Eremita diocesano

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Domenico Ghirlandaio, San Girolamo nello studio, affresco nella chiesa di Ognissanti, Firenze (1480). (Visse 16 anni da eremita, prima a sud di Aleppo poi a Betlemme).
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Ci sono due monete, una di Dio e l'altra del mondo e ognuna di esse ha la sua impronta coniata
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(Sant'Ignazio di Antiochia, Epistola ai Magnesii 5,2)

L'eremita diocesano professo o consacrato è un eremita (vedi Voce) di fatto, chierico o laico, che a un certo punto ha voluto e potuto emettere la professione pubblica dei tre consigli evangelici ordinari nelle mani del suo Vescovo diocesano. Egli vive in una relazione di dialogo e di fiducia con il Vescovo (e con il suo delegato), che è per lui la guida di riferimento nell'esercizio dei diritti e dei doveri del suo stato di vita. In questo modo l'eremita diocesano professo vive il suo carisma ascetico e contemplativo, che è carisma profetico, per esplicito mandato del Vescovo. ”La Chiesa infatti, riconoscendo la vita eremitica, se ne fa custode e guida mediante il ministero di cura e di accompagnamento del Vescovo diocesano. A lui compete di riconoscere e di rispettare i singoli carismi, di promuoverli e coordinarli.” (Orientamenti2021 §28a).[1]

Ha scritto mons. Domenico Sorrentino Vescovo di Assisi:

« Il carisma non è una meteora che interessa tangenzialmente la vita della Chiesa particolare: è un evento ecclesiale che la coinvolge... Esso è una "parola" detta da Dio anche alla Chiesa a cui il carismatico appartiene, come, a un altro livello, alla Chiesa universale. Esso entra nella gratia loci, intendendo con questa espressione quel corredo di grazie speciali che la Chiesa particolare... ha ricevuto e che costituisce il suo patrimonio spirituale. »
(Domenico Sorrentino, Vita consacrata e Chiesa particolare. Teologia ed esperienza, Cittadella Editrice, Assisi 2015, p. 15)

”Il Vescovo nella sua carità pastorale e a suo prudente giudizio accoglierà il carisma della vita eremitica come grazia che non riguarda soltanto la specifica vocazione di un battezzato, ma contribuisce all'edificazione di tutta la Chiesa.” (Orientamenti2021 §28c).

Questo Magistero ordinario quindi non limita l'eremitismo diocesano a un rapporto speciale tra l'eremita e il suo Vescovo, ma riguarda la formazione graduale di tutto il popolo diocesano a una visione profetico-ascetica della vita.
L'ecclesialità dello stato di vita dell'eremita diocesano fu formulata dapprima dal Codice di Diritto Canonico (CJC) nel Canone 603 §2, dal Catechismo della Chiesa Cattolica al n° 921 e dalla Esortazione Apostolica Vita consecrata ai n.ri 7 e 47; il tutto descritto nella Voce Eremita. Si aggiungano gli Orientamenti2021 (v.nota 1).


Discernimento vocazionale e formazione

Per carattere e per Tradizione, un eremita di fatto o di voti privati non insegue ansiosamente il riconoscimento pubblico del proprio stato di vita. Egli lascia le ratificazioni canoniche al grado di sollecitudine apostolica dei sacri pastori che lo conoscono. La chiamata che lo ha spinto al di là dei paradigmi di questo mondo, lo custodisce nell'abbassamento kenotico come un fertile concime sotterrato e nascosto nel giardino della Chiesa (Lc 17,10 ; Gal 6,3 ). Viene però un giorno non cercato nel quale la sua guida spirituale, il suo parroco o altri sacerdoti, gli consigliano di informare personalmente il Vescovo sulla propria scelta di vita, se essa si protrae da qualche anno e lo ha reso testimone di molte o di tutte le fasi di un cammino ascetico, in modo che l'eremita "di fatto" possa offrire alla Chiesa l'occasione di esercitare il diritto che essa ha di esaminare una sacra Vocazione, anche alla luce delle pregresse esperienze spirituali, affettive, formative e sulla sensibilità di appartenenza alla Chiesa, di quell'eremita.
”La vocazione alla vita eremitica, che i maestri della vita monastica hanno abitualmente presentato come via eccezionale in riferimento alla sua radicalità, esige un attento discernimento circa la verifica delle attitudini personali e dell'idoneità ad assumerne gli impegni. La vita in solitudine infatti [...]può essere occasione di prove, disagi, imprevisti, che richiedono di essere affrontati con senso di equilibrio e di responsabilità.” (Orientamenti2021 §30).

”Il Concilio Vaticano II e il Magistero successivo [...]hanno ribadito che la formazione non può essere circoscritta a selezionati ambiti e limitati periodi, ma è esperienza quotidiana della sequela Christi, che coinvolge la totalità della persona per custodire il dono della fedeltà e crescere nella gioia della perseveranza” (Orientamenti2021 §30). ”L'esperienza maturata lungo la storia di questa vocazione, suggerisce che, a quanti ne avvertono l'inclinazione, venga richiesto un tempo di discernimento e di formazione in un monastero o altra comunità di vita consacrata sotto la guida di una persona esperta; oppure incontri programmati con la persona o le persone incaricate dal Vescovo ad accompagnare con continuità un cammino formativo specifico. L'obiettivo è quello di una formazione che riguardi tutti gli aspetti più rilevanti dell'impegno umano, spirituale, culturale, relazionale. In questa prospettiva, l'eremita non mancherà di dare particolare rilievo ad un programma di formazione continua, adeguata al suo stato di vita. Sarà quindi necessario mantenere aperto un confronto e una verifica con la guida spirituale e con il Vescovo diocesano, che seguiranno l'evoluzione e la maturazione del cammino. In particolare, l'eremita attingerà alla grande eredità spirituale dei Padri del deserto e al patrimonio della tradizione cristiana, al Magistero e alla testimonianza dei Santi.” (Orientamenti2021 §31).[2]

