Gianfranco Masserdotti

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Gianfranco Masserdotti, M.C.C.I.
Vescovo
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al secolo {{{alsecolo}}}
battezzato
ERRORE in "fase canonizz"
Ut vitam habeant

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Titolo
Incarichi attuali
Età alla morte 65 anni
Nascita Brescia
13 settembre 1941
Morte Balsas
17 settembre 2006
Sepoltura
Appartenenza
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Professione religiosa Brescia, 9 settembre 1965
Ordinato diacono
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Ordinazione presbiterale Padova, 26 marzo 1966
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Consacrazione vescovile Balsas, 2 marzo 1996 dal vescovo Rino Carlesi
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° vescovo di Roma
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Consorte

Consorte di

Figli
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Collegamenti esterni
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Invito all'ascolto
Firma autografa
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Vorrei essere uno di questi pastori che nella notte del primo Natale, dopo l'apparizione degli angeli, disse ai compagni: "Andiamo fino a Betlemme e vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere". Andiamo a Betlemme per ritrovare in profondità i valori fondamentali che danno senso alla nostra vita: il gusto dell'essenziale e il sapore delle cose semplici, la gioia del dialogo e della solidarietà, la voglia di essere liberi di fronte alle nuove schiavitù del consumismo, la tenerezza di inginocchiarci davanti a un Dio che si è fatto piccolo per stare con noi nel faticoso cammino della vita. Andiamo a Betlemme per scoprire nella fragilità di un Bambino nato nella povertà di una grotta, il volto spaurito degli oppressi, la solitudine degli infelici e degli esclusi, l'amarezza degli ultimi, le sofferenze degli extra-comunitari. Mettiamoci in cammino senza paura, per fare, ciascuno al nostro posto, le scelte giuste in favore della vita.
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(Lettera di Dom Franco Masserdotti agli amici in occasione del Natale 2000)

Gianfranco Masserdotti (Brescia, 13 settembre 1941; † Balsas, 17 settembre 2006) è stato un vescovo e missionario italiano.

Biografia

La formazione e il ministero sacerdotale

Nato a Brescia, è cresciuto nel piccolo paese di Fiumicello. Dopo i primi studi, entra giovane tra i Comboniani emettendo i [[voti temporanei]] il 9 settembre 1962 e i voti perpetui il 9 settembre 1965.

Fu ordinato sacerdote il 26 marzo 1966.

Dopo essersi laureato in sociologia all'università di Trento, partì per il Brasile come missionario e venne assegnato alle missioni del Brasile Nord-Est nel 1972 rimanendovi fino al 1979. In particolare prestò la propria opera nella diocesi di Balsas, dapprima in parrocchia poi come vicario generale.

Nel 1979 fu richiamato in Italia, a Roma, in qualità di membro della "Capitular Preparatory Commission" in vista della riunificazione del ramo italiano e del ramo tedesco dell'Istituto dei Comboniani e per il lavoro di revisione delle Costituzioni. Dal 1979 al 1985 fu anche Assistente Generale.

Nel 1986 ritornò in Brasile dove ricoprì incarichi diversi: fu insegnante nel seminario comboniano della periferia di San Paolo, superiore provinciale del Nord-est brasiliano e segretario del Consiglio missionario nazionale.

Dopo essere stato nuovamente vicario generale, venne nominato Vescovo coadiutore di Balsas e il 2 marzo 1996 ricevette l'ordinazione episcopale. Il 15 aprile 1998 assunse la responsabilità della Diocesi di Balsas dopo la morte del predecessore monsignor Rino Carlini, anche lui comboniano.

All'interno della Conferenza Nazionale Episcopale del Brasile (CNBB) fu presidente del "Conselho Indigenista Missionário" (CIMI) e vice-presidente della "Commissione Missionaria". Dal 2004 fece anche parte della "Commissione Dimensão Missionária de Além – Fronteiras" della Conferenza dei Vescovi Latinoamericani.

Contribuì alla realizzazione dell'Università di Balsas e alla creazione di strutture per accogliere i tossicodipendenti e i bambini di strada; si impegnò anche per la realizzazione del seminario maggiore diocesano.

Morì il 17 settembre 2006 in seguito ad un incidente stradale.

