Eremita

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Paolo Uccello, Storie di vita eremitica (Tebaide), tempera su tela (1460 ca.); Firenze, Galleria dell'Accademia.
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Due amori fondarono due città: l'amore di sé fino al disprezzo di Dio fondò la città terrena; l'amore di Dio fino al disprezzo di sé fondò la città celeste. Perciò quella si gloria di sé stessa, mentre questa si gloria nel Signore.
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(Sant'Agostino, La Città di Dio, 14,28)

L'eremita (dal greco ἐρημίτης erēmitēs, "del deserto", da ἕρημος érēmos, deserto) prima di esser tale è anzitutto un asceta, chierico o laico, cioè un battezzato che si allena nell'amore per Cristo e nei consigli evangelici, sentendosi avvolto dalla continua presenza di Dio nella gratuità e nella verità di sé stesso. Se poi un asceta riceve l'attitudine all'esercizio delle virtù eremitiche,[1] Dio può invitarlo in molti modi a vivere appartato in un luogo chiamato éremo cioè deserto, per dedicarsi alla preghiera mistica e intercessoria, al combattimento spirituale e alla penitenza, affinché molti ricevano la forza di aprire il cuore al Vangelo.
”La vita eremitica si esprime nella scelta di vivere la ricerca intensa ed esclusiva dello sguardo di Dio. Essa è mossa dal desiderio di unione intima con Lui, a Lui solamente si consegna nella più rigorosa separazione dal mondo [...]La Chiesa desidera rendere grazie per questa «perla preziosa» (Mt 13,44) posta nel contempo al centro e ai margini della vita delle comunità cristiane e vista con rispetto da parte dei Pastori delle Chiese particolari, consapevoli di doverla custodire nella sua autenticità e accompagnare nel suo sviluppo.” (Orientamenti2021 §1bc).[2]

Sovente nella letteratura profana e nel linguaggio popolare il termine "eremita" è usato impropriamente per indicare chiunque viva in modo solitario, compreso il misantropo. Il fine di una vocazione eremitica invece, non può essere la solitudine: essa è solo un mezzo, a volte temporaneo, suggerito da Dio per conseguire scopi spirituali -specificati dal Magistero- utili a tutta la Chiesa. Un eremita non lascia il mondo per abbandonarlo, ma solo per trovare ciò che il mondo gli impediva di trovare.[3] ”L'eremita che si allontana dal mondo non fugge per paura o per disprezzo.” (Orientamenti2021 §24b). ”Nella solitudine radicale, scriveva Pier Damiani (1007-1072)[...]l'eremita è come un microcosmo, un mondo e una Chiesa in miniatura; dunque non può dimenticare la Chiesa e il mondo, che rappresenta nella loro globalità.” (Orientamenti2021 §15a). ”Nella sua marginalità e sobrietà la vita eremitica è segno luminoso per tutta la Chiesa e l'umanità del nostro tempo, nel ricordare la bellezza del rimanere in Dio solo.” (Orientamenti2021 §38).

Nella vera vocazione eremitica cattolica non vi è alcuna fuga dalla comunione e dalle istituzioni della Chiesa, ma anzi il carisma eremitico le serve umilmente, mostrando che è l'essere in ascolto della Divina Volontà, che deve nutrire il fare (Lc 10,38-42  e San Tommaso d'Aquino: "L'agire segue dall'essere e il modo d'agire segue il modo di essere" in In Aristotelis librum De Coelo et mundo commentarium, III,7,1097a,29, come già in San Gregorio di Nissa, PG 46,283-286 e in Sant'Ignazio di Antiochia:"È meglio tacere ed essere che parlare e non essere" Lettera agli Efesini 15,1). L'eremita quindi dà la sua vita per cose che il mondo -e purtroppo un certo efficientismo cristiano- giudicano "inutili" (da un'espressione di Vittorio Messori e in Deus caritas est 37. Cfr anche l'Esortazione Apostolica di Papa Francesco Evangelii Gaudium, anno 2013, nn° 94-95, 279-280). Qualcuno può commentare: "Oggi è più utile una vita missionaria tra le povertà del mondo, che una vita penitente solitaria". La risposta è facile: "Perché si vuol giudicare tra Mosè ed Elia, fra gli Apostoli e l'eremita Giovanni Battista? Tutti loro piacquero egualmente a Dio".