In ogni caso è essenziale il principio ascetico secondo il quale, in una formazione continua, che dev'essere spirituale, il quotidiano stupore mistico dell'eremita non va offuscato dalla preoccupazione di mostrare garanzie culturali. L'eremita non deve insegnare Religione nelle scuole: se anche fosse dotto in teologia o sempre partecipe a convegni che rompono il suo tipico silenzio, ma poi non vivesse la povertà di spirito (v. sotto, "Voto di povertà") farebbe un pessimo servizio alla Chiesa in quanto segno illeggibile. Piuttosto egli impara ad usare di quella saggezza cattolica popolare che fa "...spontaneamente percepire quando il Vangelo è al primo posto nella Chiesa o quando esso è svuotato del suo contenuto e soffocato da altri interessi" (Evangelii nuntiandi 48 e CCC n°1676): egli deve essere uno "scuoiatore di apparenze". Per conseguenza l'eremita saprà vigilare affinché la propria formazione permanente non sia imprigionata in uno scadenziario amministrativo, indifferente alla sua singolare sensibilità. Il vero eremita ha intelletto non erudito ma sapienziale, ha parola verticale e occhio profetico e percepisce l'invisibile nel visibile. Il glutine della sua vera formazione continua, sa rispondere alla domanda di Cristo:

« Potete bere il calice che io bevo o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato? »
Giovanni Battista Tiepolo, Santa Caterina da Siena, celebre mistica ed eremita secolare, olio su tela (1746) Kunsthistorisches Museum (Vienna).

L' ammissione alla vita eremitica consacrata

Riguardo all'ammissione, gli Orientamenti2021 si servono delle norme usuali per l'ammissione negli Istituti religiosi "mancando una disciplina specifica" (§32a); lacuna che in futuro dovrà essere colmata.[3] In buona sostanza si opera una verifica anzitutto sulla salute fisica, sull'equilibrio psico-affettivo, sulla sufficiente maturità e sull'indole adatta (§32b). Utile aggiungere che l'indole ha due componenti: il temperamento, o insieme delle tendenze ereditate geneticamente e il carattere, cioè il risultato psichico delle interazioni ambientali. C'è chi rimane schiavo del proprio temperamento per tutta la vita, ma la ragione e la volontà, doni di Dio, possono far raggiungere scopi elevati come ad esempio purificazione e discernimento, formando così la personalità matura, che adatta i propri ideali alla realtà esterna. Un aspirante eremita che fosse incline a egotismo, a permalosità, a maldicenza, a faziosità, mostrerebbe di non aver raggiunto la maturità psicologica e spirituale necessaria a ogni tipo di vita consacrata.
Tale maturità viene confermata anche dall'aver attraversato "notti dei sensi e dello spirito", cioè tribolazioni incise per sempre nella memoria, specialmente emarginazioni e maldicenze: "Su chi volgerò lo sguardo? Sull'umile e su chi ha lo spirito contrito" (Is 66,2 ); "Le tribolazioni non solo non distruggono la speranza, ma ne sono il fondamento" (San Giovanni Crisostomo, Sulla Lettera ai Romani, 9,2). Perché "Non tutti i santi cominciarono bene, ma tutti hanno finito bene" (J.M.Vianney Santo Curato d'Ars) e "Ogni santo ha avuto un passato e ogni peccatore ha un futuro" (Papa Francesco).

A questo punto va tenuto conto, caso per caso, dell'età del candidato alla consacrazione eremitica "...da stabilirsi in relazione alle sfide e alle esigenze richieste dalla vita solitaria" (Orientamenti2021 §32). La comunione ecclesiale postula il santo abbandono in Dio anche sul progredire dell'età e sulle situazioni che ricordano la drammaticità e la precarietà dell'esistenza. Va dunque ponderata non tanto la prestanza fisica quanto l'esperienza e la maturità umana dell'aspirante, che crescono con l'età. Pertanto non pare saggio stabilire un'età massima di ammissione uguale per tutti, come usa nelle società sportive; piuttosto è prudente stabilire un'età minima. È bene meditare sulla circostanza che i maggiori esempi di santità e discernimento furono storicamente offerti dagli eremiti in età così avanzata da esser chiamata "veneranda": "...ma se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore invece si rinnova di giorno in giorno" (2Cor 4,16 ). Dai Padri della Chiesa e del deserto fu sempre constatato come, genericamente, fosse prematura l'età giovanile per scelte permanenti di vita eremitica, con vagliate eccezioni per alcuni chierici.

Si passa quindi a considerare la sua vicenda biografica, eventuali esperienze in precedenti àmbiti formativi diocesani o di vita religiosa e i motivi di un avvenuto abbandono, spontaneo o imposto. Va aggiunto quanto sia utile che un aspirante laico abbia visitato Case Religiose sia di vita contemplativa che di vita attiva, abbia affrontato in passato discernimenti vocazionali assistiti e abbia collaborato in attività parrocchiali. Se i candidati sono stati membri di un Istituto di vita consacrata, viene chiesto il parere scritto del Superiore maggiore.
Da ultimo si accerta che l'eremita non abbia debiti o altre pendenze, sia di carattere civile che penale che canonico.


Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Eremita


La professione dei consigli evangelici

Consacrare, cioè "rendere sacra" una cosa o una persona, significa sottrarla all’uso profano e destinarla esclusivamente al culto di Dio. ”Gli eremiti che scelgono di consacrare l'intera esistenza a Dio mediante i consigli evangelici di castità, povertà e obbedienza, con la professione pubblica nelle mani del Vescovo diocesano, con voto o altro vincolo sacro, sono riconosciuti [...]nello stato di vita consacrata.” (Orientamenti2021 §33b).[4] ”L'atto liturgico pubblico presieduto dal Vescovo diocesano, con il quale l'eremita emette la professione dei consigli evangelici [...]può aver luogo in una chiesa della diocesi [...]oppure nella chiesa della parrocchia in cui si trova l'eremo o nella chiesa dell'eremo stesso...” (Orientamenti2021 §37a). ”Qualora l'eremita volesse indossare un abito segno della sua consacrazione, lo deciderà in accordo con il Vescovo.” (Orientamenti2021 §37b).[5]