Spiritualità

Dom Franco Masserdotti ebbe una vita apostolica molto intensa. La sua agenda fu sempre ricca di avvenimenti e di attività: incontri, assemblee, corsi di esercizi spirituali, iniziative di sviluppo e di promozione umana, formazione degli animatori delle comunità ecclesiali di base e degli agenti di pastorale, coordinatore di pastorali sociali e di impegno per la giustizia e la pace, scuola di coscientizzazione socio-politica, visita a gruppi e amici della missione, impegno missionario in Africa, sostegno della pastorale indigena e afroamericana, vari servizi prestati all'Istituto e alla famiglia comboniana.

Le numerose lettere che scriveva dalla missione testimoniano il fondamento spirituale della sua prassi missionaria.

Il modello di Chiesa vicina ai poveri

Partecipò al Concilio Vaticano II durante gli anni della sua giovinezza, e fu testimone dell'applicazione degli orientamenti conciliari nella realtà della Chiesa latinoamericana attraverso le assemblee del Consiglio episcopale latinoamericano (C.E.L.A.M.) realizzate a Medellin (1968), Puebla (1979), Santo Domingo (1992). Fu anche attento ai vari Congressi Missionari latinoamericani (COMLA) e ai molteplici incontri a livello brasiliano e internazionale che cercavano di tradurre le grandi indicazioni del Concilio.

Il clima di rinnovamento nel quale visse maturò in dom Franco una coscienza ecclesiale volta alla costruzione di una Chiesa che, lontana da interessi di potere, fosse vicina all'umanità assetata di Dio, di pace, di giustizia e di solidarietà, e che fosse vicina soprattutto ai poveri e agli indifesi:

« Non voglio alimentare una Chiesa che in pratica dimostra di credere poco nella forza del Vangelo e sente il bisogno di puntellarlo con ambigue alleanze al potere, al denaro o con le opere e le organizzazioni mastodontiche. »
(Lettera del maggio 1972[1])

Questa convinzione maturò sempre di più con gli anni. Nel periodo in cui prestava il suo servizio come coordinatore della Provincia comboniana del Nordeste del Brasile scrisse:

« Credo che è proprio qui che la Chiesa è chiamata a dare il suo contributo a questa società in fermento: annunciare la speranza che viene da Cristo Liberatore di tutte le oppressioni, dare un saggio di nuovi rapporti sociali attraverso lo stile partecipativo delle comunità ecclesiali di base, educare e coscientizzare, appoggiare i movimenti popolari (essi stanno emergendo sempre più chiaramente), la loro organizzazione e le loro rivendicazioni. »
(Lettera del dicembre 1988)

In una lettera poi del periodo episcopale scriveva:

« La nostra maggiore preoccupazione è quella di rinnovare e migliorare lo stile di presenza e di lavoro della nostra Chiesa, perché essa divenga sempre più accogliente, missionaria e solidale con i poveri, e possa contare sempre meglio sulla collaborazione corresponsabile dei laici, soprattutto nelle comunità ecclesiali di base. »
(Lettera per il Natale 2003)

Il ruolo dei poveri nella storia della salvezza

Un secondo aspetto presente nelle convinzioni profonde di Dom Franco fu la consapevolezza di quella realtà che nella terminologia della teologia della liberazione veniva indicata come "irruzione dei poveri nella storia".

Seguendo le scelte fatte dalle Chiese dell'America Latina nella conferenza di Medellin nel 1968, Dom Franco considerava i poveri non solo oggetto della sua compassione, ma luogo teologico, da cui partire per scoprire la volontà di Dio fatto uomo, il quale, offrendosi sulla croce, chiama tutti alla vita in abbondanza.

La sua formazione teologica e sociologica gli permise di ben articolare i due poli: quello della compassione e quello della trasformazione, quello dell'amore misericordioso e quello della liberazione integrale.

Dom Franco ebbe sempre un immenso rispetto della cultura dei poveri, della loro storia, della loro religiosità, aspettando con pazienza il momento della liberazione dalle catene del fatalismo, della rassegnazione e dello scoraggiamento. Dedicava ai poveri buona parte del suo tempo e del suo spazio. Li considerava maestri e, ascoltandoli religiosamente e amandoli teneramente, lasciava che determinassero le sue scelte come missionario, padre e vescovo.

