Patriarca ecumenico di Costantinopoli
Il Patriarca ecumenico di Costantinopoli - Nuova Roma (Greco: Οικουμενικό Πατριαρχείο Κωνσταντινουπόλεως Nέα Ρώμη, Ikoumenikò Patriarchìo Konstantinoupòleos Nea Romi) è il "primo fra pari" della Chiesa ortodossa orientale ed è riconosciuto come unico patriarca di Costantinopoli anche dalla Chiesa cattolica.
Prerogative
Il Patriarca di Costantinopoli è il primo in onore tra i vescovi ortodossi (primus inter pares), ha il compito di presiedere ogni concilio di vescovi e ha le funzioni di principale portavoce della comunione ortodossa. Non ha giurisdizione sopra gli altri patriarchi e le chiese autocefale della comunità ortodossa orientale.
Il suo titolo completo è Arcivescovo di Costantinopoli-Nuova Roma e Patriarca ecumenico. È a capo della Chiesa ortodossa di Costantinopoli, una delle sedici chiese autocefale e uno dei cinque antichi centri cristiani costituenti l'antica "Pentarchia". Nel 1964 la Chiesa cattolica ha abolito il patriarcato latino della città (l'ultimo titolare della cattedra è stato Antonio Anastasio Rossi) e riconosce il patriarca ortodosso come vero successore dell'apostolo Andrea, fratello di Simon Pietro e fondatore della Chiesa di Costantinopoli.
Il suo ruolo ecumenico nell'ambito dell'ortodossia ha creato problemi con la Repubblica Turca, dal quale dipende dal punto di vista statale. Le leggi turche sulle minoranze religiose riconoscono solo il titolo patriarcale di Fanar (Turco: Fener Rum Ortodoks Patriği, "Patriarca ortodosso dei Romani di Fener"), cioè del distretto di Istanbul nel quale ha sede il patriarcato.
Storia
Fondazione della diocesi di Costantinopoli
Per approfondire, vedi la voce Chiesa ortodossa di Costantinopoli |
La nascita del Patriarcato e l'età della Pentarchia
Il Concilio di Efeso del 431 elevò la sede di Costantinopoli a patriarcato all'interno della nascente Pentarchia. Il successivo Concilio di Calcedonia del 451 attribì a Costantinopoli giurisdizione sull'Asia Minore e la Tracia, giurisdizione appellata su decisioni riguardanti la legge canonica da parte di altri patriarchi ed il secondo posto nel primato dopo Roma (can. XXVIII). Papa Leone I si rifiutò di ammettere questo canone, sostenendo che non era valido in quanto stabilito in assenza dei suoi legati.
Nel 482 la crisi si acuì quando l'imperatore Zenone emanò l'editto Henotikon di riconciliazione tra i monofisiti e i duofisiti nestoriani, che da anni si scontravano in Oriente attorno al tema della natura umana o divina del Cristo. La mediazione venne duramente condannata da papa Felice III, il quale nel 484 scomunicò il patriarca Acacio per il sostengno fornito all'imperatore. Lo scisma si concluse solo nel 519, quando l'imperatore Giustino I riconobbe la scomunica di Acacio.
Tuttavia la crisi non era ancora risolta e quando venne eletto patriarca il monofisita Antimo, sostenuto dall'imperatrice Teodora, dall'Italia giunse nel 536 in persona papa Agapito: il papa, col sostegno di eminenti membri del clero di Costantinopoli, accusò il patriarca di eresia e usurpazione. Il patriarca, inizialmente sostenuto dall'imperatore Giustiniano, rispose ingiungendo al pontefice di tornare alla propria sede, ma, una volta perso il favore imperiale, venne deposto e sospeso da Agapito, che gli fece succedere Menna. Con un tale atto la chiesa di Roma ristabiliva dunque temporaneamente la propria superiorità su Costantinopoli. Il papa non sopravvisse però a lungo al proprio successo, morendo ben presto nella capitale orientale, e l'imperatrice Teodora tentò di reinsediare Antimo, facendo pressioni sul nuovo papa, Silverio, la cui città era caduta in quello stesso anno nelle mani dei Bizantini. Avendo rifiutato Silverio di piegarsi, venne arrestato nel 537 e deportato in Licia, dove però il clero locale lo riconobbe innocente, spingendo l'Imperatore a rispedirlo in Italia, dove però il successore Vigilio ordinò che fosse definitivamente imprigionato a Ponza.