Il consiglio di castità impegna alla continenza perfetta nel celibato (inteso anche come nubilato). Il/la fedele che abbia ottenuto la sentenza di nullità del proprio matrimonio è considerato celibe o nubile. Va ricordato che la storia dell'eremitismo cristiano tramanda casi di anziani coniugi eremiti che condussero vita nel deserto osservando la continenza perfetta. Casti si diventa. La castità è un'offerta sacrificale a Dio, perché loda il Signore non solo con la mente ma anche col corpo, non solo con la bocca ma anche con l'affettività, e può far sentire nascostamente una musica e una danza che prende il cuore, fino a far male per la gioia. Chi la prova lo sa. Il voto comporta altresì la pratica dell'ascesi, la diffidenza di sé nelle tentazioni, la custodia dei sensi e del cuore e la mortificazione (Orientamenti2021 §34). La mortificazione è la molla del fervore secondo San Tommaso e consiste nella preghiera di espiazione dei peccati, nel digiuno (CCC 2043) anzitutto dal peccato ma vedasi anche Is 58,6-7   e nell'elemosina (CCC 2447). La mortificazione è ridurre all'inerzia di un morto (2Cor 4,10 ) ogni concupiscenza. Per Sant'Agostino era lo sforzo per crescere nella capacità di amare come Cristo; per San Benedetto consisteva nell'umiltà.[6]

Il consiglio di povertà si traduce in povertà di fatto e in povertà di spirito (Orientamenti2021 §35 e Can.600 CIC).
Povertà di fatto: ”Il consiglio di povertà comporta la dipendenza e la limitazione nell'uso e nella disposizione dei beni; stabilisce inoltre in quale modo l'eremita rende conto della propria gestione economica al Vescovo, con riferimento sia ai proventi delle attività lavorative, sia a quanto l'eremita percepisce da altre fonti...” (Orientamenti2021 §39e) ad esempio elemosine, donazioni ed eredità. ”La vita dell'eremita si caratterizza [...]per un'operosa sobrietà ed estraneità alle ricchezze terrene e per l'impegno nella comune legge del lavoro [...]Ordinariamente, l'eremita si mantiene con un lavoro compatibile con le esigenze della vita eremitica, in particolare la solitudine e la preghiera. [...]Il Vescovo diocesano, prima dell'accoglienza in diocesi e dell'eventuale professione, avrà cura di accertare quali risorse assicurino all'eremita un adeguato sostentamento, i reali mezzi di sussistenza, la copertura sanitaria e la previdenza sociale; qualora si presentasse l'esigenza di ricorrere ad ulteriori risorse, l'Ordinario la valuterà a suo prudente giudizio” (Orientamenti2021 §40).
Povertà di spirito: essa comprende la semplicità, la sobrietà e l'austerità di vita (Orientamenti2021 §35b). Bisogna aggiungere che per un eremita e un anacoreta comprende soprattutto: mitezza, mansuetudine, operare nel nascondimento senza ricevere onore, occupare il posto più basso fra tanti, non cercare il proprio interesse ma quello degli altri, portare con serena gratitudine la propria croce, sentire di essere in debito con tutti, concepire se stesso in termini di gratuità e non di tornaconto, anelare ai beni che non passano a cui tutti siamo chiamati, cercare solo la volontà di Dio e non la propria, la sua amicizia e non quella di persone influenti (Ger 17,5-7 ), accogliere serenamente per questi scopi le purificazioni che Dio permette, riponendo in Dio una fiducia senza limiti e quindi accettare il mistero, preferire il silenzio, non conoscere l'ansia.

Il consiglio di obbedienza impegna l'eremita diocesano "...a dipendere dal Vescovo suo legittimo Superiore, secondo il progetto di vita." (Orientamenti2021 §36). Quindi la prima obbedienza va esercitata verso il Progetto di vita approvato: esso è un bene da amare, perché il Signore ci ha lavorato molto sopra per offrirlo alla Chiesa. Fin dall'eternità Egli ha disposto che sorgesse tale pianta nel suo giardino: ogni Norma o Progetto di vita è un laborioso disegno di Dio e l'eremita è solo un piccolo punto di quel disegno. "... nel progetto si esplicitano gli orientamenti che devono essere sottoposti al discernimento e alla decisione del Vescovo diocesano, quale legittimo Superiore; viene inoltre stabilita la linea da seguire nelle relazioni con il Vescovo e gli impegni nei confronti della diocesi. Se l'eremita è vincolato ai voti, devono essere stabiliti preferibilmente nel progetto: la durata dei periodi di assenza dall'eremo[7]; l'inserimento o servizio nell'ambito diocesano [...]in quali casi sia richiesta l'autorizzazione del Vescovo." (Orientamenti2021 §39f,g; v. la Sezione successiva "Progetto di vita"). Il Vescovo ha un interesse pastorale e paterno nel facilitare l'obbedienza, sia ispirando fiducia nella propria sincerità, sia nel rendere trasparenti i propri desideri. Può anche stimolare la discussione comune di un problema importante, in vista dell'elaborazione di un piano d'azione condiviso; a volte le osservazioni in contrario sono provvidenziali, quando un anziano eremita offre il consiglio di una propria lunga esperienza diretta, che può scongiurare un grave inconveniente futuro.

