Cena in Emmaus (Caravaggio)
Caravaggio, Cena in Emmaus (1601), olio e tempera su tela | |
Cena in Emmaus | |
Opera d'Arte | |
Stato | |
Nazione | Inghilterra |
Contea | City of London |
Comune | |
Diocesi | Westminster |
Ubicazione specifica | National Gallery, sala 32 |
Uso liturgico | nessuno |
Oggetto | dipinto |
Soggetto | Cena in Emmaus |
Datazione | 1601 |
Ambito culturale | Ambito lombardo |
Autore |
Caravaggio (Michelangelo Merisi) |
Materia e tecnica | olio e tempera su tela |
Misure | h. 141 cm; l. 196.2 cm |
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La Cena in Emmaus è un dipinto, realizzato nel 1601, ad olio e tempera su tela, da Michelangelo Merisi detto il Caravaggio (1571–1610), conservato presso la National Gallery di Londra (Gran Bretagna).
Descrizione
Soggetto
Il dipinto rappresenta il culmine dell'episodio descritto nel Vangelo di Luca (24,13-35), che si riferisce al momento in cui sulla via di Emmaus (un villaggio vicino a Gerusalemme) Gesù Cristo risorto appare a due discepoli senza farsi riconoscere. Entrati in una locanda e sedutisi a tavola per rifocillarsi, i due lo riconoscono solo quando benedice il pane e lo spezza. Infatti, la scena si svolge intorno ad una tavola imbandita, dove compaiono:
- al centro, Gesù Cristo, non mostra i segni della passione, ma è rappresentato con fattezze giovanili, i capelli lunghi e il volto senza barba,[1] è colto mentre con la mano destra sta benedicendo il pane: gesto che lo rende riconoscibile ai discepoli. In realtà l'atto precede lo spezzare del pane, ma in questo caso, con il pane già spezzato il pittore ha voluto prolungare nel tempo l'atto sacro. Il braccio di Cristo, proteso in avanti, dipinto di scorcio, dà l'impressione di profondità spaziale. Gesù indossa una tunica rossa e una sopravveste bianca: questi due colori, sono ripresi, nella manica della camicia dell'oste, ma anche nel suo berretto, dove il rosso indica il sangue sacrificale del Salvatore, versato per gli uomini, e il bianco ricorda il sudario.
- a destra, Discepolo, vestito come un pellegrino con la conchiglia appuntata sul petto che lo identifica come tale e che qui diventa l'attributo di chi si mette in viaggio per fede. L'uomo allarga le braccia in un gesto che non solo sottolinea la grande meraviglia, ma che può anche essere letto come imitazione della posa di Gesù sulla croce, secondo il concetto dell'identificazione del fedele con Cristo. Inoltre, la sua posa misura in tralice lo spazio a disposizione e unisce la zona in ombra con quella dove cade la luce; la sua mano destra è troppo grande, ma è un espediente utilizzato dal pittore per dirigere l'occhio dello spettatore verso il Redentore.
- a sinistra,
- Discepolo scatta in avanti per la sorpresa, appoggiandosi ai braccioli come per alzarsi dalla sedia (una savonarola) e mostrando in primo piano il gomito piegato: l'artista vuole qui alludere alla sollecitudine con cui si deve rispondere alla chiamata di Cristo. L'uomo, posto di spalle, funge anche qui da escamotage per coinvolgere più direttamente lo spettatore-fedele nella scena, il quale è come invitato simbolicamente a prendere il posto alla mensa, davanti a Gesù.
- Oste, accanto a Gesù, in piedi, mostra un'espressione leggermente confusa, uno stupore inconsapevole, poiché non comprende il significato dell'evento cui sta assistendo: il personaggio non è citato nel racconto evangelico, ma viene spesso inserito nelle opere d'arte con questo tema iconografico. La sua figura è simbolo dell'umanità che non conosce Cristo, come si evince dallo sguardo perplesso e stupito. La sua ombra, però, sullo sfondo si unisce a quella di Gesù quasi a significare che il suo destino, come quello di tutta l'umanità credente o meno, è, comunque, legato alla venuta del Figlio di Dio, fatto uomo nel mondo, che ha cambiato il corso della storia incarnandosi per offrire con il suo sacrificio ad ogni uomo un destino di eternità. Anche il colore rosso, versato da Cristo per l'umanità, li unisce, come il bianco della veste di Gesù che rimanda al sudario e quindi alla sofferenza, elemento comune dell'esistenza di tutti gli uomini che il Cristo trasforma in viatico per la salvezza.