« Strappa il cuore vedere e accogliere ogni giorno, mamme, bambini, anziani che vengono per chiedere aiuto, ricevere una parola di speranza, un gesto di fraternità. Il Signore ci aiuti a non scoraggiarci, a non chiuderci in una religiosità intimista, a credere che Lui costruisce la storia attraverso piccoli gesti d'amore dei poveri. »
(Lettera agli amici per il Natale 1999)

L'incarnazione in mezzo al popolo

Un altro aspetto della vita di dom Franco fu la necessità di "essere con" e di inserirsi nella vita della gente con umiltà e determinazione, cosciente sempre di essere un ospite e uno straniero:

« Io sono convinto che uno dei nostri doveri prioritari come missionari sia quello di vivere nell'incarnazione in mezzo al popolo, la provvisorietà della nostra presenza, creando progressivamente le condizioni per una autonomia della Chiesa locale. Senza accomodarci, senza istallarci, anche se con la nostra gente ci troviamo benone. »
(Lettera del settembre 1975)

Durante il periodo di permanenza a São Paulo nello scolasticato dei Missionari Comboniani raccontò:

« Il vivere a contatto con questa gente povera, il cercare di condividere i suoi problemi, le sue speranze, il cercare di capire i suoi valori, è un grande aiuto per noi per andare al sodo e cercare di convertire la nostra mentalità e i nostri atteggiamenti. Il povero dà il tono alla nostra preghiera e al nostro stile di vita. Anche se non riusciamo sempre ad essere coerenti. »
(Lettera del giugno 1986)

L'incarnazione per Dom Franco non era dunque una opzione strategica o facoltativa per la vita missionaria, ma prima di tutto un atteggiamento interiore indispensabile, frutto di una chiara coscienza che il vero protagonista dell'evangelizzazione è lo Spirito di Gesù Cristo, così come commentò con i suoi amici:

« Il cammino dell'evangelizzazione è lento e quotidianamente è una sorpresa perché la cosa più importante è scoprire l’iniziativa del Cristo che lavora nelle angosce e nelle speranze del popolo. Per questo l'incarnazione della parola e di noi stessi è dura e difficile. »
(Lettera dell'aprile 1976)

La prospettiva dell'Esodo

Un altro aspetto della spiritualità di dom Franco fu la prospettiva dell'esodo. Tutte le volte che dovette lasciare il suo lavoro soffrì molto il distacco. Così confessava quando dovette lasciare il suo primo impegno missionario in Brasile:

« Mi spiace lasciare il mio lavoro umile nella base di Pastos Bons e Nova Iorque: mi sembra che per garantire una continuità di lavoro un padre dovrebbe rimanere in un luogo mai meno di 5 anni. »
(Lettera del gennaio 1975)

E quando dovette lasciare lo scolasticato di São Paulo scrisse:

« Questi mesi sono stati per me molto intensi ed anche un po' difficili. Mi è costato lasciare la mia comunità e la mia gente povera di São Paulo: mi accorgo sempre di più che questi distacchi sono il pane, per la verità un po' amaro, della vita missionaria. »
(Lettera del febbraio 1987)

Nonostante i dispiaceri, non viveva di rimpianti. La sua duttilità nell'adattarsi si articolava con la capacità di fare sintesi e di intravedere prospettive nuove e promettenti:

« Credo che la mia partenza per la missione ci ha aiutati a pensare che la cosa più importante non è venire in Brasile o rimanere in Italia (ciascuno ha la sua strada): più importante è partire tutti i giorni da se stessi e da una visione statica, rassegnata e accomodante per aprirci a cammini sempre nuovi che mantengono vivo e creativo il nostro spirito e alimentano in noi la speranza, l'autenticità, la ricerca, l'apertura agli altri, la gioia di vivere. »
(Lettera del febbraio 1986)

Il Regno di Dio si manifesta nell'incontro con l'altro

Fu ferma convinzione di dom Franco che il Regno di Dio si rivelasse attraverso l'intreccio di relazioni profondamente umane ed evangeliche. Considerava l'incontro con l'altro come un'occasione di crescita e di promozione dei valori.