Progetto di vita e apostolato dell'eremita diocesano consacrato

Va chiarito che il Progetto di vita di un eremita, non essendo univoco per tutti gli eremiti, è anzitutto il Progetto di vita di Dio per quell'eremita; il quale eremita dunque, a Dio deve rivolgersi per capire cosa gli chiede. Riguardo a questa vocazione specialissima, un Progetto di vita non vuol costringere in una forma angusta un'ascesi così particolare (idioritmica) come quella eremitica. "La Chiesa desidera rendere grazie per questa «perla preziosa» (Mt 13,44)..." (Orientamenti2021 §1c). Il Progetto vuol svelare piuttosto una perla preziosa da proteggere in una forma, come un'ostrica, dato che senza un guscio non può crescere una perla. Esso quindi deve presentare ”...in modo sobrio ed essenziale gli elementi spirituali e normativi della specifica identità vocazionale. [...]Nell'elaborazione del progetto di vita -redatto in conformità al diritto universale e particolare, al Magistero e alla tradizione della vita eremitica- [...]l'eremita puntualizza gli obblighi e gli impegni derivanti dall'assunzione/professione dei consigli evangelici di castità, povertà e obbedienza mediante voto o altri vincoli sacri. [...]In particolare, nel progetto si esplicitano gli orientamenti che devono essere sottoposti al discernimento e alla decisione del Vescovo diocesano, quale legittimo Superiore; viene inoltre stabilita la linea da seguire nelle relazioni con il Vescovo e gli impegni nei confronti della diocesi. Se l'eremita è vincolato ai voti, devono essere stabiliti preferibilmente nel progetto: la durata dei periodi di assenza dall'eremo; l'inserimento o servizio nell'ambito diocesano; l'eventualità di tempi e spazi per l'accoglienza e l'ospitalità; in quali casi sia richiesta l'autorizzazione del Vescovo. A tal fine, risulta opportuno che l'eremita interessato alla stesura del progetto e il Vescovo diocesano chiamato ad approvarlo, si avvalgano della consulenza di persone esperte, capaci di giudicare la reale congruità tra i valori sanciti e le esigenze proprie della vita eremitica. La prudenza ecclesiale suggerisce di procedere per gradi, ricorrendo anche all'approvazione ad experimentum del progetto, per un determinato periodo prima dell'impegno definitivo. Col trascorrere degli anni è possibile che si renda necessaria una revisione; in tal caso le modifiche saranno sottoposte al Vescovo per la necessaria approvazione.” (Orientamenti2021 §39).[8]

L'essenza della vocazione eremitica non consiste nella continua collaborazione all'azione pastorale attiva: consiste nel combattimento "nel deserto" in un respiro contemplativo, esercitando l'apostolato della preghiera e della penitenza, con fastidio verso l'effimero e il superfluo. Consiste in un esempio evangelico di vita che ha a cuore la trasmissione testimoniale della fede, che si spende nell'adorazione dell'Assoluto, che affonda nel suo mistero sotto il segno della gratuità e senza umano compenso. Questa grazia quindi, "...di una più rigorosa (artiore) separazione dal mondo..." (Can.603 CIC), va rispettata al pari di quella dei membri degli Istituti interamente dediti alla contemplazione, i quali "...per quanto urgente sia la necessità dell'apostolato attivo...non possono essere chiamati a prestare l'aiuto della loro opera nei diversi ministeri pastorali" (Can.674 CIC). ”Nel caso dell'eremita presbitero, l'esercizio pastorale del ministero sacerdotale deve essere occasionale e non prevalente; per tale ragione anche il Vescovo s'impegna a tutelare la peculiare vocazione dell'eremita e a non considerarlo a piena disposizione delle esigenze pastorali della Chiesa locale.” (Orientamenti2021 §40b). Criterio che mutatis mutandis, dovrebbe vigere anche per l'eremita laico, in quanto il Magistero non prevede per gli eremiti la tradizionale figura monastico-cenobitica del “fratello converso”.

D'altro canto, un eremita diocesano consacrato non è un anacoreta recluso, non è un 'hikikomori' e l'eremo non è un rifugio di persone accidiose, perciò egli stesso non vuole assolutizzare la solitudine, non vuole porre condizioni difensive allo Spirito Santo, ma accetta di vivere la vita di Nazareth a imitazione di Cristo, di proclamare la Parola di Dio nell'assemblea (Lc 4,16-17 ) e di lavare i piedi agli amici (Gv 13,4-15 ), rimanendo aperto alle imprevedibilità dello Spirito dovunque decida di condurlo per compiere un'opera di misericordia. L'astenersi da una carità necessaria e richiesta, non potrebbe risultare spiritualmente fruttuoso se diventasse una frustrazione irrimediabile per chi ha bisogno di ricevere quella carità: se lo sguardo di un eremita non esprime fraternità verso chiunque, si può star certi che quegli occhi non contemplano Dio.
L'eremita, ”...accolto in una diocesi, non può dirsi “estraneo” alla sua vita, al territorio in cui abita, ad una storia di santità incarnata in tradizioni spirituali e pastorali, alle istituzioni di una concreta comunità.” (Orientamenti2021 §29a). L'allontanarsi dal mondo infatti, vale nella Chiesa solo nella misura in cui questa condizione dilata il cuore nella carità (1Cor 13, 2-7 ) e il frutto della carità è il servizio nella gratuità. Il vincolo sacro dell'obbedienza al Vescovo permette di provvedere a necessità ecclesiali urgenti, che possono avvalersi della collaborazione di un eremita in alcuni àmbiti consoni alla sua vocazione. Anche un eremita professo laico, se anziano e preparato, può essere invitato da alcuni fedeli a svolgere servizi nella Chiesa particolare o all'ascolto e all'accompagnamento spirituale in gruppi di preghiera o in associazioni di diritto pontificio, ripercorrendo così una santa e celebre tradizione testimoniale del deserto. Ove non fossero disponibili diaconi permanenti, l'eremita laico, su mandato vescovile, può guidare liturgie della Parola di Dio in assenza di celebrazione eucaristica.
Non fa bene a un eremita diocesano che intercede nella preghiera, ignorare quanto accade nella sua diocesi, nella sua nazione e nel mondo, perché egli partecipa alle speranze e alle delusioni della Chiesa (Gaudium et Spes 1. Cfr. Vita consecrata 39, Esortazione apostolica di Giovanni Paolo II).

In ogni caso del resto -come ogni eremita sa- presto o tardi il suo volto diventa pubblico e il contemplativo si scopre "contemplato" dai curiosi, che vogliono vedere se anche in una piatta realtà sensibile, lui sappia conservare la gioia del Tabor (gioia: Gv 15,11 ; Fil 4,4 ).