Tuttavia anche Vigilio nel 540 si schierò apertamente contro il monofisismo. Quando dunque, nel 543-544 l'imperatore emanò un editto di condanna dei Tre Capitoli, scritti nestoriani con il cui bando intendeva ricucire i rapporti coi monofisiti, il papa si oppose e venne dunque convocato nel 546 a Costantinopoli, dove venne fatto prigioniero. L'imperatore ed il patriarca Eutichio convocarono quindi il Concilio Costantinopolitano II, nel quale vennero condannati i Tre Capitoli e l'origenismo. Per conto dell'imperatore, infine, il patriarca Eutichio pretese l'approvazione dei canoni conciliari di condanna del nestorianesimo. Dopo otto anni di prigionia il papa accettò e, nel 554, come atto finale supplicò Giustiniano di riunire l'Italia all'Impero. L'imperatore rispose prontamente con la prammatica sanctio, con la quale estendeva alla nuova Prefettura d'Italia la legislazione bizantina. I papi vennero così a trovarsi sotto lo stretto controllo dell'esarca ravennate e furono costretti ad accettare l'instaurarsi dell'ordine religioso imperiale della cosiddetta Pentarchia, cioè il governo dei cinque patriarcati di Roma, Costantinopoli, Gerusalemme, Antiochia ed Alessandria. La rivincita di Bisanzio provocò però gravi conseguenze in Occidente, dove l'intera Italia settentrionale, il Norico e la Baviera ruppero la comunione, dando il via allo Scisma dei Tre Capitoli, che portò alla nascita dell'autocefalo Patriarcato di Aquileia.
La questione monotelita di Sergio I
Frattanto le Chiese orientali continuavano ad essere scosse dalle questioni cristologiche. Quando, attorno al 610, nel tentativo di conciliare le diverse posizioni e di ricondurre in seno alla chiesa i monofisiti d'Egitto, il patriarca Sergio I sviluppò la dottrina monotelita, questa venne immediatamente accettata dalla corte imperiale ed in Occidente, dove si era culturalmente meno affini alle sottigliezze dottrinarie orientali. Ma ben presto anche questa soluzione prese a sollevare dispute tra i diversi cleri dell'Impero. Nel 633, dunque, Sergio ed il patriarca monofisita di Alessandria, Ciro, svilupparono una nuova dottrina, il monoergismo, nella speranza che questa potesse essere meglio accolta, ma senza successo. Morto Sergio nel 638, l'imperatore Eraclio tentò di imporre infine la propria autorità, ordinando con l'editto Ekthesis l'uniformazione in tutto l'Impero alla dottrina monotelita, appoggiato in questo in Occidente da papa Onorio I. L'ordine imperiale poté essere facilmente applicato laddove arrivava il potere del basileus, ma non ebbe alcun effetto sui patriarchi di Gerusalemme, Antiochia ed Alessandria, i cui territori erano appena stati sottratti all'impero dagli Arabi. Qui Sofronio e Massimo il Confessore avversarono dunque liberamente ed apertamente le dottrine di Sergio.
Di fronte alle dispute, anche papa Severino si rese infine conto del pericolo che la dottrina monotelita potesse costituire una sottile forma di reintroduzione del monofisismo e si rifiutò di dare la propria approvazione, come invece richiesto dall'Imperatore. In risposta l'esarca di Ravenna, Isacio, marciò su Roma, saccheggiando il Patriarchio.
Il nuovo imperatore Costante II, nel tentativo di porre fine al caos religioso emanò infine su consiglio del patriarca Paolo II, nel 648, un nuovo editto, il Typos, che aboliva l'Ectesi di Eraclio, ma soprattutto nel quale minacciava di morte chiunque avesse dibattuto ulteriormente sulla natura di Cristo. Era però troppo tardi. Ormai i pontefici di Roma si erano apertamente schierati contro il monotelismo, che era divenuto nuovo terreno di scontro per la supremazia religiosa. Papa Martino I indisse dunque un sinodo in Laterano nel quale condannava definitivamente il monotelismo come mezzo di riproposizione dell'eresia monofisita. L'imperatore ordinò l'arresto di Martino, ma dovette attendere sino al 653 per avere soddisfazione: catturato, Martino venne condotto prima a Naxos e quindi a Costantinopoli, dove, dopo essere stato esposto al pubblico ludibrio, venne condannato all'esilio a Cherson.