”In quanto realtà carismatica, la vocazione alla vita eremitica è frutto della cooperazione della libertà umana con la grazia divina ed è riconosciuta dalla Chiesa affinché possa esprimersi nella sua autenticità. Il riconoscimento ecclesiale (agnoscit) implica l'accoglienza nella Chiesa particolare, attraverso la conferma, la direzione e l'accompagnamento da parte del Vescovo diocesano [...]Il vincolo con il Pastore della Chiesa locale assume una peculiare valenza canonica nel caso della professione pubblica dei consigli evangelici...” (Orientamenti2021 §38).


Origini e forme di eremitismo

Matthias Grünewald, Polittico di Sant'Antonio di Issenheim (part. lato C, scomparto sinistro, Sant'Antonio abate visita san Paolo di Tebe, eremiti), olio su tavola (1512 - 1516) Musée d'Unterlinden di Colmar.

La vita eremitica cristiana è testimoniata per la prima volta in Egitto, nel III secolo e san Paolo di Tebe (morto attorno al 250) è il più antico eremita cristiano finora conosciuto. Sant'Antonio abate356, uno dei suoi imitatori, eremita anche lui, attirò un grande numero di discepoli nel deserto dell'Alto Egitto: di qui gli eremiti si diffusero verso Oriente, in particolare in Palestina con sant'Ilarione di Gaza e in Cappadocia con san Gregorio Nazianzeno e san Basilio (IV secolo). Per la loro santità molti di questi eremiti meritarono il nome di Padri del deserto.

La vita eremitica si diffuse in Europa con san Girolamo, croato (in quel tempo illirico) (†420), padre e dottore della Chiesa che tradusse la Bibbia in latino. Dal IV secolo troviamo eremiti nella Gallia, nella Bretagna e nell'Irlanda: citiamo il più celebre, San Giovanni Cassiano (Marsiglia †415). Secoli dopo è da menzionare Sant'Atanasio l'Atonita, fondatore dell'eremitismo sul famoso Monte Athos in Grecia dove morì nell'anno 1000.

Fu un eremita egiziano, san Pacomio morto attorno al 318, a iniziare la vita cenobitica nella quale, a differenza della vita eremitica, i monaci vivevano in comunità.

L'anacoreta cattolico non è un sinonimo di eremita, è un asceta innamorato di Cristo che persegue gli stessi scopi spirituali dell'eremita cattolico, ma pratica un più rigoroso allontanamento dal mondo, non si dà una regola scritta personale e spesso non si riferisce ad alcun Istituto religioso.

Alcune forme estreme di penitenza eremitica nei primi secoli portarono con sé il rischio dell'isolamento spirituale, perciò a partire dal XII secolo furono costituiti Ordini religiosi di eremiti per ridurre tale pericolo. Il più noto di essi in Occidente è quello degli Eremitani di Sant'Agostino, fondati da Papa Alessandro IV nel 1256. Due figure affascinanti di eremiti meritano di essere ricordate: san Galgano Guidotti di Chiusdino (Siena), noto per la sua spada nella roccia di Monte Siepi, ex-cavaliere morto nel 1181 e santa Caterina da Siena, ascoltata da Papi e da Principi, eremita in casa propria nella Siena del Trecento, città che contava decine di eremiti urbani e tre Certose.

”Nei secoli seguenti, specie nel XVIII secolo, nonostante il discredito generalizzato che la vita religiosa subisce a motivo del declino dei grandi Ordini monastici e dell'esaltazione della ragione tipica dell'illuminismo, l'eremitismo continua a sussistere...” (Orientamenti2021 §6). ”La chiamata universale alla santità -affermata dal Concilio Vaticano II- [...]ha favorito [...]anche una significativa ripresa della vita eremitica [...]I Padri conciliari [...]hanno fatto memoria della vita solitaria tra le prime forme di sequela di Cristo.” (Orientamenti2021 §8).