L'eremo urbano o di città

Vi sono sempre stati eremiti sia nelle campagne, che sui monti, che nelle città: il loro eremo infatti, prima che un luogo geografico, è una condizione interiore. Il requisito sostanziale di un eremo consiste nello stato del cuore di chi lo abita in appartata quiete, umile e adorante, anche nei momenti di ricreazione; non consiste in un luogo disabitato e impervio, circostanza accidentale e suggestiva ma non costitutiva, come non è costitutiva la presenza nell'eremo di una foresteria. Il deserto o eremo è qualunque luogo di penitenza e nascondimento che venga scelto da Dio per organizzare il combattimento spirituale annunciato in Ef 6,10-18; Gal 5,16-25; 1Gv 2,15-17; Gc 1,12. Lì si eleva un fronte di resistenza a ciò che è "carnale", cioè egotistico: alla vanagloria, all'utilitarismo, al pregiudizio.

L'eremita laico (secolare) fu sovente unico arbitro sulla scelta del proprio domicilio o eremo, perché Dio stesso l'ha deciso per lui. Un esempio agiografico celebre è quello di Santa Caterina da Siena, grande penitente e mistica fin dall'infanzia, eremita di città in casa propria e Terziaria domenicana.
Si dice eremita urbano l'eremita che ha il proprio eremo in una città, grande o piccola, a volte offerto dal Vescovo, altre volte in un appartamento che fu la casa paterna, senza alternative praticabili. La città oggi è un luogo vero della solitudine moderna e del combattimento contro i nuovi demòni. In essa gli eremiti percorrono la via che San Giovanni Climaco eremita e abate, e altri Padri della Chiesa chiamarono Regale (Basiliké Odos) ossìa un'alternanza fra la continua solitudine orante e qualche breve uscita per collaborare in un servizio ecclesiale. Si tratta di un tipo di eremiti convinti che il sale e il lievito vadano messi ben dentro la pasta e non accanto ad essa, che una lampada vada ogni tanto posta sul tavolo e non sotto (Mt 5,13-16; 13,33 ); quindi proprio nel tessuto della vita diocesana e parrocchiale "...dono di sé non come nascondimento dagli uomini, ma come nascondimento in mezzo agli uomini" (Orientamenti2021 §10b). In tal modo questi asceti superano lo stereotipo profano dell'eremita inteso come uno strano misantropo o come un raro aneddoto di santità inimitabile in qualche landa agreste, conosciuto solo da chi è andato faticosamente a scovarlo. Questa scelta, ponderata con il direttore spirituale e con altri eremiti, dev'essere descritta nel Progetto di vita insieme ai suoi effetti (ad esempio la maggior facilità per l'eremita laico di città nel partecipare alla Messa quotidiana).[9]

Può sembrare che in una città non si goda un perfetto silenzio esteriore ma, così come per l'eremo rurale, il silenzio vero è nel cuore; può sembrare che in città ci siano troppe distrazioni dannose alla contemplazione, ma il pericolo non sta nelle tentazioni, che anzi un eremita aspetta per combattere il maligno, ma sta nella volontà che consente o rifiuta; in città manca l'immersione in un idillico ambiente agreste, il quale però, può non essere salubre o conveniente per tutti. A un eremita è adatto solo il luogo che il Signore preferisce per lui, suggerito da molti segnali e indizi. Se la chiamata di Dio è per una collocazione urbana, sarà accompagnata dalla grazia necessaria. La preziosa e silente ascesi in una città, ricorda che il silenzio occorre alla vita interiore di tutti, oggi specialmente in zone urbane, e che in essa l'eremita testimonia a tutti, in modo facilmente conoscibile, la provvisorietà del tempo presente.

Gli eremiti di città, sempre esistiti ma in grande crescita nei tempi moderni, abbracciano con determinazione le mortificazioni legate alla loro vocazione, sia prevedibili che imprevedibili. Essi, nel loro eremo urbano, si sottopongono a una faticosa formazione penitenziale e sulle virtù cristiane, impartita casualmente proprio da quei cittadini che si mostrano ostili alla fede o allo stile ascetico di vita. Costoro infatti inducono gli eremiti a guardare in faccia la loro vera inclinazione, l'umiltà o l'orgoglio, a dare un nome a cosa si muove davvero nel loro cuore e a collaudare così il loro cammino testimoniale, in modo più efficace di quanto oserebbe imporre un inflessibile superiore religioso. Il Padre del deserto Abba Zosima, uno dei maestri di San Doroteo di Gaza, soleva dire:

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Chi ha offerto a santo Stefano la sua gloria, se non quelli che l'hanno lapidato?...così si può guadagnare da tali maldicenti quanto abbiamo perduto a causa di quelli che ci lodano.
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Alle persone consacrate è chiesto di offrire la loro testimonianza con la franchezza del profeta, che non teme di rischiare anche la vita.
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(Vita consecrata 85-86)