« In ogni modo sono convinto che il mio ruolo di coordinatore mi chiede soprattutto lo sforzo di far crescere l'amicizia tra tutti noi, il gusto di trovarci insieme, di aiutarci, di procurare ciascuno i passi dell'altro, di stimolarci senza sederci soddisfatti, perché anche questo è segno di liberazione e di crescita al servizio del popolo. »
(Lettera dell'aprile 1975, dopo essere stato nominato coordinatore della pastorale della diocesi di Balsas)

E questa convinzione veniva espressa sempre più lucidamente e con insistenza, verso la fine della sua vita, attraverso delle immagini:

« I missionari sono chiamati a dare e a ricevere e condividere. Sono come api di Gesù che cercano fiori dappertutto, tra tutti i popoli. Nel contatto ricevono il polline per lavorarlo in favore della vita. È un lavoro di molta pazienza, di presenza umile e rispettosa che potrà produrre un miele con mille sapori diversi e farà sperimentare la dolcezza inesauribile dell'incontro con Dio della vita presente nel cammino di tutti i popoli. »
(Dall'articolo Cammini e sfide della Chiesa)

Durante il suo ministero episcopale avvertiva la necessità e l'urgenza di creare reti di solidarietà e di interscambio per la realizzazione di un mondo sempre più solidale, di sognare alto. Ciò si traduceva in un appello a tutte le Chiese di tutti i continenti:

« Non sarebbe auspicabile realizzare dei congressi missionari continentali in Africa, Asia, Europa come già avvengono in America e pensare di farli confluire in un grande Forum Missionario Mondiale che, in comunione con il Papa e con tutte le Chiese, e aperto all'ecumenismo e al dialogo interreligioso, possa diventare una cassa di risonanza contro l'attuale globalizzazione del mercato, l'etnocentrismo, la violenza e la guerra? Sarebbe uno strumento significativo in favore di un nuovo progetto di vita basato sulla sobrietà, la condivisione, il rispetto delle culture e delle sovranità nazionali. »
(Dall'articolo Cammini e sfide della Chiesa)

Servizio alla vita

Dom Franco scelse come motto per il suo stemma episcopale le parole del Vangelo secondo Giovanni "Ut vitam habeant" ("Che abbiano la vita", Gv 10,10 ). Su questa linea, iIl servizio alla vita fu la costante più significativa della sua spiritualità e della sua missione. Non faceva distinzioni di persone, ma le sue preoccupazioni erano soprattutto per coloro che erano esclusi e in un certo senso vivevano emarginati nella società. Si interessò della vita dei senza terra, dei disoccupati, dei pescatori, dei lebbrosi, dei drogati, dei giovani, degli indios, degli afroamericani, delle donne, degli anziani.

« Adesso sono qui a Pastos Bons. Le circostanze concrete mi hanno buttato subito nella mischia. Mi accorgo che devo frenare un po' le reazioni emotive di fronte a tante miserie per lasciare lavorare la testa e per trovare l'atteggiamento più corretto e più utile per fare il bene vero a questa gente e lasciarmi aiutare dagli immensi valori che essi posseggono anche se a volte sepolti a causa della secolare oppressione di cui sono stati e sono vittima. »
(Lettera del luglio 1972, agli inizi del suo ministero missionario)

Dinanzi alle calamità naturali non ebbe indugio ad aprire le porte delle chiese e dei centri comunitari per accogliere i "flagelados", cioè gli sfollati. In sintonia con tutto il movimento della "Riforma Agraria" in Brasile, Dom Franco dedicò molto tempo alla soluzione del problema della terra; prima di tutto a partire dalla situazione che trovò nella parrocchia dove iniziò il suo ministero:

« Avverto solo la violenza di questa ora, in cui il popolo non è protagonista, ma oggetto passivo e forse tra poco vedrà crescere la necessità di andarsene, perché le grandi estensioni serviranno all'allevamento del bestiame, che richiede una ridottissima manodopera. Queste sono le sfide alla creatività del nostro lavoro pastorale. Con questi problemi deve fare i conti la Pasqua di quest'anno, e la sua proposta di liberazione. Non riesco a fare troppe distinzioni tra orizzontalismo e verticalismo: è tutto interdipendente. La preghiera deve partire da questi problemi, la Parola di Dio mette in crisi i nostri schemi pre-fabbricati; la speranza umana del popolo è il sacramento necessario della pienezza della speranza totale che il Cristo risorto ci propone e ci regala. »
(Lettera dell'aprile 1976)

Dinanzi alla miseria Dom Franco si prodigò nella ricerca, presso i suoi amici in Italia e presso vari organismi, di mezzi materiali per far progredire le numerose iniziative che intraprendeva. Questa carità non diventò mai assistenzialismo, e fu l'occasione per creare reti di solidarietà tra gli agenti di pastorale, i religiosi, i confratelli e le consorelle, uomini e donne della società civile, i suoi amici e i benefattori della missione.