L'eremita nel Diritto canonico e nel Magistero

Dopo il Concilio Vaticano II centinaia di cattolici laici, reagendo a una crescente rilassatezza dei costumi sociali, han dato vita a una graduale ripresa dell’ideale eremitico al di fuori degli Istituti religiosi, grazie anche all’influsso di Charles de Foucauld (1858- 1916) e di Thomas Merton (1915-1968). Coraggiosa fu anche l’esperienza di Catherine de Hueck-Doherty (1896-1985,) di origine russa, che propose l’idea di deserto (in russo pustinia) costituita da momenti di solitudine, preghiera e digiuno all’interno del ritmo settimanale di una normale vita “nel mondo”. Per accogliere tali preziose vocazioni, la Chiesa dall'anno 1983 ha riconosciuto giuridicamente la figura dell'eremita e dell'anacoreta, nel Codice di Diritto Canonico (CIC) con il seguente Canone 603 in due paragrafi:
§1. Oltre agli Istituti di Vita consacrata, la Chiesa riconosce la vita eremitica o anacoretica, con la quale i fedeli, in una più rigorosa separazione dal mondo, nel silenzio della solitudine, nella continua preghiera e penitenza, dedicano la propria vita alla lode di Dio e alla salvezza del mondo.
§2. L'eremita è riconosciuto dal diritto come dedicato a Dio nella vita consacrata, se con voto o con altro vincolo sacro, professa pubblicamente i tre consigli evangelici nelle mani del Vescovo diocesano e sotto la sua guida osserva la norma di vita che gli è propria.

Tale canone "...offre uno statuto giuridico ai fedeli che desiderano abbracciare questa particolare vocazione senza appartenere ad un Istituto di vita consacrata [...]Essa si configura nella separazione dal mondo, si propone di riservare al silenzio, alla solitudine e alla preghiera uno spazio che, in quanto tale, si dischiude alla «lode di Dio e alla salvezza del mondo»". (Orientamenti 2021 §9).
Il documento Orientamenti2021 al §27 distingue, nell'attuale contesto ecclesiale,
quattro tipologie di eremiti/eremite riconosciuti:

a) il membro (detto sodale) professo in Istituti di Vita eremitica o semi-eremitica specifici;

b) il sodale di Istituti di Vita consacrata, monastici o apostolici, che prevedono anche la possibilità di condurre vita eremitica;

c) il fedele che conduce vita eremitica senza professare pubblicamente i consigli evangelici.
Tale distinzione non è nuova, ma ha lo spessore dei secoli. Questo tipo di eremita si può definire “de facto ex-Can. 603 §1 CIC e tuttavia va considerato "eremita diocesano" a pieno titolo, se segue una Norma o Progetto di vita che lo identifica come fedele "dedicato alla lode di Dio e alla salvezza del mondo nel silenzio della solitudine e nella continua preghiera e penitenza"; può essere riconosciuto e accolto come tale dal Vescovo diocesano, pur senza la professione pubblica dei consigli evangelici. Gli Orientamenti2021 rendono la "diocesanità" dell'eremita una conseguenza automatica di detto semplice accoglimento, non legano la sua "diocesanità" solo a una conseguenza giuridica della professione pubblica dei consigli evangelici nelle mani del Vescovo. Questo tipo di eremita non è però riconosciuto essere "nella vita consacrata" con i doveri inerenti, perché non ha professato i consigli evangelici nelle mani del Vescovo; quindi a ogni cambiamento dell'Ordinario della diocesi deve richiedere l'accoglimento come la prima volta (Orientamenti2021 §43). Nulla vieta poi che nel suo Progetto di vita l'eremita non professo, se vuole, preveda anche un modo di vivere privatamente i consigli evangelici.[4] Questa Tipologia è la più numerosa e conta centinaia di laici, eremiti cattolici di fatto, ancora in incognito. Si trovano nella situazione dei Padri del Deserto, i quali non emettevano voti né promesse riguardo ai consigli evangelici, tantomeno nelle mani di un Vescovo, però praticavano quei consigli con grande zelo.

d) il fedele che professa i consigli evangelici di castità, povertà e obbedienza, mediante voto o altri vincoli sacri (promessa, giuramento) nelle mani del Vescovo diocesano, con il rito liturgico appropriato; il fatto stesso che i sacri vincoli vengano accettati dal Vescovo a nome della Chiesa, li qualifica come pubblici. Questo fedele si può definire eremita ”de jure ex-Can. 603 §2 CIC, a motivo degli effetti giuridico-canonici prodotti dalla professione pubblica dei vincoli sacri, che lo costituiscono stabilmente "nella vita consacrata" come religioso e monaco di vita eremitica individuale nella Chiesa locale, con gli obblighi conseguenti.

