Gian Lorenzo Bernini

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Gian Lorenzo Bernini
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Gian Lorenzo Bernini, Autoritratto (1620-1623), olio su tela; Roma, Galleria Borghese
Titolo
Incarichi attuali
Età alla morte 81 anni
Nascita Napoli
7 dicembre 1598
Morte Roma
28 novembre 1680
Sepoltura Basilica di Santa Maria Maggiore (Roma)
Appartenenza
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Ordinato diacono
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Gian Lorenzo Bernini (Napoli, 7 dicembre 1598; † Roma, 28 novembre 1680) è stato un scultore, architetto e pittore italiano, il massimo protagonista della cultura figurativa barocca. Fu anche autore di testi teatrali, scenografo, inventore di "macchine" e di apparati festivi.

Biografia

Formazione e prime opere

Nacque a Napoli il 7 dicembre 1598, figlio di Pietro, scultore fiorentino che dal 1584 era attivo in questa città e di Angelica Galante, napoletana.

Fin dall'infanzia egli ebbe una quotidiana esperienza con la pratica della scultura, assistendo alla lenta trasformazione del padre dai modi ancora ispirati all'arte rinascimentale a invenzioni che, oltrepassando i modelli manieristi, giungevano alla sobrietà della riforma cattolica e sviluppavano a pieno le sue intenzioni di rappresentazione monumentale come si nota sia nel rilievo dell'Assunzione di Maria Vergine (1607-1610) nel battistero[1] e nell'altro con l'Incoronazione di papa Clemente VII (1611) per il monumento funebre del pontefice nella cappella Paolina,[2] entrambi conservati nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma.

La sua formazione si compirà nell'ambito paterno, a Roma, dove nel frattempo la famiglia si era trasferita tra il 1605 e il 1606 e da Pietro, che scolpiva il marmo con particolare abilità, Gian Lorenzo apprese le nozioni basilari dell'arte e ben presto acquisì la sua stessa capacità tecnica come si può osservare da alcune sue prime opere, che furono eseguite insieme con il padre.[3]

La sua personalità artistica si educò anche attraverso lo studio delle opere d'arte nelle collezioni romane - in particolare con la statuaria ellenistica e romana del Vaticano, della Villa Borghese e con i dipinti delle Stanze - cui si aggiungeva l'esercizio del disegno che per due anni fu quasi quotidiano.

Gian Lorenzo Bernini, Giove allattato dalla capra Amaltea (1610-1615 ca.), marmo; Roma, Galleria Borghese

Il rapporto tra Gian Lorenzo e il padre si tramutava intanto da un discepolato a una concreta collaborazione. Secondo alcune fonti (F. Baldinucci, D. Bernini), ma che non convincono la gran parte degli studiosi, egli avrebbe eseguito opere in marmo già all'età di otto anni, come il busto di Antonio Coppola in S. Giovanni dei Fiorentini a Roma, pagato a Pietro nel 1612, mentre più probabilmente sono di Gian Lorenzo i cesti di frutta e fiori nei due termini scultorei raffiguranti Flora e Priapo che il padre (1616-1617) aveva realizzato per Villa Borghese a Roma e che ora sono conservati al Metropolitan di New York,[4] dai quali si coglie un certo spessore plastico e un'attenzione naturalistica che deriva dai modelli caravaggeschi come il Fanciullo con canestro di frutta (1593-1595), già all'epoca posseduto dal cardinale Scipione Borghese: anche l'ispirazione all'osservazione e allo studio di esempi pittorici contemporanei proveniva dal padre. Pietro e Gian Lorenzo lavorarono insieme anche nella decorazione della cappella Barberini in Sant'Andrea della Valle e così pure nel gruppo scultoreo raffigurante un Fauno molestato da due cupidi (1616 - 1617 ca.),[5] nel quale già si avverte la superiorità qualitativa del figlio nella resa accurata e nella fluida naturalezza che richiama i modelli ellenistici, e anche nella rappresentazione ironica del soggetto mitologico. Si nota qui, dunque, una conoscenza dell'arte antica più matura di quella manifestata nel gruppo con Giove bambino allattato dalla capra Amaltea (1610 - 1615 ca.)[6] che Gian Lorenzo scolpì, tutto di propria mano, per il cardinale Borghese, il quale per molto tempo è stato scambiato per una scultura romana.

