San Giovanni d'Avila

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San Giovanni d'Avila
Presbitero
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battezzato
Santo
Dottore della Chiesa
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Titolo
Incarichi attuali
Età alla morte 69 anni
Nascita Almodóvar del Campo
6 gennaio 1500
Morte Montilla
10 maggio 1569
Sepoltura
Conversione
Appartenenza
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Ordinato diacono
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Ordinazione presbiterale 1525
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Incarichi ricoperti
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° vescovo di Roma
Elezione
al pontificato
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(per causa incerta o sconosciuta)
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pontificato
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Successore {{{successore}}}
Extra Anni di pontificato


Cardinali creazioni
Proclamazioni
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Eventi

Iter verso la canonizzazione

Venerato da Chiesa cattolica
Venerabile il 8 febbraio 1759, da Clemente XIII
Beatificazione 4 aprile 1894, da Leone XIII
Canonizzazione 31 maggio 1970, da Paolo VI
Ricorrenza 10 maggio
Altre ricorrenze
Santuario principale
Attributi
Devozioni particolari {{{devozioni}}}
Patrono di
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Incoronazione
Investitura
Predecessore
Erede
Successore
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Onorificenze
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Nomi postumi
Altri titoli
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Consorte

Consorte di

Figli
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Collegamenti esterni
Scheda su santiebeati.it
Invito all'ascolto
Firma autografa
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Tutti-i-santi.jpgNel Martirologio Romano, 10 maggio, n. 12:
« A Montilla nell’Andalusia in Spagna, san Giovanni d'Ávila, sacerdote, che percorse tutta la regione predicando Cristo e, sospettato ingiustamente di eresia, fu gettato in carcere, dove scrisse la parte più importante della sua dottrina spirituale. »

San Giovanni d'Avila (Almodóvar del Campo, 6 gennaio 1500; † Montilla, 10 maggio 1569) è stato un presbitero spagnolo. Grande predicatore e mistico, è considerato l'Apostolo dell'Andalusia.

Il 7 ottobre 2012 è stato proclamato dottore della Chiesa da papa Benedetto XVI.

Biografia

Giovanni nacque verso il 1500, figlio unico di Alfonso d'Avila, discendente da una famiglia ebrea convertita al cristianesimo, e Catalina Gijón, discendente da una famiglia di piccola nobiltà provinciale. Dal padre fu mandato a studiare diritto canonico presso l'Università di Salamanca. Una corsa di tori gli fece concepire un vivo disgusto per la vita mondana.

Dopo quattro anni una "molto particolare chiamata divina" lo indusse a fare ritorno in famiglia nel 1517. In quel tempo fece un tentativo di vita religiosa, non sappiamo però in quale Ordine e per quanto tempo. Fallito il tentativo, per tre anni il giovane ottenne dai genitori di vivere in austero ritiro, poi si recò a studiare filosofia e teologia da 1520 al 1526 presso l'università di Alcalà[1].

Rimase orfano quando era ancora studente e, ordinato sacerdote, nel 1525 celebrò la sua prima messa nella chiesa dov'erano sepolti i genitori e distribuì la sua parte di eredità ai poveri.

Nel 1527 progettò di partire per il Messico come missionario, progetto che non poté realizzare perché "cristiano nuovo", cioè discendente da ebrei convertiti da poco alla fede. Il venerabile Ferdinando de Contreras, sacerdote secolare, lo segnalò all'arcivescovo di Siviglia, Alfonso Manrique de Lara [1], per il suo zelo e la sua abilità oratoria e l'arcivescovo lo incaricò di organizzare delle missioni popolari in tutta l'Andalusia per ravvivare la fede in quelle terre: la sua fama di oratore si diffuse rapidamente presso tutti gli strati sociali della popolazione fino a divenire leggendaria.

Nel 1531 Giovanni d'Avila fu denunciato all'Inquisizione per qualche espressione coraggiosa malcompresa e per certe pratiche interpretate con malevolenza, quasi fosse un seguace della corrente pseudo mistica degli alumbrados. Rimase in prigione quasi un anno senza mai pronunciare una sola parola di recriminazione contro i suoi troppo zelanti inquisitori. Da quella triste circostanza della vita egli seppe trarre grande profitto, pregando, meditando, traducendo in volgare l'Imitazione di Cristo. Dio lo arricchì di speciali lumi sul mistero della redenzione che gli permisero di gettare le basi dell'opera, maggiormente nota, intitolata Audi filia[1].

L'opera contiene avvisi e regole cristiane per coloro che desiderano servire il Signore nella via della perfezione. L'opera fu stampata nel 1556 ad Alcalà, senza espressa licenza dell'autore, dopo che era circolato a lungo in copie manoscritte. Nel 1559 fu inclusa nel Catalogo dei libri proibiti, pubblicato dall'Inquisizione spagnuola, per l'eccessivo sospetto con cui venivano riguardati dagli inquisitori i libri di ascetica e di teologia scritti in lingua volgare, quasi fossero veicoli di idee care ai falsi mistici e ai luterani. Il santo corresse il libro con cura e precisò meglio la dottrina sulla grazia alla luce del concilio tridentino. Esso uscì a Toledo nel 1574, dopo la morte dell'autore[1].