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Note
  1. Nell'anno 2021 è stato pubblicato il documento della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica La forma di vita eremitica nella Chiesa particolare. Ponam in deserto viam (Is 43,19) Orientamenti, per i tipi della Libreria Editrice Vaticana. In questa Voce come anche nella Voce Eremita, viene citato frequentemente con l'abbreviazione Orientamenti2021, trattandosi della prima esposizione normativa sulla vita eremitica diocesana moderna, preparata dalla Santa Sede.
  2. Se la formazione alla vita eremitica e anacoretica fatta svolgere in una comunità di vita consacrata, fosse una prescrizione esclusiva, obbligherebbe a formare tutti i chiamati alla vita solitaria in Istituti di vita comunitaria, con possibili dissonanze vocazionali; inoltre potrebbe creare difficoltà all'attività lavorativa degli eremiti laici (Orientamenti2021 §40). Molto avvedutamente quindi viene offerta, subito dopo, l'alternativa degli incontri programmati con persone incaricate dal Vescovo (più sono meglio è) di accompagnare con continuità la formazione specifica; a buona ragione non è indicato lo stato di vita di codesti incaricati, che possono essere anche sacerdoti secolari non solo regolari, se anziani e ben abituati a numerosi anni di vita solitaria, eminenti per santità di vita e per dottrina, specialmente se conoscono da molto tempo e con frutti spirituali l'eremita, con le sue esigenze particolari e i suoi carismi personali. In tal caso si trovano nella migliore disposizione per coinvolgere in modo psicologicamente profondo l'impegno umano, spirituale, culturale, relazionale dell'eremita (Orientamenti2021 §31). Questo impegno si esplicita innanzi tutto nella carità fraterna, unica prova autentica dell'amore verso Dio (1Gv 4,20-21 ).
    Se poi un aspirante laico fosse del tutto sprovvisto di una formazione dottrinale di base certificata, il Vescovo a buon diritto potrebbe consigliargli di procurarsela con ritmi e cicli da concordare adeguati al suo stato di vita (§31) per offrire una più efficace risposta alla chiamata divina e per il beneficio del popolo di Dio.
    Per un aspirante eremita laico ma non anziano, in passato fu ritenuto congruo un piano di formazione teologica triennale, ma sviluppabile in tempi e sessioni dilazionabili, anche in qualità di semplice uditore con attestato di frequenza. Uditore è uno studente che ha concordato di non sostenere esami nelle discipline che studia, rinunciando a ottenere il grado accademico connesso a quel curriculum. L'attestato finale di frequenza alle lezioni però, era previsto subordinato all'acquisto (non prestito) dei libri di testo consigliati dai docenti, anche in copie usate o di edizioni non aggiornate, affinché rimanessero retaggio culturale disponibile dell'ex-alunno. Come curiosità, si cita uno dei suggerimenti confidenziali ventilati dopo il Concilio Vaticano II sulla ratio institutionis (non solo ratio formationis) degli aspiranti eremiti laici, e quindi anche sulle discipline in un corso basilare ma specifico di studi teologici: Sacra Scrittura (Teologia biblica, triennale); Teologia dogmatica (triennale: Cristologia; Mariologia; Escatologia); Teologia Morale (triennale: generale; verso Dio; verso il prossimo); Teologia Spirituale (biennale: Ascetica e Mistica); Agiografia (biennale); Antropologia filosofica; Storia moderna della Chiesa; Patrologia (del deserto e pre-monastica); Angelologia-demonologia e Psicopatologia. Dunque per un eremita laico privo di studi teologici pregressi, fu ritenuta non necessaria la Licenza in Teologia Spirituale, per il rischio di intellettualismo.
  3. Ci sono eremiti che formulano auspici affinché col passar del tempo, quelli tra loro più grati a Dio per i doni e i carismi particolari ricevuti, sappiano offrire alla Chiesa una più feconda distinzione fra eremitismo e monachesimo cenobitico, in vera osservanza del Can.603 che "...colloca la vita eremitica [e anacoretica, n.d.c.] præter, oltre ["al di là di", n.d.c.] le altre forme istituzionali di vita consacrata, indicandone la specificità e individuandone il proprium nei tratti tipici di questa forma di vita..." (Orientamenti2021 §11).
  4. Il carattere pubblico dei sacri vincoli (professio) non dipende dal fatto che siano stati emessi pubblicamente o siano conosciuti da altri (ad es. i membri di molti Istituti secolari sono tenuti a uno stretto riserbo sull'avvenuta professione dei voti, che sono tuttavia considerati pubblici dalla Chiesa) ma dipende unicamente dall'avvenuta accettazione di essi a nome della Chiesa da parte di un legittimo Superiore, ad esempio il Vescovo.
    Nella loro Appendice gli Orientamenti2021 offrono un esempio sia di formula di professio dei tre consigli evangelici con sacri vincoli, affinché l'eremita venga costituito "nella vita consacrata" (...volontà di consacrarmi [...]nelle tue mani [...]faccio voto per sempre di castità povertà e obbedienza [...]consacri la mia vita...) sia di formula di propositum senza cenno ai consigli evangelici e senza terminologia consacratoria (...nelle tue mani [...]dedico la mia vita [...]rendendo grazie [...]per il dono dell'accoglienza in questa Chiesa...) formula che quindi non costituisce l'eremita nella vita consacrata con i conseguenti obblighi, ma lo riconosce solo come eremita diocesano senza sacri vincoli. Queste formulazioni devono essere approvate dal Vescovo. I vincoli sacri hanno durata quando temporanea con rinnovazione alla scadenza e quando definitiva o perpetua. Nella Chiesa i voti possono essere solenni o semplici (can.1192 §2 CIC). L'eremita diocesano professa i voti semplici che godono di dispensa ordinaria e rendono illeciti ma non invalidi gli atti ad essi contrari. Si veda la Voce Voto e la sua Nota 6.
    Si può anche essere costituiti nella vita consacrata professando nelle mani del Vescovo di osservare i tre consigli evangelici con una promessa o con un giuramento, anziché con un voto (Orientamenti2021 §33b). Che il vincolo consista nel voto, in una promessa o in un giuramento, il fedele che li professi pubblicamente è una persona consacrata, come insegna il CIC al can.207: "[i fedeli] con la professione dei consigli evangelici mediante voti o altri vincoli sacri, riconosciuti e sanciti dalla Chiesa, sono consacrati in modo speciale a Dio e danno incremento alla missione salvifica della Chiesa; il loro stato, quantunque non riguardi la struttura gerarchica della Chiesa, appartiene tuttavia alla sua vita e alla sua santità". Di rimando il CCC al n°944: "La vita consacrata a Dio si caratterizza mediante la professione pubblica dei consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza in uno stato di vita stabile riconosciuto dalla Chiesa".
