San Bernardo da Corleone
San Bernardo da Corleone, O.F.M. Cap. Religioso | |
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al secolo Filippo Latini | |
Santo | |
Età alla morte | 61 anni |
Nascita | Corleone 6 febbraio 1605 |
Morte | Palermo 12 gennaio 1667 |
Professione religiosa | 13 dicembre 1631 |
Iter verso la canonizzazione | |
Beatificazione | 1768, da Clemente XIII |
Canonizzazione | 10 giugno 2001, da Giovanni Paolo II |
Ricorrenza | 12 gennaio |
Collegamenti esterni | |
Scheda su santiebeati.it |
Nel Martirologio Romano, 12 gennaio, n. 8:
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San Bernardo da Corleone, al secolo Filippo Latini (Corleone, 6 febbraio 1605; † Palermo, 12 gennaio 1667) è stato un religioso italiano, appartenente all'Ordine dei Frati Minori Cappuccini.
Biografia
Nacque il 6 febbraio 1605 a Corleone, in Sicilia, battezzato con il nome di Filippo, quinto figlio di Leonardo, un calzolaio e conciatore di pelli e di Domenica. La sua casa era, a detta di popolo, "casa di santi", poiché il padre era misericordioso coi poveri fino a portarseli a casa, lavarli, rivestirli e rifocillarli con squisita carità. Molto virtuosi erano anche i fratelli e le sorelle. Su questo terreno così fertile il giovane Filippo imparò presto a esercitare la carità e a essere devoto del Crocifisso e di Maria Vergine, alla quale ogni sabato rendeva l'omaggio della lampada votiva.
La vita della Sicilia del tempo, sotto la dominazione spagnola, era piena di fermenti politici e religiosi. Così, alla religiosità del calzolaio Filippo corrispondeva la sua vita caritativa. Sono molti coloro che hanno testimoniato di aver visto il giovane che andava cercando l'elemosina per la città in tempo d'inverno per carcerati senza vergognarsene. Filippo, poi, trattava bene i suoi dipendenti, dal momento che gestiva una bottega di calzolaio. Fu anche un bravo e temibile spadaccino, non solo di Corleone, ma di tutto il circondario; i suoi primi biografi affermano che arrivò a essere considerato la prima spada di Sicilia.
Alcuni testimoni precisarono ai processi che nessun difetto si era notato se non la focosità che aveva nel mettere mano alla spada quando era provocato. Questa focosità provocò ansie e timori non indifferenti ai genitori. I testimoni furono comunque tutti concordi nel deporre che se Filippo metteva mano alla spada era per difendere il prossimo da qualche vessazione: in ogni caso, non provocò mai nessuno, ma sempre fu provocato.
L'episodio del duello con Vito Canino del 1624 fu certamente decisivo nella giovinezza di Filippo, anche se è stato colorato con particolari romanzeschi. Prima dello scontro fatale con Vito Canino, che ebbe una vasta risonanza popolare, Filippo aveva avuto delle scaramucce con un non meglio identificato Vinuiacitu, che se l'era cavata con due dita ferite. Vito Canino, il commissario venuto da Palermo a Corleone per carpire il primato della scherma a Filippo, in realtà era un sicario mandato da Vinuiacitu allo scopo di assassinare il calzolaio, per rifarsi dell'umiliazione subita. Nel duello Filippo mutilò per sempre il braccio del Canino, rendendolo inabile. Anche se aveva agito per legittima difesa, Filippo provò dolore e dispiacere vivissimo per aver ferito il Canino e sebbene fosse considerato la prima spada della Sicilia, chiese perdono al ferito e, anche quando divenne cappuccino, lo aiutò economicamente, tramite i benefattori e moralmente, fino al punto che i due divennero amici carissimi.
L'episodio influì molto sulle future decisioni di Filippo che decise di abbracciare la vita religiosa e chiese di poter entrare nell'Ordine cappuccino, dove fu ammesso dopo non poche perplessità da parte dei superiori, che ben conoscevano il suo passato burrascoso. Il 13 dicembre 1631, vestì nel noviziato di Caltanissetta il saio dei cappuccini, i frati più inseriti nelle classi popolari e volle chiamarsi frate Bernardo da Corleone. Terminato il noviziato, emise la professione religiosa e s'incamminò speditamente sulla via della perfezione cristiana. I confratelli che vivevano con lui notavano l'ansia religiosa di un uomo sempre impegnato nel condurre una vita profondamente cristiana e protesa verso la perfezione. Era la coerenza a spingerlo a comportarsi da vero cristiano e buon frate. Senza atteggiarsi a maestro, fra Bernardo voleva coinvolgere tutti nel cammino verso la salvezza attraverso l'amore di Dio e la penitenza.