Come altri artisti dell'epoca il Bernini restaurava opere antiche: nel 1620 gli sarà affidato l'Ermafrodito (II secolo d.C.) - che dalla collezione Borghese passerà poi al Museo del Louvre, a Parigi[7] - nel quale la sua aggiunta di un materasso marmoreo gli conferirà un accento squisitamente realistico. Alcuni anni dopo, nel 1627, egli interverrà nell'Ares Ludovisi (II secolo a.C.; Roma, Museo delle Terme) che aveva bisogno solo di piccoli risarcimenti: Gian Lorenzo, invece, rifece un braccio, un piede e la testa del puttino che sta tra le gambe della divinità, ma tenne ben distinte visivamente queste parti di ripristino, non solo per il carattere stilistico, ma anche con un trattamento di finitura del marmo diverso da quello della statua antica: questo modo di avvicinarsi all'opera classica è una singolare anticipazione dei criteri contemporanei del restauro, che già sosteneva il rigore filologico e il rispetto dei modelli originali. Le esperienze di restauro di opere classiche, inoltre, lo fanno accostare ulteriormente alla scultura ellenistica della quale apprezza il virtuosismo delle soluzioni spaziali, le conquiste "pittoriche" e la matrice letteraria.

A questo rispetto Gian Lorenzo era giunto non per via teorica o erudita, ma per una notevole capacità di lettura dei modelli antichi e di ispirarsi in modo originale e creativo a essi, come si intravede nel San Lorenzo sulla graticola (Firenze, Palazzo Pitti) e nel San Sebastiano scolpito per il cardinale Maffeo Barberini (Madrid, Museo Thyssen Bornemisza),[8] che si datano tra il 1615 ed 1616 circa e appartengono quindi alla stessa fase artistica in cui venne eseguito il Fauno del Metropolitan Museum.

La sua crescita stilistica e creativa, peraltro, si nutriva anche dello studio dei grandi artisti del Rinascimento o dei contemporanei, quali: Michelangelo per la statuaria o come ricorderà più volte lo stesso Bernini (e come riportato concordemente dalle prime biografie del figlio Domenico e di Baldinucci), riferendosi alle sue esperienze giovanili, indicando come pittori prediletti Annibale Carracci e Guido Reni, ma anche per il coevo pittore francese Nicolas Poussin. Conseguenze dirette di tali interessi si notano nell'esigua, seppur non marginale, produzione pittorica di Bernini, in opere come:

  • Autoritratto di Gian Lorenzo Bernini (1620-1623), olio su tela, esposto presso la Galleria Borghese di Roma.[9]
  • Davide con la testa di Golia (1620-1635), olio su tela, conservato alla Galleria Nazionale d'Arte Antica di Palazzo Barberini di Roma.[10]
  • Sant'Andrea e san Tommaso (1626-1627), olio su tela, custodito presso la National Gallery di Londra.[11]

Al servizio di papi, principi e sovrani

Il sodalizio con Scipione Borghese

Gian Lorenzo Bernini, Apollo e Dafne (1622-1625), marmo; Roma, Galleria Borghese

Gian Lorenzo, attraverso il padre, entrò in rapporto con le famiglie dei Borghese, dei Barberini e degli Aldobrandini, ossia i casati nobiliari romani, ai vertici del potere di curia e dominanti anche la vita culturale dell'Urbe. Con questi primi committenti si stabilì subito un rapporto privilegiato e il suo perdurare e intensificarsi fornì importanti occasioni per la maturazione artistica e creativa del giovane.