L'immagine è ricca di dettagli interessanti, spesso con funzione simbolica o di richiamo allegorico, tra i quali si notano:
- Mensa, con il pane spezzato e il vino (simboli del Corpo e del Sangue di Cristo) sulla tovaglia bianca, allude all'altare dove si celebra il sacrificio eucaristico.
- Brocca trasparente con l'acqua, accanto al bicchiere di vino, rappresenta le due nature del Cristo, quella umana e quella divina. Inoltre, l'acqua evoca il battesimo come rinascita nella grazia.
- Cesto di frutta,[2] in bilico sul bordo del tavolo, colmo di prodotti molto maturi è simbolo della fragilità dell'esistenza terrena; il tempo, infatti, passa e inesorabilmente deteriora le cose, fa appassire le foglie dell'uva, spacca i fichi e la melagrana, intacca la buccia delle mele. Inoltre, gli stessi frutti contenuti hanno una loro valenza simbolica:
- Uva e melagrana alludono al martirio e alla risurrezione di Cristo;
- Mele e fichi sono metafora sia dei frutti della grazia divina, sia del peccato originale da cui l'umanità è stata redenta;
- Pera è un attributo della dolcezza di Maria Vergine, madre di Dio.
- Pollo o faraona, cotto forse alla spiedo, ricorda Cristo come vittima sacrificale.
- Ombra a coda di pesce, sotto il cesto, che non è una casualità, ma un elemento volutamente inserito dall'artista. Si tratta, infatti, di un rimando simbolico a Cristo stesso, poiché il termine greco per indicare questo animale, ichthýs (ΙΧΘΥΣ), è l'acrostico delle parole:
(EL) | (IT) | ||||
« | Ιησοῦς Χρειστὸς Θεoῦ Υιὸς Σωτήρ » | « | Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore » |
- Canovaccio bianco, arrotolato e frangiato sul gamba del discepolo a destra, rimanda al tallit, lo scialle di preghiera ebraico con le frange ornamentali con profondo valore simbolico di memento dei precetti divini.
- Savonarola, dove è seduto il discepolo a sinistra, è un elemento d'arredo improbabile in una locanda seicentesca, ma inserito nella scena richiama il faldistorio, un sedile mobile adoperato in tutte quelle situazioni nelle quali la posizione del vescovo celebrante risulta laterale rispetto all'altare e impedisce quindi l'utilizzo della cattedra.
Ambientazione
L'ambientazione oscura del dipinto non rimanda soltanto all'ora vespertina della cena nell'umile locanda, ma è complementare alla luce che irrompe nella scena come segno fisico di "illuminazione", come rivelazione ai discepoli increduli dell'identità del Cristo risorto, nel preciso momento in cui lo stesso sta benedicendo il pane.
Note stilistiche, iconografiche e iconologiche
- Lo studio della rifrazione della luce proprio nella Cena in Emmaus raggiunge il suo culmine, il punto d'arrivo di precedenti sperimentazioni del pittore, dai primi dipinti giovanili, sino a questo, dove nella parte sinistra del tavolo si notano una bottiglia e un bicchiere di vino bianco attraversati dalla luce, e riverberati nella parte inferiore: dalla polla luminosa con cui quella luce interrompe l'ombra proiettata sulla tovaglia dai due recipienti. Le ricerche sull'uso della luce che scopre o crea immagini era particolarmente sviluppato in ambito nordico, Caravaggio porta questo elemento dalla scala miniaturistica, presente nella pittura fiamminga del XV secolo, alla scala umana, attraverso la pittura rinascimentale, nel pieno realismo dell'immagine. Il Merisi, in questa opera, dimostra di aver pienamente assimilato l'osservazione ottica delle figure e degli oggetti da dipingere in tutta la loro verità e i loro effetti naturali.