Nella preghiera emergeva l'immagine più bella e autentica di fra Bernardo da Corleone. Chi lo vedeva, riteneva che conversasse con Dio, indirizzando a Lui pensieri e affetti; e nello stesso tempo appariva misericordioso con tutti e pacifico. La sua vita fu del tutto semplice, passò attraverso i diversi conventi della provincia, a Bisacquino, Bivona, Castelvetrano, Burgio, Partitico, Agrigento, Chiusa, Caltabellotta, Polizzi e forse a Salemi e Monreale, ma è difficile ricavarne un quadro cronologicamente esatto. Si sa che trascorse gli ultimi quindici anni di vita a Palermo.
Il suo ufficio come fratello fu quello di cuciniere o di aiutante cuciniere. Ma egli sapeva aggiungervi la cura degli ammalati e una quantità di lavori supplementari per essere utile a tutti. Si racconta un episodio tanto bello quanto divertente di questa sua generosità. Trovandosi con i frati di Bivona durante un'epidemia, si prodigò nel curarli in ogni necessità, perché l'unico rimasto sano in comunità era lui. Ma poi venne colto anch'egli dal male: allora, prese da una chiesa una statuetta di san Francesco e se l'infilò in una manica dicendo:
« | Adesso tu rimani lì dentro finché non mi fai guarire, perché possa aiutare i confratelli » |
La sua opera d'infermiere si estese anche agli animali, in un tempo in cui la morte di un mulo o di un bovino poteva significare rovina per una famiglia. Si fece a suo modo esortatore e predicatore con certi suoi brevi sermoni in rima ancora ricordati, come:
« | Momentaneo è il patire sempre eterno è il partire » |
Si fermava volentieri di notte in chiesa perché diceva chenon era bene lasciare il Santissimo Sacramento solo ed egli restava presso il tabernacolo finché fossero venuti altri frati. Trovava tempo per aiutare il sacrestano, per restare più vicino possibile al tabernacolo. Contro il costume del tempo egli usava fare la comunione quotidiana. Tanto che i superiori negli ultimi anni di vita, prostrato per le continue penitenze, gli affidarono il compito di stare solo a servizio dell'altare.
Secondo la migliore tradizione dei fratelli laici dell'Ordine, fra Bernardo non esitava a definirsi l'asino dei frati e a chi gli consigliava d'imparare a leggere, rispondeva:
« | Le piaghe di Cristo Nostro Signore, queste dobbiamo studiare » |
La solidarietà con i suoi confratelli si apriva fino ad assumere una dimensione sociale. A Palermo, in circostanze di calamità naturali, come terremoti e uragani, si fece mediatore davanti al tabernacolo, lottando come Mose:
« | Piano, Signore, piano! Usateci misericordia! Signore, la voglio questa grazia, la voglio! » |
Due mesi prima della morte fra Bernardo sempre più frequentemente ripeteva: "paradiso, paradiso; presto ci vedremo in paradiso" e lo diceva con allegria straordinaria. Sul letto di morte, ricevuta l'estrema unzione, con gioia ripeté: "Andiamo, andiamo" e spirò nel convento dei Cappuccini a Palermo. Erano le ore 14 di mercoledì, 12 gennaio 1667.
Un suo intimo confratello, fra Antonino da Partanna, lo vide in spirito tutto luminoso che ripeteva con ineffabile gioia:
« | Paradiso! Paradiso! Paradiso! Benedette le discipline! Benedette le veglie! Benedette le penitenze! Benedette le rinnegazioni della volontà! Benedetti gli atti di ubbidienza! Benedetti i digiuni! Benedetto l'esercizio di tutte le perfezioni religiose! » |
La sua fama di santità era talmente grande che spinse subito i superiori e le autorità ecclesiastiche ad avviare il processo per la beatificazione.
Culto
La sua tomba si trova nella Chiesa dei cappuccini, piazza Cappuccini, 1 a Palermo.
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