Papa Paolo V, al secolo Camillo Borghese (1605-1621), aveva avuto Pietro tra i collaboratori alla cappella Paolina e non sembra che abbia direttamente promosso altri lavori; ma suo nipote, il cardinale Scipione (1576-1633) appassionato di archeologia e arte monopolizzò praticamente l'attività del giovane Bernini (anche come restauratore, per l'Ermafrodito) e ne acquisì pure l'Autoritratto dipinto; tra le prime opere che gli fece realizzare, tra il 1622 e il 1623 ca., è il busto marmoreo dello zio pontefice, tuttora conservato presso la Galleria Borghese.[12] L'incarico più importante fu quello per quattro grandi sculture, in marmo, destinate a decorare le sale della Galleria (tuttora lì conservati) e dove l'artista dimostra una grande capacità e maturità creativa:

Sono, pertanto, opere di soggetto profano, anche il Davide è piuttosto un'allegoria della virtù eroica che la raffigurazione del personaggio biblico: temi coerenti agli interessi culturali del committente. In queste sculture si nota lo sviluppo creativo del Bernini, il quale rifiutava la tradizione, rappresentata dal Giambologna, di statue autonome a tutto tondo e coglieva invece un momento unico, culminante, dell'azione, percepibile immediatamente da un solo punto di vista: ad esempio, il gruppo dell'Apollo e Dafne che è quasi un rilievo liberato del suo piano di fondo, doveva essere visto appena si entrava nell'ambiente (la stessa dove si trova attualmente, ma collocato erroneamente, in mezzo invece che addossato a una parete). L'artista aveva, infatti, previsto una collocazione delle statue nelle sale della villa diversa da quella attuale, intesa a individuare punti di vista ed effetti di illuminazione dalle finestre che esaltassero proprio il senso del movimento nello spazio. Seguiva in questo uno studio di relazione ambientale della scultura che si era già proposto col travolgente Nettuno e Tritone, eseguito intorno al 1620, per il cardinale Alessandro Peretti (una delle poche opere, che il Bernini poté realizzare al di là delle commissioni del Borghese) e che costituiva il fulcro della complessa struttura scenica della fontana di villa Montalto a Roma.[17]

Il cardinale Scipione Borghese era attratto dalla personalità artistica del Bernini e lo fu ancora maggiormente quando, nel 1632, lo scultore gli presentò le due varianti del suo busto che aveva scolpito in rapida sequenza:[18][19] un'impresa straordinaria che accese l'ammirazione del prelato e dei cultori.

Il pontificato di Urbano VIII

Gian Lorenzo, per tramite del padre, era entrato in contatto con il cardinale Maffeo Barberini (1568-1644) per il quale aveva realizzato il San Sebastiano (1615 - 1616 ca.) e restaurato le parti mancanti del Fauno Barberini, scultura ellenistica databile al 220 a.C., scoperta nel 1625 circa, attualmente conservata alla Gliptoteca di Monaco di Baviera. Il prelato, aveva svolto un'importante carriera ecclesiastica come nunzio apostolico a Parigi e legato pontificio a Bologna, eletto papa nel 1623, con il nome di Urbano VIII, chiamò immediatamente presso la propria corte e in tale occasione gli avrebbe detto:

« È gran fortuna la vostra, o cavaliere, di vedere papa il cardinal Maffeo Barberini; ma assai maggiore è la nostra che il cavalier Bernino viva nel nostro pontificato. »
Gian Lorenzo Bernini, Baldacchino di San Pietro (1624-1633), bronzo; Città del Vaticano, Basilica di San Pietro

Urbano VIII, che, nella sua volontà di imitazione dei papi del Rinascimento, aspirava a fare del Bernini un nuovo Michelangelo, gli affidò, già l'anno successivo alla sua elezione, commissioni anche come architetto e pittore, oltre che come decoratore e scultore. Il primo lavoro di architettura fu la nuova facciata per la Chiesa di Santa Bibiana (1624-1626), per la quale il Bernini scolpì anche la statua della santa sull'altare.[20] Incaricato della decorazione della Basilica di San Pietro, eseguì la sua prima impresa di carattere monumentale con caratteristiche pienamente barocche: il solenne baldacchino (1624-1633), da erigersi sulla tomba di San Pietro e audacemente commisurato alla crociera michelangiolesca. Per questa opera, che venne terminata solo nel 1633, Bernini dovette fronteggiare enormi problemi tecnici, in particolare per la fusione delle colonne per le quali impiegò il bronzo asportato dal portico del Pantheon e dovette avvalersi della collaborazione del padre, del fratello Luigi e di altri artisti. Questa fu, dunque, la prima impresa che gli richiese una forte capacità direzionale di un grande cantiere collettivo. Inoltre, il Bernini aveva deciso di realizzare colonne tortili derivate dall'arte paleocristiana, ma per il quale dovette ideare un coronamento appropriato e la combinazione di scultura figurata (angeli, stemmi dei Barberini e papali) e architettura, inaugurando così una fase nella storia dell'arte moderna, che vede architettura e scultura fuse in una nuova organica maniera. Mentre era ancora in corso la realizzazione del baldacchino, Gian Lorenzo iniziò a progettare un'ambientazione teologicamente complementare, aprendo nei quattro piloni che sorreggono la cupola, altrettante nicchie - che danno accesso alle cappelle dedicate ai santi (Elena, Veronica, Longino e Andrea apostolo) - ove collocare enormi statue, alte più di tre metri, con logge sovrastanti da utilizzare per l'esposizione delle loro reliquie. Gian Lorenzo realizzò soltanto la statua di Longino (1634 - 1638 ca.),[21] ma fece incaricare altri artisti per l'esecuzione delle altre tre:

Gian Lorenzo Bernini, Logge di San Pietro (1633-1640), marmo; Città del Vaticano, Basilica di San Pietro

Nel 1629 iniziò a costruire anche il Monumento funebre di Urbano VIII, il quale non era ancora terminato quando il pontefice vi fu sepolto nel 1644. La tomba, collocata nell'abside della Basilica, venne progettata come pendant a quella di Paolo III (1549 - 1574 ca.),[24] realizzata da Guglielmo della Porta,[25] per istituire un legame storico tra il pontefice del Concilio di Trento e lo stesso Urbano VIII, parimenti impegnato nella difesa del primato della Chiesa. Sull'imponente struttura, in marmo e bronzo, è posta la figura del papa, seduta in trono, con un atteggiamento più di comando che di benedizione, sovrastando il sarcofago, sul quale è raffigurata l'Allegoria della Morte in atto di scrivere il nome del defunto e quelle delle Virtù proprie dell'autorità pontificia, la Carità e la Giustizia.[26]

Analogo disegno politico, ossia l'affermazione del potere spirituale e temporale del papato, giustificherà il Monumento funebre di Matilde di Canossa (1633 - 1644 ca.), collocato nella navata destra della Basilica di San Pietro, a ricordo delle donazioni territoriali alla Chiesa ma, in particolare nel rilievo sul sarcofago, raffigurante Enrico IV penitente davanti a papa.[27]

Durante questo periodo il Bernini era impegnato non solo nella Basilica di San Pietro e non solo per Urbano VIII, ma anche per altri membri della famiglia Barberini per i quali scolpì alcuni ritratti, fra i quali si ricordano:

  • Ritratto di Francesco Barberini (1622 ca. - 1623 ca.), in marmo, attualmente conservato alla National Gallery of Art di Washington (USA);[28]
  • Ritratto di Antonio Barberini (1627 - 1628 ca.), in marmo, attualmente esposto alla Galleria Nazionale d'Arte Antica di Palazzo Barberini di Roma.[29]

Inoltre, il cardinale Francesco Barberini, nipote del pontefice, lo incaricò di completare palazzo Barberini (1629-1633), modificando il progetto originario di Carlo Maderno e collocando nei pressi (dando così un nuovo aspetto urbanistico all'area) la fontana del Tritone (1642 - 1643 ca.)[30] ed, alcuni anni dopo, la fontana delle Api (1644),[31] entrambe sono elementi celebrativi della dinastia: il tritone come simbolo della Fama e le api come segno araldico dei Barberini.

Il patrocinio dei Barberini fu anche più accentratore di quello di Scipione Borghese. Infatti, solo per motivi politici fu consentito all'artista di scolpire nel 1636 il Ritratto di Carlo I d'Inghilterra (andato distrutto nel 1698) e per ragioni simili gli fu possibile eseguire il busto del Cardinale Armand-Jean du Plessis Richelieu (1640 - 1641; Parigi, Museo del Louvre),[32] ma gli non venne permesso di terminare lo splendido Ritratto di Thomas Baker (1638 ca.; Londra, Victoria and Albert Museum)[33] e analogamente quello di Giordano Orsini, duca di Bracciano. La sola opera compiuta fu di tipo privato, in contrasto con le altre di carattere ufficiale e quindi ancora piuttosto tradizionaliste, è il busto di Costanza Bonarelli (1634 - 1638 ca.; Firenze, Museo Nazionale del Bargello), amante di Bernini e moglie di uno dei suoi allievi:[34] questa è una scultura unica nel suo genere, che sembra preludere alle opere neoclassiche dello scultore Jean-Antoine Houdon (1741-1828) nel suo realismo senza fronzoli e artifici particolari.

