Sant'Anselmo d'Aosta
Sant'Anselmo d'Aosta, O.S.B. Arcivescovo | |
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Santo | |
Dottore della Chiesa | |
Età alla morte | circa 76 anni |
Nascita | Aosta 1033 ca. |
Morte | Canterbury 21 aprile 1109 |
Professione religiosa | 1060 |
Ordinazione presbiterale | non si hanno informazioni |
Consacrazione vescovile | 4 dicembre 1093 da Tommaso di Bayeux |
Incarichi ricoperti | Arcivescovo di Canterbury |
Iter verso la canonizzazione | |
Canonizzazione | 1163, da Alessandro III |
Ricorrenza | 21 aprile |
Collegamenti esterni | |
(EN) Scheda su catholic-hierarchy.org |
Nel Martirologio Romano, 21 aprile, n. 1:
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Sant'Anselmo d'Aosta chiamato anche Anselmo di Bec o Anselmo di Canterbury (Aosta, 1033 ca.; † Canterbury, 21 aprile 1109) è stato un teologo, filosofo, arcivescovo dell'ordine dei Benedettini, arcivescovo di Canterbury e dottore della Chiesa, italiano. È soprannominato Doctor magnificus e padre della Scolastica.
Biografia
Anselmo nacque nel 1033 o nel 1034 ad Aosta, forse nella casa al numero 62 della strada che oggi porta il suo nome, da Gundulfo, il cui nome rivela la sua origine longobarda e dalla nobile Eremberga, originaria della Borgogna e parente del conte Oddone di Savoia e di Moriana.
Spinto dall'esempio della religiosità materna, espresse il desiderio di dedicarsi alla vita conventuale, ma si scontrò con l'opposizione del padre. Seguirono difficili rapporti in famiglia, aggravati dalla prematura morte della madre.
Poco più che ventenne, Anselmo lasciò Aosta per la Borgogna e poi la Francia, mentre il padre entrò in quel convento che paradossalmente aveva negato al figlio.
Nel 1059 Anselmo giunse nell'abbazia benedettina di Notre-Dame du Bec, in Normandia, per seguire le lezioni del noto Lanfranco di Pavia, priore e maestro della scuola del monastero. Nel 1060 prese gli ordini in quella stessa abbazia, poi divenne collaboratore del suo maestro nell'insegnamento e, nel 1063, priore e maestro di arti liberali succedendo allo stesso Lanfranco, il quale si era trasferito nella vicina Caen per assumere la carica di abate nell'abbazia di Saint-Étienne de Caen[1].
Nel 1078, morì il fondatore e abate del convento di Notre-Dame, il cavaliere Erluino; Anselmo venne eletto suo successore all'unanimità.
Anselmo visse nell'abbazia fino al 1092. Fu questo il periodo di sua più intensa attività, tanto pedagogica che di riflessione e composizione teologica e filosofica: vi compose le due opere più note, il Monologion e il Proslogion, oltre al De grammatico, il De veritate, il De libertate arbitrii e il De casu diaboli. L'attività didattica si distinse, secondo quanto riferisce il suo biografo Edmero, dall'affermata tradizione di arcigna severità che costringevano gli alunni a una rigida disciplina e a un'arida ripetizione di principi da imparare a memoria.
Come abate e priore, Anselmo ebbe incombenze che lo costrinsero a frequenti viaggi, anche lunghi, come quello che intorno al 1080 lo portò in Inghilterra, a Canterbury, dove rivide l'antico maestro Lanfranco, ora arcivescovo e conobbe quel monaco Eadmero alla cui biografia si devono le pur insufficienti notizie che lo riguardano.
Il 4 dicembre 1093 venne consacrato vescovo per mano dell'arcivescovo di York Tommaso di Bayeux[2]: gli venne affidata la sede di Canterbury. In Inghilterra si scontrò più volte con i re Guglielmo II ed Enrico I e per questo motivo dovette intraprendere due volte la via dell'esilio, la seconda intorno al 1100.
La pacificazione tra il re e il papa gli consentì di ritornare a Canterbury, dove morì nel 1109.
Anselmo fu canonizzato nel 1494 e proclamato Dottore della Chiesa nel 1720.
L'opera più famosa del periodo inglese (terminata, però in esilio in Italia, sull'eremo benedettino di Villa Sclavia)[3] fu il Cur Deus homo (Perché un Dio-uomo?). Anselmo ha lasciato anche un'ampia raccolta di Preghiere e di Meditazioni, nonché un nutrito Epistolario, dal quale si possono ricostruire anche i legami di solida e tenera amicizia che aveva con i suoi discepoli.
Anselmo è ricordato non solo come teologo, ma anche come filosofo (viene talvolta definito il "padre della Scolastica"), soprattutto per la ricerca, sviluppata nel Proslogion, di un unum argumentum, un unico principio immediato e fondato solo su sé stesso per la dimostrazione dell'esistenza e degli attributi di Dio. Immanuel Kant definì questa dimostrazione prova ontologica dell'esistenza di Dio, sebbene Anselmo non abbia mai utilizzato questa espressione.
