Simone di Cirene

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Simone di Cirene
Personaggio del Nuovo Testamento
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Tiziano, Gesù Cristo aiutato da Simone di Cirene a portare la croce (1565 ca.), olio su tela
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Simone di Cirene (I secolo; † ...) detto comunemente il Cireneo, è il passante che, durante il tragitto di Gesù verso il Calvario, viene obbligato dal picchetto di soldati romani a prendere su di sé la Croce e portarla al posto dello stesso Gesù (Mt 27,32 ; Mc 15,21 ; Lc 23,26 ).

Il Vangelo secondo Marco è il meno avaro di notizie, indicando anche i nomi dei due figli di Simone di Cirene, Alessandro e Rufo; essi non sono due personalità dell'epoca e non ricorrono altrove nei passi evangelici. L'unico motivo plausibile che possa aver indotto Marco a citarli esplicitamente è il volerli chiamare a testimoni del fatto appena raccontato, riguardante il loro padre.

Questo significa che, nel momento in cui Marco scrive il Vangelo, entrambi sono ancora vivi e, in qualche modo, sono ben noti alla comunità cristiana a cui Marco si rivolge. Questa comunità, secondo la tradizione e gli scritti patristici risalenti al II secolo, è quella di Roma.

L'importanza che Marco attribuisce a Simone il Cireneo ed ai suoi figli è testimoniata dal fatto che questo evangelista riporta pochissimi nomi propri, limitandosi a questi tre, agli Apostoli, al capo di una sinagoga, Giairo, e ad un mendicante cieco, Bartimeo.

L'incontro di Gesù con il Cireneo viene ricordato nella quinta stazione della Via Crucis.

Fonti storiche

La circostanza della richiesta impostagli dai soldati Romani di portare la Croce è perfettamente compatibile con le usanze del tempo:

I Persiani avevano dei corrieri o dei portatori d'ufficio per fare spedizioni nel loro impero, ma talvolta requisivano per tale scopo uomini o animali. Il portatore era chiamato àngaros, da cui il verbo "angariare" per indicare una requisizione forzata per compiere un determinato lavoro.[1]

I Romani fecero ampio uso di tale costume, trasformandolo in uno strumento di oppressione politica dei popoli conquistati. Gli ufficiali romani, in caso di necessità, avevano il diritto, sancito per legge, di costringere chiunque al lavoro forzato.

« Tra le abitudini molto diffuse tra le forze di occupazione romane c'era quella di esigere dai viandanti servizi umilianti nei giorni delle grandi feste ebraiche. »
(Salomon Sofrai, Pellegrinaggi a Gerusalemme all'epoca del Secondo Tempio, Tel Aviv, 1965)

David Flusser aggiunge che, per rendere più cocente l'umiliazione, il lavoro forzato era imposto, quando possibile, più volentieri ai notabili che alle persone comuni. Nel caso in esame, Gesù era ormai stremato, soprattutto a causa della violenta flagellazione a cui era stato sottoposto, a differenza degli altri due condannati, e non era più in grado di trasportare il braccio orizzontale della croce, il patibulum.

Stazione della Via Crucis V: Gesù Cristo aiutato da Simone di Cirene a portare la croce

I Romani scelsero allora tra i presenti il notabile Simone di Cirene, il quale non assisteva al macabro corteo, ma passava di lì per caso, e forse sperava di riuscire a passare inosservato e raggiungere al più presto casa sua.

Lo costrinsero contro la sua volontà a portare il patibulum dietro a Gesù sino al luogo della crocifissione, in cima alla collina del Golgota, impedendogli di fatto di partecipare alla celebrazione pasquale perché il contatto con il legno dello strumento di tortura e di morte gli avrebbe comportato una grave impurità rituale.

Fonti archeologiche

L'archeologia ha fornito la prova definitiva della storicità di Simone di Cirene.

Nel 1941, a sud del villaggio di Silwa, sul monte dello Scandalo, E.L. Sukenik e N.Avigad scoprirono una camera scavata nella roccia contenente, assieme ad altri reperti, dieci ossari risalenti al I secolo d.C. La località del ritrovamento appartiene alla Valle del Cedron, presso Gerusalemme. Due di questi ossari sono riconducibili direttamente alla famiglia di Simone di Cirene.

La scoperta fu pubblicata solo nel 1962.[2], e passò praticamente inosservata, finché non fu riportata in auge da due pubblicazioni recenti di Tom Powers[3][4]. L'importanza del ritrovamento risiede nel fatto che la tomba che ospitava gli ossari appariva inviolata, ancora sigillata dalla pietra esterna, per cui non possono esservi dubbi sull'autenticità del materiale contenuto.

Dei dieci ossari rinvenuti, otto riportano iscrizioni in greco, uno in ebraico ed un altro sia in greco, sia in ebraico (ossario n.9). Sono presenti quindici iscrizioni, riferite a dodici nomi.

Alcuni dei nomi incisi sugli ossari (Sara, Sabata, Giacobbe, Alessandro) erano poco diffusi in Palestina, nel I secolo d.C., mentre erano frequenti nelle comunità ebraiche della Cirenaica.

Il primo ossario reca proprio il nome "Sara", e la scritta "Sara (figlia di) Simon, di Ptolemais".

Al tempo di Gesù esistevano ben tre città chiamate Tolemaide: una in Palestina, una in Egitto (per la quale non si hanno notizie della presenza di ebrei) ed una in Cirenaica.