In questo periodo progettò anche le fortificazioni di Borgo (1630) e nel 1634 costruì la cappella, ovale, del palazzo di Propaganda Fide (distrutta e ricostruita dal Borromini nel 1662) e la facciata settentrionale (1642-1644) del medesimo edifico. Nel 1637 cominciò a erigere il campanile meridionale di San Pietro, abbattuto nel 1646, per l'inattuabilità del progetto, che prevedeva un peso troppo grande per le fondazioni; il punto più alto è raggiunto nella Cappella Raymondi nella Chiesa di San Pietro in Montorio (1638-1640), uno spazio concepito anche con l'impiego di mezzi desunti dalla pratica scenica, per ospitare una sacra rappresentazione (un anticipazione della globalità della Cappella Cornaro in Santa Maria della Vittoria).

Gian Lorenzo Bernini, Fontana dei quattro fiumi (1648-1651), marmo e travertino; Roma, piazza Navona

Il pontificato di Innocenzo X

Il Bernini aveva assunto nel mondo culturale romano un tale predominio che molti artisti, anche di talento, si trovavano spesso in difficoltà e in sottordine nei suoi confronti, lamentando che era impossibile lavorare al servizio della famiglia Barberini senza essere raccomandati da lui.

Dopo la morte di Urbano VIII e l'elezione di Innocenzo X (1644-1655), i Barberini caddero in disgrazia e per alcuni anni anche il prestigio dello stesso Bernini, il quale anzi venne tenuto in disparte dai Pamphilj che gli preferirono Borromini e i Ranaldi. Il nuovo papa, infatti, inizialmente tentò di sbarazzarsi di tutto ciò che in qualche modo era riconducibile al precedente pontefice, Bernini compreso. Inoltre, nel 1646 l'abbattimento del campanile con il quale aveva inteso concludere la facciata di San Pietro, fu un facile pretesto per attacchi da ogni parte e per la prima (ed unica) volta sembrò che la sua carriera professionale fosse irrimediabilmente compromessa, per questo aveva cercato un riscatto privato eseguendo per sé stesso un gruppo scultoreo raffigurante la Verità scoperta dal Tempo, del quale fu compiuta solo la figura della Verità (1646 - 1652 ca.; Roma, Galleria Borghese). Gian Lorenzo, però proprio in questo periodo, continuò a lavorare all'apparato decorativo della navata di San Pietro e, grazie all'appoggio del principe Nicolò Ludovisi (1610-1664), marito della pronipote del nuovo pontefice, ottenne l'incarico di realizzare la Fontana dei quattro fiumi (1648-1651) a piazza Navona (il nuovo centro urbano collegato al palazzo della famiglia del papa), che eseguì con alcuni aiuti.[35] La soluzione geniale della roccia cava che sorregge l'obelisco egizio e le allegorie dei quattro fiumi simboleggianti altrettanti continenti, che fanno sgorgare l'Acqua Vergine, fatta portare fin lì dal pontefice, che implicitamente alludono ai fiumi del Paradiso che diffondono la grazia divina, riaccese l'ammirazione generale, anche quella di Innocenzo X, sull'attività artistica del Bernini.