Culto
Papa Alessandro III nel 1163 autorizzò l'elevazione della salma.
Pensiero
Fede e ragione
Fortissimamente speculativa, Anselmo cercò, nel solco della tradizione di Platone e Sant'Agostino, una convergenza tra fides e ratio.
Per Anselmo, la ragione umana è uno strumento essenziale per la speculazione teologica. Certamente, ogni intelligenza è sempre preceduta da una fede.
Infatti, egli dice:
« | (...) credo per intendere e se prima non crederò, non potrò intendere. » |
Dunque, Anselmo riprende da Sant'Agostino (V secolo) la formula credo ut intelligam, intelligo ut credam (cioè "credo per comprendere, comprendo per credere").
La ricerca della verità ha come fondamento la fede. Tuttavia, la fede di per sé non è sufficiente: esige dimostrazioni e conferme razionali. E in questo, l'intelletto, proprio come la fede stessa, ha una sicura guida nell'illuminazione divina, concetto ripreso sempre dall'Agostinismo e riproposto anche da San Bonaventura da Bagnoregio. Dunque, tale illuminazione deve guidare l'intelletto, che altrimenti, di per sé, non può minimamente penetrare il mistero divino. Insomma, la ragione non dà giudizi, ma aiuta a capire la fede. Anselmo è uno dei primi filosofi e teologi a unificare le due discipline, secondo il principio fides quaerens intellectum (cioè "la fede richiede l'intelletto"), che sarà il fondamento di tutta la filosofia Scolastica.
Centralità della problematica su Dio
La sua ricerca è tutta concentrata sulla figura di Dio, sulla quale pone due problematiche: la sua esistenza e la sua natura. Tale distinzione è espressa nel Monologion. Dice lui stesso: è questo il problema che sostiene e unifica le mie indagini.
Anselmo fornisce 4 prove che possano dimostrare, a partire dal mondo, che Dio esiste. È per questo, infatti, che vengono definite "prove a posteriori":
- Ognuno tende a impossessarsi delle cose che giudica buone. Ma se esistono cose buone, il loro principio dovrà essere unico. Dovrà esistere cioè una Bontà assoluta.
- L'esistenza di varie grandezze determina l'esistenza di una grandezza somma che include tutte le altre, di cui tutte le altre sono partecipazione.
- Tutto ciò che esiste, o esiste in virtù di qualcosa, o esiste in virtù di nulla. Dunque, dato che ciò che esiste in virtù del nulla è il nulla stesso e dato che qualcosa esiste, ciò esisterà grazie a un Essere supremo, l'essere in virtù (di qualche cosa).
- Tratta dalla gerarchia degli esseri viventi. Dovrà esistere un essere a sommità della gerarchia che sia perfetto. Una perfezione prima e assoluta.
Anselmo si rese conto ben presto della complessità delle proprie tesi che indicavano le cause "a posteriori", e, convinto del proprio ruolo di divulgatore della verità divina, si dedicò alla composizione di tesi che "a priori" potessero dimostrare l'esistenza di Dio. Esse si proponevano attraverso un'altra via, che come un lampo illuminasse i fedeli. Necessitava dunque di un argomento semplice, persuasivo e autosufficiente con cui convincere dell'esistenza di Dio.
Il problema ontologico o prove "a priori"
È un'argomentazione dell'esistenza di Dio che parte dalla nozione stessa di Dio, nel famoso enunciato: Dio è ciò di cui non si può pensare il maggiore. In latino: Id quod maius cogitari nequit (d'ora in poi IQM).
È stata definita in età contemporanea, con un anacronismo, "argomento ontologico". Questa argomentazione si trova nel secondo libro del "Proslogion" di Anselmo.
Il ragionamento di Anselmo si può dividere in due parti:
- la prima è un'istanza logica riguardo alla nozione di IQM, da cui segue l'esistenza necessaria dell'IQM stesso;
- la seconda, invece, è un'istanza teologica, che identifica l'IQM con il Dio cristiano.
Anselmo dice che quando l'ateo dice che Dio non esiste, con il termine Dio intende "ciò di cui non si può pensare il maggiore", ovvero l'IQM. Tuttavia, per negarne l'esistenza, l'"insipiens" (ovvero il non credente) deve avere almeno nell'intelletto la nozione di IQM.
Ma l'IQM non può esistere solo nell'intelletto, perché altrimenti sarebbe possibile qualcosa di "più grande" dell'IQM, ovvero questo stesso IQM dotato di esistenza reale, contraddicendone la definizione di partenza.
In definitiva, se l'IQM esistesse solo nella mente e non nella realtà, non sarebbe l'IQM e quindi ci staremmo contraddicendo. Da questo segue che l'IQM esiste necessariamente.