Il Giovanni d'Avila fu pienamente assolto dall'Inquisizione il 16 giugno del 1533. Ritornò a predicare. I devoti di Siviglia lo accolsero in chiesa al suono delle trombe. L'anno successivo egli si trasferì definitivamente nella diocesi di Cordova, dove s'incontrò con il famoso domenicano padre Luigi di Granada, che diverrà il suo biografo. Costui rimase ammirato della predicazione così immediata e avvincente del santo, tanto da subirne un profondo influsso. Da Cordova, Giovanni d'Avita si recava sovente a Granada su invito dell'arcivescovo Gaspare de Avalos, che teneva in grande considerazione i suoi consigli.

Agli inizi del 1537, mentre predicava nella suddetta città, convertì san Giovanni di Dio, fondatore dei Fatebenefratelli, e due anni più tardi indusse il duca di Gandia, il futuro san Francesco Borgia, a lasciare il mondo per farsi gesuita. A Granada fu considerevole l'influsso che il santo esercitò sull'università fondata nel 1526 dall'imperatore Carlo V. Fu forse in questa città che il santo ottenne in quegli anni i gradi in teologia, il che dimostra quanto amasse lo studio benché fosse continuamente molto occupato nel sacro ministero. Possedeva una aggiornatissima biblioteca in cui figuravano pure i libri dei migliori controversisti cattolici del tempo[1].

Venne incaricato anche di pronunciare il sermone in occasione dei funerali della regina Isabella d'Aviz (1503-1539), moglie di Carlo V, tenutisi il 17 maggio del 1538.

Durante i suoi viaggi apostolici, il maestro d'Avila fondò una quindicina di collegi minori e tre maggiori a Baeza, Jerez e Cordova, oltre ai collegi di Granada, Cordova ed Evora in Portogallo per l'educazione e l'istruzione dei chierici. Il più famoso di tutti fu quello di Baeza, trasformato in università nel 1542. Per volontà del santo in essa s'insegnavano soltanto filosofia e teologia. Egli insegnò senza stancarsi ai sacerdoti che

« il solo onore per la Chiesa è di seguire interiormente ed esteriormente il Cristo disprezzando le ricchezze, il lusso, l'orgoglio e tutti gli altri difetti che farebbero gridare le pietre stesse.[1] »

Amico di sant'Ignazio di Loyola, favorì lo sviluppo e la diffusione dei gesuiti in Spagna; sostenne santa Teresa d'Avila nella sua opera di riforma dell'Ordine carmelitano.

Dal 1554 il suo corpo fu segnato dalla malattia, ma nonostante ciò proseguì il suo apostolato sino alla morte, avvenuta presso Montilla il 10 maggio 1569.

Questo santo costituisce un raro esempio di valido esponente della controriforma spagnola non appartenuto ad alcun ordine religioso, benché abbia avuto un ruolo determinante nella conversione di San Francesco Borgia gesuita e San Giovanni di Dio fondatore dei fatebenefratelli ed abbia talvolta desiderato di poter entrare nella Compagnia di Gesù, dissuaso in tale proposito dal provinciale dei gesuiti di Andalusia. Alla sua morte trovò sepoltura proprio nella chiesa dei gesuiti di Montilla.

Il 7 ottobre 2012 è stato proclamato dottore della Chiesa[2].

Opere

Oltre all'Audi fìlia[3] possediamo di lui piccoli trattati o discorsi, conferenze spirituali, avvisi, due memorie sulla riforma ecclesiastica per il Concilio di Trento e 252 lettere. Più di 2.000 fogli degli scritti del santo sono andati perduti.[1]

Dottrina

La dottrina del santo è incentrata sull'imitazione di Cristo Salvatore. Per lui fondamento indispensabile di tutta la vita spirituale è la preghiera, senza la quale è impossibile conoscersi. Alle anime più perfette egli raccomandò l'orazione di raccoglimento. Prima di ricercare l'intima unione con Dio, suggerisce di meritarla spogliandosi delle passioni con una costante mortificazione. La virtù non è possibile senza l'umiltà. Essa consiste nel camminare nella verità. Egli insegna che

« bisogna scavare nel fango del nostro nulla per raggiungere la terra ferma; Dio. Poiché il Signore sulla croce ci ha donato tutto, dobbiamo amarlo fino alla follia e seguirlo sulla croce»

Nell'incorporazione a Cristo vede il fondamento dell'apostolato. È un dovere quindi di tutti amare e sovraspendersi per le membra di Gesù alle quali siamo strettamente legati mediante la grazia.[1]

Note
Bibliografia
Voci correlate
Collegamenti esterni