Gian Lorenzo Bernini, Estasi di santa Teresa d'Avila (1647-1652), marmo; Roma, Chiesa di Santa Maria della Vittoria

Lo scultore, intanto, iniziò a lavorare per altri committenti: fece il busto di Francesco I d'Este (1650 - 1651; Modena, Galleria Estense),[36] dove sviluppa nuove dimensioni e nuova dinamica: il contrapporsi dei moti dei corpo e del capo, già sperimentato nel ritratto incompiuto del Baker, è dall'uso di un panneggio "antico" e dall'espressione imperiosa, in un assetto compositivo che rimase esemplare per ritratti nella scultura del secolo successivo. Realizzò, soprattutto, la cappella Cornaro nella Chiesa di Santa Maria della Vittoria, che è concepita come un complesso unitario, ma al tempo stesso vi è delineata una nicchia ovale entro la quale è collocato il gruppo marmoreo con l'Estasi di santa Teresa d'Avila (1647-1652),[37] che è concepito come un rilievo, illuminato dall'alto da una luce "miracolosa", proveniente da una sorgente indistinguibile e che si concretizza nei nei raggi di legno dorato. La volta della cappella è invasa da una schiera di angeli e nuvole dipinti sullo stucco che riveste le membrature architettoniche. Tutta la visione sembra originata al momento della devota contemplazione dei membri della famiglia Cornaro, che vengono ritratti sulle due pareti laterali della cappella in gruppi di grande vitalità, benché solo uno di essi fosse effettivamente vivo: il committente, il cardinale Federico Cornaro (1579-1653). L'architettura è in marmi policromi, mentre le sculture sono realizzate con quello bianco spiccano con evidenza accentuata dai raggi lignei dorati e dalla luce reale e anche la scena dipinta nella volta è riccamente colorata. L'architettura, la pittura e la scultura sono connesse in modo tale che il figlio Domenico Bernini poté dichiarare nella biografia da lui scritta del padre:

« Havere il Cavaliere in quel gruppo superato sé stesso, vinta l'arte, con oggetto raro di maraviglia. »

Il pontificato di Alessandro VII

Gian Lorenzo Bernini, Cattedra di San Pietro (1657 - 1665 ca.), bronzo e marmo; Città del Vaticano, Basilica di San Pietro

L'ambiente culturale romano cambiò nuovamente con l'elezione di Alessandro VII (1655-1667), al secolo Fabio Chigi, che appena salito al soglio pontificio convocò Bernini, illustrandogli le proprie idee che erano, soprattutto di tipo urbanistico e che coinvolsero i maggiori architetti dell'epoca, dai Rainaldi, a Pietro da Cortona, a Borromini. Tra i primi progetti da lui sostenuti fu la sistemazione di piazza del Popolo e il restauro generale della Basilica di Santa Maria del Popolo (1655-1660), dove Gian Lorenzo completò la decorazione della cappella Chigi di Raffaello con le due sculture di Daniele e Abacuc alimentato dall'angelo,[38] che furono collocate in angoli opposti dando un nuovo interesse spaziale a tutto l'ambiente. Il fulcro dei progetti del nuovo pontefice fu, comunque, la Basilica di San Pietro, dove Bernini realizzò la sorprendente e rivoluzionaria cattedra (1657 - 1665 ca.), come immenso reliquiario della cosiddetta cathedra Petri paleocristiana, sorretto dalle statue di quattro Padri della Chiesa (sant'Ambrogio, sant'Agostino d'Ippona, san Giovanni Crisostomo e sant'Atanasio di Alessandria), sovrasto da una splendida schiera angelica e illuminata dalla sfolgorante apparizione della Colomba dello Spirito Santo.[39]

Contemporaneamente realizzava nella piazza San Pietro, l'opera più puramente architettonica, il gigantesco portico ellittico di colonne tuscaniche (1656-1663), che suggerisce l'idea dell'abbraccio ecumenico della Chiesa, esaltato dal coro delle grandi statue di statue di santi che sovrastano la struttura, ma nello stesso tempo serve a mediare la visione della facciata della Basilica. Quasi complementare al colonnato sarà la sistemazione di un contiguo spazio nel quale fu ricavata la Scala Regia (1663-1666)), che conduce dal porticato al Palazzo Apostolico, con l'artificio prospettico delle colonne degradanti lungo il percorso delle quali compare, come su una ribalta teatrale, la statua equestre di Costantino (1654-1668).

