San Leopoldo da Castelnuovo

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San Leopoldo da Castelnuovo Mandić, O.F.M. Cap.
Presbitero
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al secolo Bogdan Ivan
battezzato
Santo
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Titolo
Incarichi attuali
Età alla morte 76 anni
Nascita Castelnuovo di Cattaro
12 maggio 1866
Morte Padova
30 luglio 1942
Sepoltura
Conversione
Appartenenza
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Professione religiosa 1884
Ordinato diacono
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Ordinazione presbiterale 20 settembre 1890
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Cardinali creazioni
Proclamazioni
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Eventi

Iter verso la canonizzazione

Venerato da Chiesa cattolica
Venerabile il [[]]
Beatificazione 2 maggio 1976, da Paolo VI
Canonizzazione 16 ottobre 1983, da Giovanni Paolo II
Ricorrenza 30 luglio
Altre ricorrenze
Santuario principale
Attributi
Devozioni particolari {{{devozioni}}}
Patrono di Malati oncologici
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Incoronazione
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Predecessore
Erede
Successore
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Onorificenze
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Altri titoli
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Coniuge

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Consorte

Consorte di

Figli
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Collegamenti esterni
Scheda su santiebeati.it
Invito all'ascolto
Firma autografa
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Tutta la ragione della mia vita dev'essere questo disegno divino, cioè che anch'io, a modo mio, porti qualche cosa affinché un giorno, secondo l'ordine della divina Sapienza che tutto dispone con fortezza e soavità, i Dissidenti orientali ritornino all'unità cattolica. Devo essere sempre disposto a lavorare. Noi siamo nati per la fatica e ci riposeremo in paradiso. Io sono chiamato per la salvezza della mia gente, cioè della gente slava e insieme sono chiamato per la salvezza delle anime specialmente nell'amministrare il sacramento della penitenza[1].
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(Leopoldo da Castelnuovo)
Tutti-i-santi.jpgNel Martirologio Romano, 30 luglio, n. 13:
« A Padova, san Leopoldo (Bogdano) da Castronuovo Mandic, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, che arse di zelo per l'unità dei cristiani e dedicò tutta la vita al ministero della riconciliazione. »

San Leopoldo da Castelnuovo Mandić, al secolo Bogdan Ivan, meglio conosciuto come San Leopoldo Mandić (Castelnuovo di Cattaro, 12 maggio 1866; † Padova, 30 luglio 1942), è stato un presbitero croato dell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini; nel 1983 è stato proclamato santo da papa Giovanni Paolo II.

Biografia

Infanzia

Nacque a Herzog Novi (Castelnuovo in Dalmazia) all'ingresso delle Bocche di Cattaro sull'Adriatico, ultimo di dodici figli. Fu battezzato il 13 giugno col nome di Bogdan (Adeodato) Ivan (Giovanni). Il padre, Pietro Mandić, figlio di un paron de nave cioè pescatore e commerciante, aveva sposato Carlona Zarević; entrambi erano di grande fede.

Il ricordo della mamma affiorava spesso dal suo cuore:

« Era di una pietà straordinaria. A lei debbo in modo particolare quello che sono. »

Ragazzo riflessivo, raccolto e molto intelligente, tutto casa, chiesa e scuola, ma ardente di carattere. A sedici anni, il 16 novembre 1882, entrò nel seminario dei cappuccini di Udine.

Vocazione e studi

La vocazione cappuccina di Adeodato nacque da una forte ansia apostolica. Egli partiva per ritornare missionario tra la sua gente. Questo impulso all'apostolato attivo sorse anche sulla spinta delle celebrazioni francescane lanciate da papa Leone XIII.

Nei due anni trascorsi a Udine cercò di correggere, col silenzio e l'autocontrollo, quel suo difetto di pronuncia, un terribile sdrucciolo che lo bloccava nel suo desiderio di comunicare e si rivelò subito un modello in tutto. Trascorse l'anno di prova a Bassano del Grappa nel vicentino dove, con l'abito cappuccino, assunse il nome di fra Leopoldo il 2 maggio del 1884.

Dopo la professione dei voti fu mandato a studiare filosofia a Padova nel 1885.

Nell'autunno del 1888 si trasferì nel convento del Redentore, presso l'isola veneziana della Giudecca, per un biennio di teologia, dove cercò di farsi una solida cultura prediligendo i grandi autori e pensatori sui quali s'intratteneva volentieri nelle controversie scolastiche benché la pronuncia difettosa gli rendesse un po' difficile l'espressione del pensiero.