La distinzione tra eremiti professi e non professi compariva già nel Catechismo della Chiesa Cattolica (abbreviato CCC) al n° 920 ed era stata preconizzata da insigni canonisti (ad es. Jean-Baptiste Beyer S.J.) perché lo Spirito Santo sceglie in piena libertà. Il CCC così recita:

nº 920: Senza professare sempre pubblicamente i tre consigli evangelici, gli eremiti, "in una più rigorosa separazione dal mondo, nel silenzio della solitudine e nell'assidua preghiera e nella penitenza, dedicano la propria vita alla lode di Dio e alla salvezza del mondo".
nº 921: Essi indicano a ogni uomo quell'aspetto interiore del mistero della Chiesa che è l'intimità personale con Cristo. Nascosta agli occhi degli uomini, la vita dell'eremita è predicazione silenziosa di colui al quale ha consegnato la sua vita, poiché egli è tutto per lui. È una chiamata particolare a trovare nel deserto, proprio nel combattimento spirituale, la gloria del Crocifisso.

Anche l'Esortazione apostolica Vita consecrata, 25 marzo 1996, di Papa Giovanni Paolo II, si occupava degli eremiti:

nº 7: [...] Una tale vita "nel deserto" è un invito per i propri simili e per la stessa comunità ecclesiale a non perdere mai di vista la suprema vocazione, che è di stare sempre con il Signore.
nº 42: [...] Gli eremiti, nella profondità della loro solitudine, non solo non si sottraggono alla comunione ecclesiale, ma la servono con il loro specifico carisma contemplativo.

Le pratiche ascetiche dell'eremita

La vita sia ascetica che mistica è proposta dalla Chiesa a tutti i battezzati (CCC 915) "...perché tutti sono chiamati alla santità che consiste nella perfezione della carità." (Orientamenti2021 §33a). L'eremita però pratica tale vita in modo incessante e approfondito; per questo motivo il Magistero ordinario sopra citato ha specificato quattro inclinazioni ascetiche e una mistica che definiscono lo stile di vita dell'eremita cattolico riconosciuto, professo e non professo:

  1. profondità di silenzio nella solitudine: carisma profetico con efficacia pari alla predicazione (CCC 921) che Vita consecrata definisce "invito per la comunità ecclesiale alla suprema vocazione": si tratta "...della paradossale eloquenza testimoniale del silenzio, quando abitato dall'Amore." (Orientamenti2021 §14). Il silenzio sacro è un altro nome di Dio, è il grembo della sua Parola. Il silenzio nella solitudine non è un principio ma un effetto dello sguardo di Cristo, non è mutismo, ma è ascolto, liberazione, profondità: è la prima premessa di ogni esperienza religiosa (CCC 2717). Senza silenzio non esiste una vera vita interiore, perché solo nel silenzio maturano la conversione, l'amore e il sacrificio. Silenzio e solitudine hanno nulla a che vedere con vuoto e privazione, perché sono dimensioni interiori abitate: in esse l'eremita sente molte più cose di quelle che tante persone si dicono parlando: ”...il silenzio proprio dell'eremita non coincide con l'assenza di voci o rumori derivante dall'isolamento fisico...” (Orientamenti2021 §14). L'esperienza prolungata del silenzio insegna la responsabilità delle parole: chi è davvero pieno di Dio tace, ammutolito nella Grazia come dopo una confessione sacramentale; così celebra la solenne liturgia del silenzio con il ritmo della Messa: si pente, ascolta, crede, si offre, adora, ringrazia nella gioia. "È bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore" (Lam 3,26 );
  2. la preghiera incessante, sulla quale ci sono esortazioni nella Parola di Dio: Lc 18,1 ; 1Ts 5,17-18 ; Ef 6,18 ; e nel CCC ai n.ri 2613, 2635-2636, 2641, 2687, 2689, 2709-2719, 2726, 2742-2743; è ciò che dà gusto al "silenzio nella solitudine". "Nutrimento della preghiera è la Parola di Dio, prima sorgente di ogni spiritualità cristiana. Essa alimenta un rapporto personale con il Dio vivente e con la sua volontà salvifica e santificante. Ogni eremita curerà di riservare un tempo adeguato alla lectio divina..." (Orientamenti2021 §20). ”La preghiera dell'eremita è un cammino assiduo tra l'adorazione e la lode [...]Adorazione e lode si elevano nella supplica d'intercessione...” (Orientamenti2021 §18a,c). ”...l'eremita trova nella preghiera d'intercessione un potente antidoto contro i pericoli dell'autoreferenzialità [...]con la sua preghiera partecipa alle difficoltà e ai drammi di ogni essere umano, patisce in sé il dramma dell'allontanamento dell'uomo da Dio e del conflitto tra i fratelli, e nella fede alimenta la speranza della riconciliazione [...]L'eremita, intercedendo, porta in questo mondo l'immagine del mondo a venire, in cui Dio asciugherà ogni lacrima (Ap 21,4 ) e la comunione dei santi sarà compiuta.” (Orientamenti2021 §19). Questa partecipazione "alle difficoltà e ai drammi di ogni essere umano", specialmente del prossimo in carne e ossa, è l'unica vera dimostrazione dell'esser diventati preghiera;
  3. il tenace combattimento spirituale nel perfezionamento delle virtù cristiane (nel CCC ai n.ri 825, 1426, 1831-1832, 2516, 2725, 2847-2848) non come fine in sé ma come mezzo di unione a Dio. ”Il cammino spirituale non conosce alcun avanzamento se non si apre all'azione dello Spirito di Dio mediante la fatica dell'ascesi e, in particolare, del combattimento spirituale. La vita interiore infatti, esige l'ascesi del tempo e del corpo, che aiuta a dominare e correggere le tendenze della natura umana ferita dal peccato, ed è indispensabile per restare fedele alla vocazione e seguire Gesù sulla via della Croce....” (Orientamenti2021 §21ab). Anche la natura dell'eremita è ferita dal peccato; per lui il combattimento più difficile è contro il demonio dell'indifferenza, che gli impedisce la purificazione del cuore e quindi gesti di carità fraterna verso tutti coloro che ha occasione di conoscere. Tale combattimento insegna all'eremita a conoscere bene sé stesso, anche se mai del tutto; poiché afferma il primato dell’amore di Dio su tutti gli altri valori, il suo combattimento può essere impegnato solo nella stoffa dell'amore fraterno: ogni altra stoffa si strappa;
  4. una vita di penitenza e di mortificazione in unione alla Passione di Cristo, in modi esposti nel Progetto di vita; vedasi CCC ai n.ri 1430-1437 e 2015. ”In questa logica s'inseriscono anche le pratiche ascetiche come esercizio di distacco interiore ed esteriore e di dominio di sé, contrastando radicalmente le logiche della mondanità ed evitando qualunque estremizzazione di stili di vita.” (Orientamenti2021 §21b): non quindi come compiaciuto stoicismo ma come immersione nei progetti di Dio. Infatti oltre alle "notti dei sensi e dello spirito" che giungono non cercate, non serve addizionare macerazioni e dolorismo, ma serve la serena povertà di spirito -oggetto anche di vincolo sacro- e cioè: operare nel nascondimento senza ricevere onore, non cercare il proprio interesse ma quello degli altri, portare con serena gratitudine la propria croce, sentire di essere in debito con tutti, concepire se stesso in termini di gratuità e non di tornaconto, cercare solo la volontà di Dio e non la propria, la sua amicizia e non quella di persone influenti (Ger 17,5-7 ) accettando serenamente per questi scopi le purificazioni che Dio permette. Dunque mentre molte persone desiderano cose che la religione proibisce, l'eremita rinuncia a cose che la religione permette. Per questo gli eremiti sono detti "liminari": ai margini della società ma nel cuore della Chiesa;
  5. l'intimità personale con Cristo, "al quale ha consegnato la vita poiché Egli è tutto per lui" (CCC 921): è la dimensione esperienziale in Dio, mistica e sacramentale; v. anche CCC ai n.ri 2014,2711,2715. ”La relazione con Dio coinvolge l'orante in tutte le sue dimensioni -corporeità, intelligenza, affettività- e illumina il senso di tutta la sua esistenza.” (Orientamenti2021 §17). ”L'eremita, in virtù della sua vocazione è chiamato più di ogni altro a sviluppare una spiritualità eucaristica profonda, rendendo grazie del dono ricevuto, avendo coscienza di farlo in nome dell'intera creazione, aspirando così alla santificazione del mondo e lavorando intensamente a tal fine [...]Nell'Eucarestia dunque, lo sguardo del cuore riconosce Gesù e lo accoglie come sposo e amico, attraverso la contemplazione orante della sua presenza salvifica, in una continua conversione al Suo amore, sotto la luce dello Spirito Santo...” (Orientamenti2021 §23bc). Quindi la contemplazione orante è un ripartire ogni giorno più che un restare, è un vivere nella totale disponibilità all’ascolto del Verbo. Prima Dio sussurrava: "Parla poco con gli altri e molto con me". Nell'intimità personale comanda: "Non mi parlare più; fonditi con me". È una folgorazione della coscienza, un'anticamera del Cielo. "Chi possiede veramente la Parola di Gesù può avvertire anche il suo silenzio... ed essere conosciuto per le cose che tace" (Sant'Ignazio di Antiochia, Lettera agli Efesini 15,2).

