (11-19.

Il Vangelo di Giovanni presenta maggiori e più importanti analogie: sia l’uno che l’altro testo sacro fanno uso delle vicende dell’Esodo per i segni operati dalla Sapienza e da Gesù Cristo; entrambi presentano i fatti storici anche come realtà simboliche, con significato spirituale ed escatologico. Le tenebre degli egiziani in (17,1-18,4 sono segno delle tenebre che avvolgeranno gli empi nell’Ade, mentre la guarigione del cieco nato in (9 è segno di una più profonda cecità, di carattere spirituale, dei farisei; la luce che illumina il mondo (17,20 è la luce della Legge, così come Gesù stesso è la luce del mondo (8,12. E’ dunque legittimo fare l’ipotesi che il Vangelo di Giovanni abbia conosciuto e utilizzato il libro della Sapienza.

Temi teologici

La dottrina dell’immortalità

Nella prima sezione dell’opera, ma anche in numerosi spunti disseminati in altre sue parti, si giunge a una chiara formulazione della dottrina dell’immortalità, che si è fatta strada con un lento processo di formazione nella storia di Israele e che viene certamente favorita dagli influssi platonici che determinarono il pensiero dell’autore. Essa è però un dono di Dio, non il risultato di una deduzione metafisica dalla spiritualità dell’anima come avviene nel Fedone di Platone. Essa si può descrivere come una comunione piena con Dio, come pieno sviluppo e compimento di quella intimità con Dio che il giusto sperimenta già nella sua vita terrena. Questa dottrina dell’immortalità in senso positivo e negativo è presentata soprattutto in (3-4), utilizzando lo schema letterario dei dittici antitetici, in cui a una scena luminosa che presenta il destino beato dei giusti si contrappone una scena oscura che descrive la sorte infelice degli empi. Il capitolo (5) è invece una grande scena di autogiudizio delle anime: il rimorso della coscienza rimane nell’aldilà come punizione per gli empi e alla fine diventa strumento della loro condanna.

Il concetto di sapienza

Il concetto di sapienza è il risultato di una lunga elaborazione della letteratura sapienziale per esprimere in modo nuovo il rapporto tra Dio e la creazione. La sapienza descritta in questo libro non è identificabile con la Legge, né vuole risolvere il rapporto tra trascendenza e immanenza. Senza arrivare alla ipostatizzazione della nozione di sapienza, che poteva risultare pericolosa per il monoteismo ebraico, essa acquista una funzione consistente di mediazione tra Dio e il mondo. I 21 attributi che definiscono la sapienza in (7,22-8,1 devono molto alla filosofia platonica e stoica, anche se il pensiero soggiacente è sempre di matrice biblica.

Il midrash sull’Esodo

I capitoli finali del libro della Sapienza offrono una rielaborazione dei grandi avvenimenti dell’esodo dall’Egitto, con una particolare attenzione a (11-19. Questa reinterpretazione era stata iniziata già dal Secondo Isaia, che aveva riletto il ritorno dall’esilio babilonese applicando lo schema dell’esodo. (10 riassume gli antefatti dell’Esodo concentrando in sette figure patriarcali la storia biblica precedente: Adamo, Noè, Abramo, Lot, Giacobbe, Giuseppe, Mosè. Essi incarnano altrettanti esempi di uomini giusti guidati dalla sapienza. Gli avvenimento dell’esodo sono trasferiti dal piano storico a quello metastorico che descrive il destino finale di tutta l’umanità. In pratica è una presentazione dello scontro tra bene e male che attraversa tutta la storia, e che si concluderà col trionfo della giustizia.

Canone e uso liturgico

Il libro è utilizzato al pari degli altri testi biblici come scrittura ispirata fin dal II secolo d.C., da Padri della Chiesa come Clemente Romano, Melitone di Sardi, Ireneo, Clemente alessandrino e da Tertulliano. In oriente, però, a partire dal III secolo, Cirillo di Gerusalemme e Atanasio ne vietano la lettura non considerandolo un testo canonico, mentre Girolamo, molto legato alla hebraica veritas, esclude dal canone delle Scritture ispirate la Sapienza come anche il Siracide.

Nonostante Agostino abbia difeso strenuamente la canonicità del libro, il peso del giudizio di Girolamo sarebbe stato molto forte nel corso dei secoli, per cui le discussioni sulla canonicità si protrarranno fino al Concilio di Trento, che nel 1545 dichiarerà tutti i libri deuterocanonici, tra cui anche la Sapienza, appartenenti al canone delle Scritture ispirate. Le Chiese ortodosse, pur non essendosi pronunciate mai ufficialmente sulla sua canonicità, normalmente lo includono nelle edizioni delle loro Bibbie, mentre le Chiese della Riforma, fedeli alla scelta di Lutero di limitarsi al canone ebraico, hanno escluso il libro della Sapienza dal canone delle Scritture.

La Chiesa cattolica utilizza con una certa abbondanza il libro della Sapienza nella liturgia, sia nel Lezionario feriale che in quello festivo. In particolare viene proposta unna piccola antologia di testi nella 32a settimana del tempo ordinario, nell’anno dispari. Questi i passi presenti nel lezionario feriale:

Nel ciclo festivo sono letti i brani:

  • 1,13-15.23-24 nella 13a domenica del tempo ordinario anno B;
  • 2,12.17-20 nella 25a domenica dell’anno B;
  • 6,12-16 nella 32a domenica dell’anno A;
  • 7,7-11 nella 28a domenica dell’anno B;
  • 9,13-18 nella 32a domenica dell’anno C;
  • 11,22-12,2 nella 31a domenica dell’anno C;
  • 12,13.16-19 nella 16a domenica dell’anno A;
  • 18,6-9 nella 19a domenica dell’anno C.

Una chiave di lettura interessante di questi testi sarebbe quella di studiare l’accostamento coi brani evangelici letti in queste domeniche. Si possono aggiungere anche 3,1-9 nella terza Messa della Commemorazione dei fedeli defunti e 9,1-6.9-11 nelle lodi mattutine del sabato della 3a settimana del salterio.


Voci correlate

Bibliografia

  • Gianfranco Ravasi, in Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, p. 1442-1447, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo, 1988.
  • Luca Mazzinghi, Il Pentateuco sapienziale, pp. 211-252, EDB, Bologna, 2012.
Collegamenti esterni