Il patronato del pontefice e della famiglia Chigi occupò Bernini anche fuori Roma in altre opere delle quali curò sia la progettazione architettonica, sia l'apparato decorativo:

Gian Lorenzo Bernini, Colonnato di San Pietro (1656-1663), travertino; Città del Vaticano, Piazza San Pietro

Durante il pontificato di Alessandro VII, il Bernini continuò, inoltre, ad abbellire le piazze di Roma, come quella della Minerva, dove riprendendo un progetto che aveva elaborato nel 1658 per il cardinale Francesco Barberini, su commissione dello stesso papa, realizzò un Elefante obeliscoforo (1666-1667): l'animale fu scolpito da un suo collaboratore, Ercole Ferrata.[42]

In questo periodo l'attività del Bernini era sempre più dedicata a opere architettoniche, come la Chiesa di Sant'Andrea al Quirinale a Roma (1658-1670), commissionata dal cardinale Camillo Pamphilj, nipote di papa Innocenzo X, per il noviziato dei gesuiti: un edificio a pianta ovale con il diametro più corto come asse principale, dove i muri ricurvi racchiudono il breve spazio ai lati della facciata e introducono verso l'entrata. La facciata, lontana dallo schema tradizionale, appare come la fantasiosa versione di un grande portale.

Giovanni Battista Gaulli, Ritratto di Gian Lorenzo Bernini (1670-1709), olio su tela; Roma, Collezione A. Busiri Vici

Nel 1665 il Bernini fu chiamato da Luigi XIV, a Parigi,[43] per progettare l'ampliamento del palazzo del Louvre, dove venne accolto con grande entusiasmo, ma non ottenne i risultati sperati, poiché i suoi progetti, troppo legati al barocco romano, erano distanti dal gusto francese e, quindi, rimasero sulla carta. La sola opera eseguita nel soggiorno parigino fu il busto di Luigi XIV (Musée National du Château de Versaille).[44] Ulteriore documento del poco apprezzamento dei francesi sarà la sorte della statua equestre di Luigi XIV (1669-1677), che Bernini scolpì dopo il suo ritorno a Roma e fu trasportata a Parigi soltanto dopo la sua morte; essa però non piacque e, trasformata dal Francois Girardon in un Marco Curzio, fu confinata in un angolo appartato dei giardini di Versailles.

Alessandro VII commissionò al Bernini il proprio monumento funebre, per il quale eseguì disegni e bozzetti, lasciandone la realizzazione materiale ai suoi allievi (1672-1678). La differenza con quello di Urbano VIII è molto evidente: il papa non è seduto in trono con un espressione imperiosa, ma è inginocchiato e raccolto in preghiera; la figura della Morte non scrive il nome sul bronzo in eterno, ma fa la sua apparizione, quasi furtiva, sotto il drappo, esibendo una clessidra; alle Allegorie della Carità e Giustizia si uniscono quelle della Prudenza e della Verità.[45]

Ultimi anni

Gli ultimi anni per Bernini, sotto Clemente IX (1667-1669), Clemente X (1670-1676) e Innocenzo XI (1676-1689), trascorrono all'insegna di una profonda crisi spirituale. La senilità, le ostilità e gli insuccessi (in particolare quello della mancata realizzazione dei progetti del Louvre) favoriscono il nascere di una visione drammatica della vita che approda a una religiosità pietistica.

L'ultima impresa importante fu l'ideazione, su commissione di papa Clemente IX, del gruppo di Angeli con strumenti simbolici della Passione che, sul ponte Sant'Angelo a Roma, compongono una monumentale via crucis e un percorso penitenziale verso San Pietro. Bernini scolpì le figure dell'Angelo con corona di spine e dell'Angelo con cartiglio (1668 - 1669 ca.):[46][47] il pontefice ritenne queste sculture troppo belle per essere esposte alla intemperie e le fece collocare nella Basilica di Sant'Andrea delle Fratte.[48]

Tra le ultime opere del Bernini vanno ricordati:

Bernini morì il 28 novembre 1680, durante il pontificato di Innocenzo XI, l'ottavo papa da lui servito, il quale non gli commissionò nessuna opera, ma nel 1689 ebbe in eredità da Cristina di Svezia (1626-1689), l'ultimo suo lavoro, il busto di Gesù Cristo Salvatore (1678 - 1679 ca.; Norfolk (USA), Chrysler Museum of Art).

L'artista fu sepolto nella Basilica di Santa Maria Maggiore quasi in segreto (alle due hore de notte) con un semplice rito funebre (i documenti parlano di quattro torce).