La Ptolemais a cui si fa riferimento nell'iscrizione è molto probabilmente la Tolemaide cirenaica, vista la presenza del nome Sara. Quindi si ha una prima informazione relativa ad un certo Simone, proveniente da una città vicino a Cirene, che aveva una figlia di nome Sara, morta a Gerusalemme. Ancora più importante è l'ossario n.9, recante iscrizioni bilingue.

Il coperchio presenta la scritta in greco ALEXANDROU (= ad Alessandro) e, nella riga inferiore, la scritta in giudeo-aramaico LKSNDRWS QRNYT/H, che significa Alessandro di Cirene.

Su una delle facce, in greco, è scritto su due righe:

ALEXANDROS
SIMÔN

Il significato è: "Alessandro (figlio) di Simone".

Su una delle altre facce, infine, è scritto su tre righe, sempre in greco:

SIMÔN ALE
ALEXANDROS
SIMÔNOS

L'incisore ha compiuto un errore di ortografia sulla prima riga, iniziando con l'ordine sbagliato delle parole. Ha quindi interrotto e ripreso correttemente nella seconda riga. L'incisione significa pertanto:

Simone (figlio di) Ale... (corretto in) Alessandro
(figlio) di Simone

La parola ebraica QRNYT è stata interpretata come la traslitterazione del greco "Cirene". Avigad, nell'articolo del 1962, aveva offerto anche una seconda possibilità di lettura, relativa al possibile mestiere del defunto, il profumiere. Questa interpretazione è stata poi scartata, in base alle seguenti considerazioni:

  • L'origine nordafricana dei nomi sui vari ossari
  • Il riferimento a Tolemaide di Simone, padre di Sara, che molto probabilmente coincide con il Simone padre di Alessandro (Tolemaide si trovava appena ad ovest di Cirene)
  • Il fatto che la cavità sepolcrale era una tomba di famiglia, localizzata in un cimitero di notabili.
  • La conferma della presenza di una comunità cirenea stabilitasi a Gerusalemme, giunta con il ritrovamento sul Monte degli Olivi dell'ossario di un altro cireneo (con l'iscrizione greca PHILON KYRENAIOS).[5]

Data quindi l'origine cirenea di Alessandro, la rarità di questo nome in Palestina, il collegamento con il nome paterno Simone e la datazione degli ossari, gli studiosi sono unanimemente convinti che si tratti proprio dell'Alessandro citato in Mc 15,21 .

« Trovo molto improbabile che nella Gerusalemme del I sec. d.C. possano esserci state due famiglie entrambe di Cirene in Africa del Nord (Gerusalemme dista 1500 km da Cirene, nda), entrambe con capofamiglia chiamato Simone, e di cui tutte e due hanno dato al loro figlio il nome (raro) di Alessandro. Credo che il Simone citato nell'ossario rinvenuto nella valle del Cedron sia molto probabilmente il Simone di Cirene che ha portato la croce di Gesù. »
(Tom Powers, in Biblical Archaeology Society Review)
« Per tutti coloro che siano interessati a un ossario senza dubbio autentico di una persona menzionata nel Nuovo Testamento, l'Università Ebraica di Gerusalemme possiede quello di "Alessandro, figlio di Simone di Cirene". »
(C. P. Thiede, Cristo, un falso quell'urna, in Avvenire, 12 dicembre 2002)

Tutti gli studiosi concordano sul fatto che sia la persona di cui si parla nel Vangelo di Marco 15,21.

Resta ancora da chiedersi come mai, nella tomba di famiglia, manchi proprio l'ossario del capofamiglia Simone.

Tom Powers, esaminando le incisioni dell'ossario di Alessandro, ha ipotizzato che la scritta SIMON prima di ALE, poi interrotto, non sia stata un errore dell'incisore, ma il solo nome originariamente presente sull'urna. Il nome (e le ossa) del figlio Alessandro sarebbero state aggiunte solo in un secondo tempo.

I segni della sepoltura di Simone ed Alessandro a Gerusalemme spiegherebbero anche il perché della presenza del solo Rufo e di sua madre a Roma.

Se l'identificazione del Rufo romano con il figlio di Simone il Cireneo è corretta, abbiamo anche una conferma per una datazione alta del Vangelo di Marco. Quando Marco riporta nel suo Vangelo il riferimento ai due figli di Simone, essi sono entrambi vivi. Quando Paolo scrive la Lettera ai Romani, a cavallo tra il 57 ed il 58 d.C., Simone e Alessandro non ci sono più.

Quindi il Vangelo secondo Marco probabilmente è antecedente all'anno 58.

Note
  1. Giuseppe Ricciotti, Vita di Gesù Cristo, 1941, Nota al par. 327.
  2. N.Avigad: A Depository of Inscribed Ossuaries in the Kidron Valley, IEJ 12, 1962, pp. 1-12
  3. Tom Powers, Treasures in the Storeroom Family Tomb of Simon of Cyrene, in Biblical Archaeology Society Review, July/August 2003
  4. Tom Powers, A Second Look at the "Alexander Son of Simon" Ossuary: Did It Hold Father and Son?, in Biblical Archaeology Society Review, 26 settembre 2006.
  5. Cfr anche J.T. Milik in B. Bagatti - J.T. Milik, Gli Scavi del 'Dominus Flevit', I, Jerusalem, 1958, p. 81, n° 9.
Voci correlate