Critiche
Nel Proslogion Anselmo dialoga con l'insipiens (Sal 13,1 ). Uno stesso discepolo di Anselmo, il monaco Gaunilone (chiamato anche Wenilo), obiettò che non è sufficiente pensare una cosa perché esista, anche se rappresenta la perfezione. Disse infatti che, nonostante si potesse immaginare un'isola piena di delizie, ciò non dimostrava la sua esistenza. Rifiutò insomma il passaggio obbligato dal mondo ideale a quello reale. Anselmo ribatté dicendo che l'esempio dell'isola non era calzante, poiché non era "ciò di cui niente si può pensare più grande". L'isola meravigliosa ha infatti una perfezione relativa e limitata ad alcuni suoi aspetti, ma non una perfezione assoluta come Dio, che ha ogni perfezione, sotto ogni aspetto.
San Tommaso d'Aquino, nella sua Summa contra Gentiles scrive: "Tra gli atei non è a tutti noto che Egli è quanto di più grande si possa pensare". Dunque egli ammise l'infondatezza dell'affermazione di Anselmo e impose per la conoscenza dell'esistenza di Dio le prove a posteriori come le uniche valide.
Kant lo rigettò totalmente, riprendendo quella tesi di Gaunilone secondo cui non basta che qualcosa sia pensato, perché ciò esista. La questione rimane ancora oggi aperta in ambito filosofico.
Adesioni
Anselmo fu invece appoggiato da San Bonaventura da Bagnoregio e Duns Scoto nel Medioevo e da Cartesio e Leibniz in età moderna. In particolare Cartesio fu sostenitore della sua "prova a priori", dalla quale prese ispirazione per il suo "metodo dubitativo"; inoltre, avversò la critica di Gaunilone, tacciandola come ingannevole e inutile sofisma. Nella filosofia moderna, in aggiunta, è notevole l'adesione di Hegel, che accetta la prova di Anselmo in quanto per lui non c'è il salto di cui parlava Kant tra la dimensione logica e quella ontologica, in virtù del ben noto principio idealista per cui "tutto ciò che è reale è razionale, tutto ciò che è razionale è reale".
La parola e la conoscenza
Anselmo parla anche del rapporto tra parola e conoscenza, intendendo la parola come intellezione della realtà mediante il nostro intelletto. La parola (o concetto) può essere vera o falsa a seconda del suo maggiore o minore grado di somiglianza con la cosa.
La conoscenza umana (derivata dalla parola) è dunque misurata dalle cose. La conoscenza divina (derivata dalla parola) è misura delle cose perché suo modello.
La rettitudine dell'intelletto umano è la verità e si ottiene avvicinandosi alla conoscenza divina, sapere cioè le cose come davvero sono.
La rettitudine della volontà è la giustizia e si ottiene sostituendo alla propria, personale volontà la volontà divina, che è sta rivelata al mondo da Cristo e che può essere donata all'uomo, attraverso la Grazia, nello Spirito Santo. L'agire bene definisce la libertà. Dunque, l'uomo non è libero quando può peccare, ma è libero quando può comportarsi bene (altrimenti ne deriverebbe che Dio e gli angeli non sono liberi). La libertà è potenza di fare il bene.
La giustizia (che è divina) è il bene supremo da inseguire e deve essere raggiunta per sé stessa e non per altri fini umani.
Ma come si accordano predestinazione e merito? Libertà umana e preconoscenza divina degli eventi? Anselmo risponde che la libertà umana non è in contrasto con la prescienza divina. Dio pensa nella dimensione dell'eternità gli eventi che si svolgeranno nel tempo e nel modo in cui si svolgeranno secondo necessità quando sono necessari e secondo libertà quando sono liberi. Dunque, essendo Egli sia necessità che libertà, non vuole e non può andar contro sé stesso, che è già perfezione, quindi imperfezionabile.
Opere
- Monologion, 1076, Milano 2002
- Proslogion, 1078, Milano 2002
- De grammatico, ca. 1085, in Opere filosofiche, Bari 1969
- De libertate arbitrii, 1085, in Opere filosofiche, Bari 1969
- De casu diaboli, 1085, in Opere filosofiche, Bari 1969
- De veritate 1085, in Opere filosofiche, Bari 1969
- Epistola de incarnatione Verbi, 1094
- Cur Deus Homo?, 1098, Alba 1978
- De conceptu virginali et originali peccato, 1100
- Meditatio redemptionis humanae, 1100
- De processione Spiritus Sancti, 1107
- Epistola de sacrificio azymi et fermentati, 1107
- Epistola de sacramentis Ecclesiae, 1107
- De concordia praescientiae et praedestinationis et gratiae Dei cum libero arbitrio, 1108, in Opere filosofiche, Bari 1969
- Orazioni e meditazioni, Milano 1997
- Lettere, Milano 1988
- PL CLVIII, Parisiis 1855
- Jaques Paul Migne, S. Anselmi Cantuariensis Archiepiscopi Opera Omnia, 6 voll. Seckau-Roma-Edimbourg 1961
Successione degli incarichi
Predecessore: | Abate di Notre-Dame du Bec | Successore: | |
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Erluino | 1078 - 1093 | Guillaume de Montfort-sur-Risle[4] |
Predecessore: | Arcivescovo di Canterbury | Successore: | |
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Lanfranco di Pavia (1070-1089) |
1093 - 1109 | Ralph d'Escures (1114-1122) |
Note | |
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Bibliografia | |
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