Cronologia delle opere

Sculture e dipinti

Opere architettoniche

Note
  1. Scheda dell'opera nel Catalogo della Fondazione "Federico Zeri"
  2. Ibidem
  3. Bernini visse nella casa paterna e fu attivo nella bottega di Pietro sino a pochi anni dopo la morte di questi avvenuta nel 1629.
  4. Schede delle opere nel sito ufficiale del Metropolitan
  5. Scheda dell'opera nel Catalogo della Fondazione "Federico Zeri"
  6. Ibidem
  7. Schede delle opere nel sito ufficiale del Louvre
  8. Scheda dell'opera nel Catalogo della Fondazione "Federico Zeri"
  9. Ibidem
  10. Ibidem
  11. Ibidem
  12. Ibidem
  13. Ibidem
  14. Ibidem
  15. Ibidem
  16. Ibidem
  17. Ibidem
  18. Ibidem
  19. Ibidem
  20. Ibidem
  21. Ibidem
  22. Ibidem
  23. Ibidem
  24. Ibidem
  25. La tomba di Paolo III era originariamente addossata a uno dei piloni della cupola ed era stata spostata nell'abside e per questo leggermente modificata.
  26. Scheda dell'opera nel Catalogo della Fondazione "Federico Zeri
  27. Ibidem
  28. Ibidem
  29. Ibidem
  30. Ibidem
  31. Ibidem
  32. Ibidem
  33. Ibidem
  34. Ibidem
  35. Ibidem
  36. Ibidem
  37. Ibidem
  38. Ibidem
  39. Ibidem
  40. Ibidem
  41. Ibidem
  42. L'obelisco egizio era stato rinvenuto nel 1665 tra le rovine del Tempio di Iside nel Campo Marzio.
  43. Di questo viaggio in Francia resta uno straordinario documento, il diario del suo accompagnatore Paul Fréart de Chantelou che registra fedelmente le opinioni e gli atteggiamenti dell'artista.
  44. Scheda dell'opera nel Catalogo della Fondazione "Federico Zeri"
  45. Ibidem
  46. Ibidem
  47. Ibidem
  48. Bernini rifece, con l'aiuto di Giulio Catari, l'Angelo con cartiglio e fece realizzare una copia dell'Angelo con corona di spine da Pietro Naldini.
  49. Scheda dell'opera nel Catalogo della Fondazione "Federico Zeri"
  50. Ibidem
Fonti
  • Filippo Baldinucci, Vita di Gian Lorenzo Bernini, 1682, a cura di S. Samek Ludovici, Milano 1948
  • Domenico Bernini, Vita del Cavalier Gio. Lorenzo Bernino, Roma 1713
  • Paul Fréart de Chantelou, Journal du Voyage du Cavalier Bernin en France, 1665, a cura di L. Lalanne, Parigi 1981
Bibliografia
  • Maurizio Fagiolo dell'Arco,- Marcello Fagiolo dell'Arco, Bernini, una introduzione al gran teatro del barocco., Editore: Bulzoni, Roma 1967
  • Maurizio Fagiolo dell'Arco,- Angela Cipriani, Bernini, col. "I grandi maestri dell'arte", Editore: Scala Group, Firenze 1998 ISBN 9788881170234
  • Maurizio Fagiolo dell'Arco, Bernini, in Enciclopedia Europea, vol. 2, Editore: Garzanti, Milano 1978, pp. 282-285
  • Maurizio Fagiolo dell'Arco,- Angela Cipriani, Bernini, col. "I grandi maestri dell'arte", Editore: Scala Group, 1998 ISBN 9788881170234
  • Maurizio Fagiolo dell'Arco, L'immagine al potere. Vita di Giovan Lorenzo Bernini, Editore: Laterza, Bari 2001, ISBN 9788842062967
  • Oreste Ferrari, Bernini, col. "Art Dossier", Editore: Giunti, Firenze 1991 ISBN 9788809761537
  • Rudolf Wittkower, Bernini. Lo scultore del barocco romano, Editore: Electa, Milano 1990 ISBN 9788843534401
Voci correlate
Collegamenti esterni
  • Howard Hibbard, Dizionario Biografico degli Italiani, Vol. 9 (1967), online