    Una consuetudine ritiene più adatta la rinnovazione dei voti, per l'aspirante eremita che proviene da un Istituto religioso; ciò per evitare che la vita eremitica diocesana venga considerata dai religiosi un espediente per vivere i consigli evangelici con maggior rilassatezza. Infatti chi proviene da un Istituto Religioso nel quale aveva professato i voti pubblici, deve attenersi alle disposizioni comunicate dalla Santa Sede per il suo caso particolare (Orientamenti2021 §42). Si ritiene invece la "promessa" (anch'essa può essere solenne e perpetua) e il giuramento, più adatti all'aspirante eremita laico, fatta salva la libertà di scegliere il vincolo sacro dei voti: questa distinzione cresce d'importanza riguardo al consiglio evangelico di povertà, data l'insistenza con la quale gli Orientamenti2021 chiedono l'autosufficienza economica ai candidati laici. I paragrafi 39e e 40 degli Orientamenti2021, qui riportati nella sezione "Il voto di povertà", fanno riferimento al lavoro dell'eremita (e al trattamento di finito rapporto lavorativo). Non sempre il lavoro dell'eremita si può svolgere all'interno dell'eremo e non sempre è di genere autonomo, sovente richiede spese ingenti necessarie alla produzione del reddito (es. strumentazioni informatiche o autoveicoli). Vi sono poi le spese per il riscaldamento invernale e per cure mediche (ad es. odontoiatriche). L'eremita sacerdote può contare su "...istituzioni ecclesiali che... contribuiscono al suo sostentamento". L'eremita laico non può contare su di esse in via ordinaria; solo in avversità di imprevedibile emergenza "...qualora si presentasse l'esigenza di ricorrere ad ulteriori risorse, l'Ordinario la valuterà a suo prudente giudizio". Va ricordato che la consacrazione eremitica diocesana, con professione nelle mani del Vescovo, non produce l'incorporazione in un Istituto Religioso che abbia il dovere di provvedere ai sodali il necessario sostentamento; il sostentamento viene lasciato alla responsabilità esclusiva dell'eremita laico. Perciò, se un Vescovo reputa doveroso un "dignitoso sostentamento", l'eremita deve preparare i mezzi per raggiungere l'autosufficienza economica, in modo da non gravare sulla diocesi né mettersi a caccia di benefattori, pur senza dubitare della Divina Provvidenza.
  5. Tale circostanza va annotata nel Progetto di vita. Nel rito della professione religiosa è previsto che il neoprofesso possa dismettere l'abito borghese e vestire la "Cocolla", un largo camice chiuso con ampio cappuccio che si indossa dalla testa. I primi legislatori cristiani indicarono in questo cambiamento la definitiva volontà del monaco di rompere con il passato e aderire a un nuovo modo di vivere. Il colore della cocolla può essere nero (benedettini in alcune loro famiglie e religiosi di regola agostiniana) o bianco (camaldolesi, cistercensi, trappisti). La regola di San Benedetto nel cap. LV prevede che “nei climi temperati bastino per ciascun monaco una tonaca e una cocolla, quest’ultima di lana pesante per l’inverno e leggera o lisa per l’estate... Quanto al colore e alla qualità di tutti questi indumenti, i monaci non devono attribuirvi eccessiva importanza, accontentandosi di quello che si può trovare sul posto ed è più a buon mercato”. Recentemente:"Si percepiscono nel rito di vestizione della cocolla monastica diversi simboli sovrapposti: è immagine dell’abito nuziale che prefigura la veste della gloria celeste; esprime inoltre il perdono e la grazia del figlio riconciliato. La cocolla nera significa anche il lutto dalle gioie terrene, la veglia notturna, la sepoltura, l’attesa del soldato e del servo." [Dom Gérard Calvet O.S.B. (1927-2008), La santa liturgia, trad. it., Nova Millennium Romae, Roma 2011, pp. 71-80].
    E ancora: lo sconosciuto dell’Evangelo di Matteo viene buttato fuori dalla sala del banchetto perché non ha l’abito giusto (Mt 22,11-13 ). "Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso?..." (Lc 7,24-25 ). L’utilizzo di un abito esteriore che denoti una condizione interiore ed escatologica, è connaturale alla mente umana: essa è fatta in modo tale che deve servirsi di segni sensibili per accedere più facilmente alle realtà soprasensibili. Secoli fa, tutti i grandi Ordini -e qualcuno ancora oggi- concedevano il loro abito ai secolari che ne facevano domanda in punto di morte (indutum ad succurrendum); ora, la dedicazione a Dio di un eremita, a prescindere dalla formula rituale, non è forse la testimonianza di una morte al mondo? Nei bui momenti di scoraggiamento, di tentazione, di notti dello spirito, quando la volontà interiore è meno propensa a ricordare le scelte fatte, sovente è proprio un segno esteriore, che riporta alla realtà e alla perseveranza.
    Un eremita non è migliore se indossa un abito appropriato, ma può far migliori gli altri, facendo sollevare sguardi verso il cielo, soprattutto nella realtà odierna che si mostra così sensibile al linguaggio delle immagini. Un cuore che mostra subito di appartenere a Dio, testimonia come Dio non smetta mai di stravolgere vite, di rivoltarle, di riempirle della luce della sua presenza. Così il segno incoraggia chi è in buoni rapporti con Dio, avvisa chi ha la coscienza pesante, fa pentire chi vive lontano da Dio. Per mezzo di tale segno, è reso agli altri più facile arrivare al Mistero.
        Il rito della professione eremitica può avvenire con annuncio mediatico e concorso di popolo in una Messa festiva, oppure in una Messa feriale con annuncio a consacrazione avvenuta. Il citato paragrafo 37a permette anche la celebrazione in una chiesa della diocesi non sede di parrocchia, ad esempio in un santuario. In seguito il Vescovo consegnerà all'eremita il decreto autentico dell'avvenuta professione pubblica. Essa va annotata nel registro dei battezzati della parrocchia dell'eremita e dovrà comparire nei suoi certificati di battesimo.
    Un/una eremita deve sapere che, nel giorno in cui pronuncia il suo "Lo voglio", non può prevederne tutte le conseguenze; così è per tutte le consacrazioni. Soltanto lungo il filo dei giorni comprenderà a cosa si era davvero impegnato: la rivelazione della mèta di una consacrazione è mai immediata, ma sempre progressiva. Col tempo, avvenimenti imprevedibili offriranno questa rivelazione. Anche per un eremita, l'accettazione del proprio mistero precede di molto la sua conoscenza.