Nel clima di generale scontro, il nuovo patriarca Costantino I vide respinte nel 676 le lettere sinodiche e la professione di fede inviata a papa Adeodato II, rispondendo con la cancellazione del nome di Adeodato dai dittici patriarcali.
La questione monotelita venne risolta solo nel 680-681, quando un accordo tra papa Agatone e l'imperatore Costantino IV portò alla convocazione del Terzo Concilio di Costantinopoli, nel quale il monotelismo venne bandito e si condannarono i suoi defunti sostenitori, Onorio di Roma e Sergio di Costantinopoli.
Ignazio e Fozio
Nell'847 divenne patriarca Ignazio I, terzogenito del deposto imperatore Michele I. Questi iniziò dunque una dura lotta politica con l'imperatore Leone III l'Armeno, che lo portò nell'858 ad essere deposto per ordine della reggente Teodora, che gli sostituì Fozio I, il quale venne riconosciuto nell'861 dai legati papali. Quando però Ignazio si appellò a papa Niccolò I, questi fu prontissimo ad appoggiarlo, convocando nell'863 un sinodo a Roma nel quale dichiarava illegittima la deposizione di Ignazio, scomunicava i propri legati e minacciava della stessa sanzione Fozio se avesse insistito nell'usurpazione del seggio patriarcale. Fozio rispose nell'867 scomunicando a sua volta il papa, con l'appoggio dell'imperatore Michele III.
A quel punto il papa portò la questione sul piano dottrinale, inviando un'enciclica a tutti i vescovi orientali per imporre a questi l'uniformazione agli usi romani, con l'aggiunta del filioque al Credo (stabilendo dunque che "lo Spirito Santo discende dal Padre e dal Figlio"), l'obbligo del celibato ecclesiastico e della tonsura, il diritto esclusivo dei vescovi di celebrare la Cresima, il digiuno obbligatorio per il clero il sabato e l'inizio della Quaresima il Mercoledì delle Ceneri.
La situazione sembrava non avere sbocco, ma quando nell'867 l'Imperatore cadde assassinato, il nuovo sovrano Basilio I il Macedone richiamò Ignazio, convocando all'uopo nell'869 il Concilio Costantinopolitano VI, nel quale papa Adriano II proclamò il solenne reinsediamento di Ignazio e al contempo dichiarò la chiesa di Roma come «la prima e la maestra di tutte le chiese».
Anche questo nuovo successo di Roma fu però di breve durata. Quando nell'877 Ignazio morì, infatti, a succedergli fu nuovamente Fozio, con l'approvazione sia dell'imperatore Basilio, che dello stesso papa Giovanni VIII. Fozio, però, non aveva nessuna intenzione di abbandonare le antiche posizioni. Convocato un nuovo concilio a Costantinopoli nell'879-880, revocò le disposiozione del precedente consesso e riaprì le controversie dottrinali e teologiche con Roma. Dichiarò inoltre la Bulgaria sottoposta all'autorità del proprio patriarcato. Tali atti lo portarono ad una nuova scomunica da parte del papa, che come unico effettò sortì solo un nuovo scisma con la chiesa occidentale. La questione sembrò risolversi nell'886, quando il nuovo imperatore Leone VI il Filosofo rimosse Fozio, sostituendolo col proprio fratello, Stefano I. Papa Stefano V, però, ritenne tale procedura irregolare e scomunicò anche il nuovo patriarca. Lo scisma rientrò solo con l'avvento del patriarca Antonio II, ma ormai nella Chiesa d'Oriente si era determinato e radicato un forte sentimento che percepiva la controparte romana come scismatica, in quanto accusata di essersi allontanata dall'ortodossia nei punti indicati da Fozio.