Il 20 settembre del 1890, nella basilica della Madonna della Salute, fu ordinato sacerdote dal cardinale Domenico Agostini [2].

Gli anni a Venezia

Subito chiese ai superiori di essere inviato missionario in Oriente. La risposta fu negativa. Era troppo balbuziente e i superiori non lo consideravano adatto. Espresse anche in seguito questo suo desiderio, ma la sua richiesta fu anche in seguito respinta. Si ripiegò nel silenzio dell'obbedienza, nel mistero della preghiera per l'unità, dando tutto se stesso nella sua attività di confessore, un campo missionario che si rivelò più esteso delle terre d'Oriente. La messa giornaliera, vissuta come impegno ecumenico, approfondì la luce della sua vocazione che si espresse, penetrante e sapiente, nel confessionale.

I sette anni di permanenza a Venezia, furono vissuti sempre con la sua ansia ecumenica, egli così piccolo e quasi goffo nel suo saio divenne un punto di riferimento e un vero maestro di spirito dotato di particolari carismi spirituali. In seguito fu per tre anni a Zara. Fu per lui come un avvicinamento al suo ideale ecumenico. Pur senza un'attività specifica in tal senso, egli dovette sentirsi a suo agio, vicino idealmente alla sua gente. Ma poi venne richiamato in Italia, a Bassano, dove trascorse un quinquennio tutto dedicato al confessionale, alla preghiera e allo studio dei suoi prediletti san Tommaso e sant'Agostino. Nel 1905 fu nominato Vicario del convento di Capodistria. Richiamato di nuovo in Italia, trascorse tre anni a Thiene presso il santuario della Madonna dell'Olmo. Qui lavorò ad animare i gruppi dei terziari francescani; trascorreva molte ore notturne nell'orazione che intensificò dopo una beffa ricevuta da tre giovani operaie e per cui venne esonerato dall'esercizio della confessione. Furono momenti di grande sconforto: la sua vocazione orientale, il desiderio di apostolato attivo, servizi di pubblica utilità e lui, piccolo frate balbuziente, inadatto a tutto eccetto che a confessare, era stato privato anche di questo incarico. Il giovane cappuccino visse questi momenti come un annientamento di sé e un abbandono mistico che lo amareggiarono e insieme lo esaltarono.

Trasferimento a Padova

Fu trasferito a Padova nel 1909 dove i superiori gli affidarono la direzione degli studenti e l'insegnamento di patrologia. Padre Leopoldo però non pensava di terminare i suoi giorni a Padova. Scrisse infatti nel settembre del 1914:

« II fine della mia vita deve essere quello di procurare il ritorno dei dissidenti orientali all'unità cattolica... Per questo, sino a quando l'ubbidienza dei superiori mi lascerà direttore dei nostri giovani, cercherò con tutti i mezzi di preparare gli apostoli che, a suo tempo, si occuperanno di tanta opera. »

Egli stesso studiava le lingue balcaniche e confidava di convertire quei popoli mediante la devozione mariana, che avrebbe diffuso con la parola e con la stampa. Dio, invece, aveva disposto che rimanesse a Padova fino alla morte, fatta eccezione per la parentesi della prima guerra mondiale, durante la quale, per non aver voluto accettare la cittadinanza italiana, fu confinato a Torà Presenzano, presso Foggia nel 1917 e poi ad Arienzo al Cancello, presso Napoli.

Ritornò a Padova nel 1923 per interessamento dell'Onorevole Boselli, ma in quello stesso anno i superiori lo mandarono a Fiume perché attendesse alle confessioni degli slavi. Padre Leopoldo credeva che il Signore avesse finalmente esaudito i suoi desideri, invece, in seguito alle pressioni dei suoi penitenti, rimasti costernati per la sua partenza, fu richiamato a Padova. Soltanto a poco a poco il santo venne a capire che il Signore gli aveva preparato l'oriente in ogni anima cristiana che egli avrebbe assistito con la preghiera, il sacrificio e la confessione.