- Nel dipinto la luce assume una provenienza, un taglio ben preciso, con un interessante effetto di presenza fisica, con la predisposizione a proiettare la figura dal fondo verso lo spazio tangibile, così da rivedere i limiti della scena in un nuovo e originale risultato prospettico. Inoltre, la luce viene usata in modo non solo drammatico, ma anche descrittivo, per far emergere la fisicità degli oggetti, sia che si tratti della manica logorata del discepolo a sinistra, della traslucidità dell'uva nel cesto, della trasparenza della bottiglia d'acqua o dei folti riccioli di Cristo.
- L'orchestrazione del colore e della luce spinge strategicamente l'osservatore a concentrarsi sui punti rilevanti del dipinto; il predominare del rosso e del bianco per la veste di Cristo, il verde per l'abbigliamento del discepolo a sinistra, per qualche foglia sul tavolo e per il colletto di quello a destra, alludono probabilmente alle virtù teologali: Fede, Speranza e Carità.
- In Caravaggio, il tema ricorrente del cesto di frutta, e il risalto visivo e simbolico che le è assegnato in questo dipinto, trova giustificazione anche nella pratica liturgica dell'"offertorio" di antica tradizione paleocristiana. Nella Chiesa delle origini, le offerte del pane e del vino erano portate dai fedeli, da casa al luogo della celebrazione, e vigeva anche l'uso, per partecipare al mistero eucaristico, di portare all'altare dei frutti, quale offerta di sé a Dio come ringraziamento. Questa pratica cadde in disuso nei secoli successivi, tranne che nel rito ambrosiano, sostenuto dal cardinale Federico Borromeo (1564-1631), destinatario della Natura morta con cesto di frutta. Inoltre, va ricordato che san Carlo Borromeo (1538-1584), nelle sue omelie milanesi, assegnava ai frutti una valenza simbolica allusiva al dono del Corpo di Cristo, era un sostenitore dell'antico rituale che si richiamava allo spirito di povertà della Chiesa delle origini: un recupero della cultura del primo cristianesimo, voluta dalla corrente "riformata" in cui gravitavano i colti cardinali protettori e committenti di Caravaggio.
- Nel dipinto Caravaggio ci propone una teofania (Luca 24,31), una rivelazione agli uomini della natura trascendente di Cristo, vero uomo e vero Dio, che ha sofferto, è morto e risorto a nuova vita trasformando se stesso, il mondo e tutte cose sia passate che future per sempre. Infatti, il momento rappresentato, come già ricordato, è quello culminante dell'episodio evangelico in cui Gesù spezza e benedice il pane, come aveva fatto qualche giorno prima nell'Ultima Cena con gli apostoli, istituendo l'Eucarestia.
Notizie storico-critiche
Provenienza
La Cena in Emmaus, commissionata nel 1601, fa parte di un gruppo di opere realizzate dal Caravaggio per il marchese e collezionista d'arte Ciriaco Mattei (1545-1614), presso il cui palazzo il pittore in quegli anni abitava: oltre a questa, eseguì per lui altre due tele raffiguranti:
- Cattura di Gesù Cristo (1602), conservato alla National Gallery di Dublino (Irlanda).
- San Giovanni Battista (1602-1603), esposto alla Pinacoteca Capitolina di Roma.
L'opera non compare nell'"Inventario dei beni di Giovanni Battista Mattei", figlio ed erede di Ciriaco, redatto nel 1616: questo fa ritenere che il dipinto era stato ceduto a Scipione Caffarelli-Borghese (1577-1633) dopo il 1605, anno in cui giunse a Roma nominato cardinale dallo zio, papa Paolo V (1605-1621). Mentre, nell'"Inventario Borghese" del 1693 la Cena in Emmaus è menzionata con una cornice intagliata e dorata.
Nel 1801 il marchese Camillo Borghese (1775–1832), marito di Paolina Bonaparte, vendette il dipinto ad un antiquario parigino, monsieur Durand; in seguito, entrò a far parte della collezione di lord George John Warren Vernon (1803–1866), politico britannico, che nel 1839 lo donò alla National Gallery di Londra.
Seconda versione
Nel 1606, Caravaggio dipinse una seconda versione della Cena in Emmaus, oggi conservata alla Pinacoteca Nazionale di Brera a Milano,[3] dall'atmosfera più raccolta e dall'iconografia più essenziale, sfrondata di particolari, che però dispone maggiormente alla meditazione.
Note | |
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Bibliografia | |
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Voci correlate | |
Collegamenti esterni | |
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