La crescente intransigenza della Chiesa bizantina, di stampo foziano, non mancò, però, di causare problemi anche nei rapporti con il potere politico. Nel 906, infatti, il patriarca Nicola I il Mistico si oppose alla celebrazione del terzo matrimonio dell'imperatore Leone con l'amante Zoe Carbonopsina, fatto che era ritenuto dalla Chiesa come atto di fornicazione e poligamia. Quando il basileus, in sfida al divieto patriarcale, si sposò ugualmente, nominando Zoe Augusta, Nicola lo scomunicò, venendo di rimando accusato di tradimento e deposto. Al suo posto Leone nominò patriarca Eutimio il Sincello, che era padrino del piccolo Costantino, figlio suo e di Zoe ed erede al trono: un ignaziano moderato. Nonostante nemmeno Eutimio si mostrasse particolarmente accomodante con l'imperatore, che poté entrare infatti in Santa Sofia solo come penitente, e con l'imperatrice Zoe, cui venne rifiutato il titolo di Augusta, la Chiesa bizantina si divise comunque in un piccolo scisma, detto Scisma della tetragamia tra i favorevoli ed i contrari al perdono dell'Imperatore. Alla morte nel 912 di Leone, il successore Alessandro richiamò sul trono patriarcale il vecchio Nicola, ordinando la deposizione di Eutimio, il quale venne rovesciato con violenza, rischiando persino di perire per mano della soldataglia sobillatagli contro dall'Imperatore.
Meglio andò invece al patriarca Polieucte, eletto nel 956. Egli scomunicò infatti l'imperatore Niceforo II per il suo matrimonio con Teofano, in quanto egli era padrino di uno dei figli della donna, vedova di Romano II. L'Imperatore riuscì si appellò allora ai vescovi presenti a Costantinopoli, ottenendo la dispensa al matrimonio. Ma il patriarca, non pago, scomunicò ugualmente per un intero anno il sovrano, accusandolo di aver contratto il secondo matrimonio senza aver ottemperato alle dovute penitenze. Rifiutò persino la richiesta imperiale di riconoscere come martiri della fede i soldati caduti in battaglia contro gli infedeli, che voleva essere un modo per sollevare lo spirito delle truppe bizantine, sulle quali aleggiava da sempre il marchio d'infamia della Chiesa, che giudicava la guerra come assassinio. Polieucte rispose ribadendo che ogni atto di sangue doveva essere punito con tre anni di interdizione dalla comunione.
Morto assassinato Niceforo, l'intransigente Polieucto, scomunicò i suoi assassini, rifiutandosi di incoronare Giovanni Zimisce, fino a che questi non punì i colpevoli della morte del predecessore. Infine il patriarca impose nel 958 l'introduzione del rito greco nell'Italia bizantina, in aperta sfida all'autorità di Roma.
Il Grande Scisma
I rapporti con la Chiesa di Roma si fecero nuovamente critici già a partire dal patriarcato di Eustazio, il quale nel 1024 aveva cancellato nuovamente il nome del papa dai dittici di Santa Sofia, ma fu con la nomina a patriarca di Michele I Cerulario, nel 1043, che i dissapori con l'Occidente riemersero violenti.
Michele Cerulario, cominciò ben presto a prendere posizione sulla natura dello Spirito Santo e a contestare tutte le innovazioni che papa Leone IX stava introducendo nelle regole della Chiesa, in particolare la sua condanna sul matrimonio del clero. Infatti, a sua volta il patriarca attaccò la tradizione del celibato ecclesiastico, quindi il taglio della barba e infine, nel 1051, la celebrazione dell'eucaristia con pane azimo: tutti costumi in uso presso la chiesa latina, che egli accusò di eresia, proibendo al culto tutte le chiese di Costantinopoli che non utilizzavano il rito greco. Quando a Costantinopoli giunsero infine i legati inviati dal papa con l'incarico di risolvere la critica situazione e di convincere i fratelli orientali ad accettare le nuove direttive che Leone emanava in qualità di Primate dei cinque patriarcati cristiani, la situazione era già critica. Tanto che gli stessi legati recavano già con sé una bolla pontificia con la scomunica del patriarca.
La missione guidata dal cardinale Umberto di Silvacandida e composta dagli arcivescovi Federico di Lorena e Pietro di Amalfi negò la legittimità dell'elezione di Michele, del titolo di ecumenico riservato al patriarca orientale e il suo preteso secondo posto in onore nella gerarchia ecclesiastica dopo il vescovo di Roma. In risposta il patriarca si rifiutò di ricevere i latini, dopodiché, il 16 luglio 1054, il cardinale Umberto depositò sull'altare di Santa Sofia la bolla di scomunica, lasciando la città. Il 24 luglio Cerulario rispose in modo analogo, scomunicando Umberto di Silvacandida e gli altri legati papali. Inoltre i legati papali e i rappresentanti del patriarcato si scagliarono contro l'anatema gli uni gli altri.