La carità nella logica di Dom Franco fu sempre il primo passo di amore e di fiducia verso i poveri, affinché essi non solo diventassero protagonisti della loro stessa liberazione, ma aprissero il cuore alle necessità di altri poveri, vicini e lontani. In questa prospettiva impegnò la sua Diocesi e le altre Chiese dello stato di Maranhão in una catena di solidarietà con i poveri del Mozambico:

« C’è un'altra bella notizia che voglio comunicare: il buon avvio del progetto di solidarietà delle diocesi della nostra regione con la diocesi di Lichinga in Mozambico. È un'esperienza di interscambio ecclesiale a cui stiamo lavorando da parecchio tempo. Ci sono già i primi frutti. Siamo riusciti a preparare e inviare i primi quattro missionari. In agosto ne partiranno altri tre. Secondo una logica umana è assurdo che, con tanta necessità che abbiamo qui, si pensi di aiutare altre Chiese. Ma nella logica del Vangelo sono convinto che dobbiamo sempre condividere quel poco che abbiamo con chi ha meno di noi. Sono certo che questo gesto di condivisione ecclesiale aiuta le nostre diocesi a crescere e maturare. »
(Lettera per la Pasqua 1998)

L'impegno per la difesa della vita portò don Franco ad andare anche alle cause che determinano e in un certo senso perpetuano la miseria e lo sfruttamento dei poveri. Così spiegava cosa intendeva per liberazione:

« La liberazione supera i confini della storia perché è Cristo che ce la regala ma non salta la storia; le varie liberazioni storiche sono segno e sacramento della liberazione totale. Il Regno di Dio è l'uomo che cresce; evangelizzare è annunciare efficacemente con la parola e con i fatti la promozione dell'uomo in tutte le sue dimensioni: spirituale e materiale, personale e strutturale, mondana e ultra-mondana, terrena e eterna. »
(Lettera del settembre 1977)

Il discernimento dei segni dei tempi e dei luoghi

Dom Franco provò a tradurre nella sua azione missionaria uno degli avvertimenti che il Concilio Vaticano II ricordò a tutta la Chiesa, cioè quello di leggere e discernere i "segni dei tempi" nell'azione pastorale (cfr. Gaudium et spes, 4).

In America Latina, in particolare, questo appello del Concilio venne accolto con sollecitudine dalle Conferenze Episcopali, dai religiosi, dai missionari e dalle comunità ecclesiali di base. La Chiesa latinoamericana approfondì il fatto che il discernimento dei tempi e dei luoghi per essere efficace deve essere frutto della ricerca costante e tenace di tutto il popolo di Dio e quindi corroborata dalla ricerca scientifica, soprattutto negli ambiti della sociologia, dell'antropologia e della storia, ma sempre illuminata dalla Parola di Dio e dalla fede.

Scrisse dom Franco:

« Mi ha sempre impressionato nella lettura evangelica della Pasqua la figura della Maddalena che piange perché non riconosce il Maestro vivo presso di lei. Mi sembra l'immagine di tutti noi ogni volta che giudichiamo la storia senza considerare che Cristo è vivo e presente. »
(Lettera del marzo 1992)

Già all'inizio del suo ministero aveva chiara questa prospettiva di fede che poi approfondì sempre di più:

« Dio non è morto anche se spesso mettiamo una grossa pietra sulla sua tomba perché non venga a buttare all'aria i nostri piani con tutti gli idoli delle nostre illusioni. Dio non è in naftalina, anche se ci farebbe comodo. Dio è senza etichette perché ha il volto di ogni uomo, è una continua sorpresa perché continuamente ci interpella nelle domande piccole e grandi della nostra vicenda umana. »
(Lettera del febbraio 1972, scritta durante il viaggio verso il Brasile)

Rivelare il cuore di Dio

Dom Franco dedicava molto tempo alla predicazione ed annunciava la Parola di Dio servendosi di ogni mezzo che potesse farla arrivare con semplicità a chi lo ascoltava: usando similitudini e parabole riusciva a rendere semplice e comprensibile quello che era complicato e complesso. Nel Nordest arrivava perfino a cantare, ben conoscendo la sensibilità della gente del posto a questa forma di comunicazione. Tuttavia era anche convinto che il mezzo migliore per comunicare la Parola di Dio fosse la testimonianza della propria vita e la vita fraterna.