L'attività di confessore

L'affluenza del fedeli al confessionale di padre Leopoldo crebbe sempre di più. Bastava vederlo per sentirsi spinti ad avvicinarlo e aprirgli la propria anima. Difatti, benché fosse sprovvisto di doti esteriori, accorrevano a lui non soltanto gli umili, ma i professori d'università, gli ufficiali dell'esercito, i vescovi, i sacerdoti, gli studenti, i magnati dell'industria e del commercio. Padre Leopoldo possedeva una profonda e vasta cultura filosofica, attinta dagli scritti di sant'Agostino e di san Tommaso d'Aquino, i suoi autori preferiti, ma pregava anche continuamente perché il Signore gli concedesse il dono della sapienza. Ne ricevette in misura straordinaria tanto che suggeriva prontamente e sicuramente ai penitenti quello che dovevano fare anche nei casi più difficili. Per questo, una volta che aveva dato un consiglio, non ammetteva repliche. Un giorno disse:

« Quando confesso e do consigli, sento tutto il peso del mio ministero e non posso tradire la mia coscienza. Come sacerdote, ministro di Dio, non ho paura di nessuno. Prima e soprattutto la verità.[2] »

Per quasi quarant'anni visse nella sua cella disadorna adiacente alla chiesa, dalle dieci alle quindici ore al giorno, sempre a disposizione dei penitenti non si prese mai un'ora di svago, tranne che negli ultimi anni di vita per ordine del medico. Si assentava dal suo posto soltanto per andare a confessare suore o assistere malati in assoluto ossequio del voto di ubbidienza che diciottenne aveva pronunciato.

I doni straordinari concessi dal Signore al suo servo buono e fedele spiegano l'eccezionale afflusso di penitenti al suo confessionale e, nello stesso tempo, giustificano il suo comportamento con loro. Da certuni egli era classificato come un lassista perché sembrava troppo generoso nell'assolvere i peccatori. Padre Leopoldo si limitava a dire:

« Se il Signore mi rimproverasse di troppa larghezza si potrebbe dirgli: Padrone benedetto, questo cattivo esempio me l'avete dato voi, morendo sulla croce per le anime, mosso dalla vostra divina carità. »

Ripeteva sovente nelle conversazioni:

« Oh, quanto è debole la natura umana. Il peccato mortale l'ha ferita mortalmente. Quanto abbiamo bisogno della misericordia infinita del Padrone Iddio! »

Spesso confidandosi con amici diceva di sentirsi un uccello in gabbia, e che il suo pensiero era sempre rivolto al di là del mare, dove avrebbe voluto svolgere il suo apostolato presso i cristiani separati d'Oriente.

Gli ultimi anni

Alla fine del 1940 la sua salute declinò e andò sempre più peggiorando. All'inizio di aprile del 1942 fu ricoverato all'ospedale civile. Ignorava di avere un tumore all'esofago. In convento continuò a confessare. Ma aveva paura della morte e il dolore lo stava consumando. Il 29 luglio del 1942 confessò senza sosta e poi trascorse tutta la notte in preghiera. La mattina del 30 luglio nel prepararsi alla Messa, svenne. Riportato a letto, ricevette il sacramento degli infermi e terminando di ripetere le ultime parole della Salve Regina, tendendo le mani verso l'alto spirò.

Culto

Ventiquattro anni dopo la sua morte, la salma di padre Leopoldo venne riesumata e risultò completamente intatta.

Il 2 maggio 1976, Leopoldo Mandić è stato proclamato beato da Papa Paolo VI e, Papa Giovanni Paolo II con la Lettera apostolica Beato Leopoldo Mandić a Castro Novo, Sanctorum caelitum honores decernuntur [3] lo ha canonizzato il 16 ottobre 1983.

Il Martirologio Romano mette la festa il 30 luglio. Normalmente il santo o il beato si ricorda nel giorno della morte a meno che per motivi liturgici o pastorali segnalati da chi ha la responsabilità e valutati dal Maestro delle Cerimonie liturgiche prima della beatificazione o canonizzazione non stabilisca diversamente. Nel caso di san Leopoldo è stato chiesto, dopo la canonizzazione, la festa nel giorno non della morte, ma della nascita il 12 maggio.

Note
  1. Frati cappuccini Assisi
  2. 2,0 2,1 Guido Pettinati, I Santi canonizzati del giorno, Edizioni Segno, Udine, Vol. VII, 1991, p. 317-326.
  3. (LA) Testo della lettera apostolica nel sito della Santa Sede
Voci correlate
Collegamenti esterni