Al momento delle reciproche scomuniche, papa Leone era già morto a Roma e pertanto, l'autorità del Cardinale Umberto, legato pontificio, era di fatto venuta meno, tuttavia la gravità del fatto portò all'instaurarsi di uno scisma tra le due Chiese, che tutt'ora perdura. Il cosiddetto Grande Scisma portò dunque alla nascita di una Chiesa cattolica (cioè "universale"), fedele e obbediente a Roma, e di una comunità di Chiese Ortodosse (cioè di "corretta dottrina") che riconoscono il primato di Costantinopoli. Entrambe rivendicarono sin da allora l'aderenza alla vera Chiesa Universale.
Nel 1055 il patriarca Michele consentì poi la successione al trono imperiale della basilissa Teodora, la quale tentò di ristabilire l'unità con Papa Vittore II, senza successo. Determinato a sostenere la propria posizione, nel 1057 il patriarca appoggiò dunque la rivolta degli eserciti d'Asia e l'ascesa al trono di Isacco I Comneno, ma ben presto anche Isacco fu costretto ad abdicare, nel timore di una generale rivolta sobillata nel 1059 dal patriarca. Michele scelse allora quale nuovo basileus Costantino Ducas, ma non riuscì a vedere il risultato della propria scelta, poiché morì il 21 gennaio di quello stesso anno.
I tentativi di riunificazione
Nel 1204, la Quarta Crociata conquistò Costantinopoli, stabilendovi un Impero Latino. Nell'organizzazione del nuovo Stato venne istituita la carica di Patriarca latino di Costantinopoli, per guidare il numeroso clero cattolico affluito al seguito dei conquistatori e sostituire il vecchio patriarcato ortodosso, sopravvissuto nei residui territori bizantini. Il patriarca Giovanni X di Costantinopoli dovette quindi abbandonare la città, ritirandosi in esilio in Tracia, al seguito dell'imperatore Alessio V di Bisanzio, ritirandosi quindi nel 1206 a Nicea, presso la corte di Teodoro I Lascaris, che venne incoronato Imperatore di Nicea.
Nel 1215 il Concilio Lateranense IV riconobbe al patriarca latino i diritti dell'antica sede patriarcale costantinopolitana, ma già nel 1261, il debole Stato latino venne cancellato, con la riconquista di Costantinopoli in mani bizantine: il patriarcato greco venne ristabilito nella sua originaria sede ed i rivali latini dovettero lasciare la città per l'Italia.
Quando nel 1416 divenne patriarca Giuseppe II l'impero versava in una situazione disperata, stretto d'assedio com'era dai Turchi ottomani. Nel 1437 il patriarca partì dunque in scorta all'imperatore Giovanni VIII Paleologo, ad altri ventitré vescovi, tra cui l'arcivescovo di Nicea Basilio Bessarione e ad uno stuolo di studiosi e teologi alla volta dell'Italia, per prendere parte al Concilio di Ferrara. La necessità di aiuto contro il nemico turco imponeva infatti il superamento dello scisma del 1054. Tra i maggiori oppositori figurava il Bessarione, ma quando nel 1439 i padri conciliari si spostarono da Ferrara, aprendo il Concilio di Firenze, l'arcivescovo niceno si spostò su posizioni unioniste. Il patriarca morì prima della conclusione dei lavori, che vennero dunque proseguiti dal Bessarione. Il 6 luglio, infine, per volontà dell'Imperatore e di Papa Eugenio IV venne solennemente proclamato il decreto d'unione tra la Chiesa Greca e la Chiesa cattolica.
Al loro ritorno a Costantinopoli, però, l'Imperatore ed i vescovi trovarono un clima ostile tra la popolazione ed il clero, in particolare i monaci, tanto che una parte di quelli che avevano firmato il decreto dell'unione ora l'abbandonano e che l'unione non divenne mai effettiva.
Il patriarcato dopo la caduta di Costantinopoli
Dopo la caduta di Costantinopoli, il sultano ottomano pretese di conservare il diritto di nomina del patriarca già proprio degli imperatori bizantini. Tale sistema perdurò sino all'avvento della moderna Turchia, nella quale tuttavia lo stato turco richiede ancora per legge che alla cattedra patriarcale venga eletto un cittadino turco, seppur scelto autonomamente dal Sinodo di Costantinopoli.
In Italia il Patriarcato è rappresentato dall'Arcidiocesi ortodossa d'Italia. L'attuale patriarca è Bartolomeo I.
Note | |
| |
Voci correlate | |
Collegamenti esterni | |
|