Per lui l'azione e la contemplazione dovevano sostenersi e alimentarsi a vicenda, e in questa linea nella sua diocesi di Balsas aprì un luogo chiamato "La Casa di Preghiera":

« Sarà un luogo di silenzio orante e di contemplazione del volto di Cristo nella sofferenza, lotta e speranza dei poveri. Stiamo adattando a questo scopo una casa che sarà abitata da una comunità contemplativa inserita in un quartiere povero, aperta all'accoglienza dei sacerdoti, religiosi e religiose, equipe pastorali, giovani, coppie di sposi che desiderano fare un'esperienza di preghiera. »
(Lettera in occasione della Pasqua 2002)

Dom Franco è stato un servitore convinto della comunione e della riconciliazione tra le persone, tra le Chiese e tra i popoli. Tutta l'esperienza come padre, missionario e vescovo è stata caratterizzata da una spiritualità trinitaria: essere strumento docile nelle mani di Dio per appianare le strade, affinché nell'incontro fraterno splendesse il volto di Dio.

Incominciando il suo ministero, con molta chiarezza e lungimiranza affermava:

« La nostra preoccupazione prioritaria è fare del nostro lavoro un'esperienza di crescita comunitaria, nella convinzione che quello che vale più di tutto, anche nell'efficacia pastorale è il nostro essere insieme attorno a Cristo e fare della nostra vita l'espressione e la testimonianza di una ricerca di dialogo e di comunione»
(Lettera scritta verso la fine del 1972)

Raccontando poi di una manifestazione alla quale partecipò nell'anniversario dello sbarco di Pedro Álvares Cabral a Porto Seguro sulle coste dello stato di Bahia (22 aprile 1500) così scrisse:

« Noi missionari accompagnavamo gli indios nella loro marcia pacifica. Nel momento della carica della polizia contro gli indios, il primo gruppo di missionari fu circondato dai soldati e posto in arresto insieme ad altre persone. Quando mi avvisarono del fatto, io che venivo un po' indietro con altri missionari, mi misi subito in contatto con il colonnello, comandante dell'operazione, per avere spiegazioni. Come risposta il colonnello mi pose pure in arresto come presidente del Consiglio Indigenista Missionario. (...) È stata una umiliazione, ma non è stata una grande sofferenza. Vi confesso che io ho vissuto quelle ore come una grazia del Signore che ci ha permesso di essere più uniti e solidali con tanti nostri fratelli e sorelle che da cinque secoli soffrono esclusione e repressione »
(Lettera del giugno 2000)

Genealogia episcopale

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Genealogia episcopale
Predecessore: Vescovo di Balsas Successore: Arcbishoppallium.png
Rino Carlesi, M.C.C.I. 15 aprile 199817 settembre 2006 Enemésio Ângelo Lazzaris, F.D.P. I
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con
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Rino Carlesi, M.C.C.I. {{{data}}} Enemésio Ângelo Lazzaris, F.D.P.
Note
Bibliografia
  • Spiritualità Missionaria. Meditazioni, Città di Castello 1986
  • Intervista a Maria. Riflessioni di spiritualità missionaria, Bologna 2001
  • Giovanni Munari - Francesco Pierli, Il flauto invece del bastone. Vita di mons. Franco Masserdotti, EMI, Bologna 2012
Voci correlate
Collegamenti esterni
Video biografia di Dom Franco Masserdotti
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Il contenuto di questa voce è stato firmato il giorno 4 gennaio 2014 da Padre Mimmo Spatuzzi, licenziato in Teologia Fondamentale.

Il firmatario ne garantisce la correttezza, la scientificità, l'equilibrio delle sue parti.