  6. V. anche Introduzione alla vita devota o Filotea 3, XXIII, Esercizi di mortificazione esteriore, di San Francesco di Sales. È davanti alle mortificazioni degli eremiti che il mondo trova la propria misura, un termine di paragone e comprende la piattezza di ogni spirito di sufficienza. Nel tempo mutano i generi di penitenza, ma rimane quello spirito che pone a ogni persona interrogativi sul proprio "possibile", davanti a un Dio che, dopo aver dato tutto di sé stesso, chiede tutto all'uomo. È questo il significato profondo della castità per il Regno di Dio.
  7. L'eremita diocesano non emette il voto di "stabilità" come accade in alcuni Ordini Monastici contemplativi. Tuttavia la sua presenza costante nell'eremo è un'antica tradizione del suo stato di vita. Ciò significa che l'eremita professo non deve condurre una vita di predicatore itinerante e non può mancare dal suo eremo per lungo tempo senza avvertire il suo Superiore sui giustificati motivi. Possono rendersi necessarie assenze non prevedibili per motivi di carità urgente (ad es. aiuti di vario genere a familiari anziani e impediti), mentre sono prevedibili le assenze di breve periodo per provvedere al proprio sostentamento o assenze più lunghe per i periodi di sacro ritiro, preferibilmente più di un ritiro all'anno. Riguardo ai sacri ritiri o "deserti", possono svolgersi in luoghi anche molto isolati purché geograficamente precisi, spesso sono spiritualmente più fruttuosi se condotti in forma rigorosamente solitaria e autogestita, cosicché possano giovarsi di un àmbito penitenziale radicale e liminare. Nell'àmbito della formazione permanente invece, può tornare utile partecipare a confronti di gruppo regionali o nazionali su tematiche di interesse comune, guidati da sacerdoti di lunga esperienza eremitica vissuta. È molto feconda la tradizione secondo la quale pochi eremiti o aspiranti tali, uniti da reciproca stima e capaci di vera carità fraterna e povertà di spirito, si ritrovano in ritiri di revisione di vita, anche fuori dalle loro diocesi, per donarsi mutui consigli sulle esperienze ascetiche con edificazione vicendevole, conservando la virtù del silenzio e la differenza delle preferenze eucologiche e devozionali. Sono nocivi eventuali convegni di eremiti negligenti nelle virtù eremitiche (v. nota 1 nella Voce Eremita) ritenendo che esse siano d'importanza marginale o che siano misure di perfezione irraggiungibili.
  8. Gli Orientamenti2021 offrono in Appendice un utile “Schema di progetto di vita” da sottoporre all'approvazione del Vescovo diocesano. Si tratta di un abbozzo molto sintetico con l'elenco di 33 aspetti propositivi o normativi che debbono essere sviluppati dall'eremita, tutti o in parte. Tutte le formulazioni rituali dei sacri vincoli recitano espressamente "...progetto di vita da te [= dal Vescovo, n.d.r.] approvato", perché il Progetto di vita corrisponde alle Costituzioni e ai Direttorii degli Istituti religiosi, e assurge a documento giuridico-canonico sul quale si basa l'esercizio dei diritti e dei doveri attivi e passivi di quel particolare eremita nella Chiesa locale.
    Non è superfluo avvertire che un Progetto di vita eremitica nella Chiesa d'oggi dovrebbe essere ispirato a tre criteri generali:
    • la specificità: che non sia una regola nata per la vita religiosa comunitaria e poi adattata alla vita eremitica; può però recare l'impronta di un Istituto religioso;
    • l'attualità, intesa come attualizzazione della millenaria tradizione eremitica, per conferirle giovinezza di spirito nelle condizioni dei tempi moderni;
    • l'efficacia testimoniale dei propositi e dei metodi descritti, in modo che l'eremita sia un segno ecclesiale ben leggibile dal popolo di Dio.
  9. Il citato documento Orientamenti2021 per il momento, non è ancora riuscito a caratterizzare la diffusa e crescente forma nascosta di vita eremitica cattolica in ambiente cittadino anziché rurale. Avere il proprio eremo in una città, rimane ancora una libera -talora unica- scelta per l'eremita. Gli Orientamenti2021 ammettono già a ragion veduta ”...che il silenzio dell'eremita non coincide con l'assenza di voci o rumori derivante dall'isolamento fisico, né può essere una condizione imposta dall'esterno...” (§14) e stabiliscono opportunamente che ”L'eremita s'impegna [...]a rinunciare a fare propri progetti, a trasformare l'eremo in un centro di spiritualità o di accoglienza...” (§21) ossìa in un luogo di turismo religioso con un leader spirituale antagonista della Chiesa locale. Aggiungono che ”L'eremo deve rispondere alle esigenze della più rigorosa separazione dal mondo e della solitudine che favorisce il silenzio e la preghiera. Allo stesso tempo tale luogo non deve essere troppo isolato, impervio o di difficile accesso. Tale luogo non deve essere troppo lontano da un luogo di culto se l'aspirante eremita non è presbitero.” (§41) requisiti presenti anche in molti eremi di città: tale norma non impone ancora una locazione esclusiva in campagna.
    D'altro canto però viene disposto che ”Quando la proprietà non appartiene alla diocesi, è compito del Vescovo personalmente o tramite un suo delegato verificare l'idoneità del luogo prescelto.” (§41). Intanto questa prescrizione fa esplicito riferimento alla libera prescelta dell'eremo da parte dell'eremita. "Idoneità del luogo" è cosa diversa che "idoneità dell'eremo", infatti l'doneità dell'eremo viene trattata due righe prima solo in relazione alla conservazione dell'Eucarestia se richiesta e in relazione alla celebrazione eucaristica per gli eremiti sacerdoti. Riguardo all'idoneità del luogo, ci sono eremiti sia laici che chierici i quali, dopo ponderato consiglio con le proprie guide, vivono in modo conforme alla loro vocazione nell'unica risorsa di un appartamento in città donato, ereditato o ricevuto in comodato; se non potessero più disporne, potrebbero volgere lo sguardo alla escogitazione di tristi associazioni di tipo civile.
Bibliografia
Voci correlate
Collegamenti esterni
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Il contenuto di questa voce è stato firmato il giorno 3 marzo 2017 da Pierluigi Calabrese, laureato in lettere (Critica testuale), dottore di ricerca in esegesi, eremita dal 2000.

Il firmatario ne garantisce la correttezza, la scientificità, l'equilibrio delle sue parti.