Quindi, l'abitudine di correggere le tendenze conseguenti al peccato di origine, di combattere in radice la mondanità con il silenzio, di trovar gioia sia nella preghiera incessante sia nella Lectio divina della Parola di Dio sia nell'intimità personale col Cristo eucaristico, testimoniando in questi modi la suprema vocazione umana: tutto ciò è strumento riconosciuto di santità nella Chiesa, una partecipazione al suo fine apostolico e una icona della fede in obbedienza al Magistero. Mancando una di queste predilezioni dunque, viene a mancare non una vaga attitudine spirituale alla vita eremitica, bensì mancherebbe la sua completa ecclesialità, la quale non è una dimensione fra tante, ma è il nocciolo identitario.

Infine: "Il rapporto filiale con Maria costituisce la via privilegiata per la fedeltà alla vocazione ricevuta e un aiuto efficacissimo per progredire in essa e viverla in pienezza [...]A Lei chiediamo di accompagnare i fratelli eremiti e le sorelle eremite sulla via della santità [...]Volgano lo sguardo sempre a Maria, la Stabat Mater, che nell'ora della Redenzione è divenuta Madre di tutti, per la Parola del Verbo Eterno; La ascoltino quando c'indica in quel "fate quello che vi dirà" (Gv 2,5), la misura dell'amore con cui rispondere all'Unico che ci amò sino alla fine (Gv 13,1); La invochino di cuore quali figli devoti che custodiscono "la sua voce che si accorda con quella del Padre nella teofania del monte Tabor: Ascoltatelo! (Mt 17,5)". (Orientamenti2021 §47a,d,e).

Tutto il resto non va ritenuto fondamentale ma accessorio.[1]

Per la cattolicità di questa vocazione va sottintesa la comunione col Vescovo (e col suo delegato) che ha il diritto-dovere sia di prevenire e correggere abusi, sia di aiutare l'eremita, anche laico non professo, nella sua specialissima vocazione (Cann. 385 e 387 CIC; Vita consecrata 49).
Questo carattere di ascesi, che è un esercizio eroico delle virtù, in passato è stato vissuto in modi molto personalizzati e a volte saltuari dagli asceti del mondo cristiano. È mai esistita storicamente un'unica regola penitenziale per tutti, ma ogni eremita deve trovare la propria, nella convinzione che è Dio a chiedergli certe pratiche individualizzate di nascondimento e non altre, in modo da non presumere pericolosamente delle proprie forze psichiche. Un buon orientamento è dato dall'antico trattatello Imitazione di Cristo. ”La vocazione dell'eremita è stare con Dio solo, l'Unum necessarium, attraverso cammini di liberazione, di conversione evangelica, in cui si sperimenta la fatica del combattimento spirituale, per conseguire la purificazione del cuore [...]nella solitudine fiorisce il deserto della più stretta separazione e nella preghiera e nella penitenza il silenzio si fa eco della voce di ogni uomo, in una vita separata per essere tutta dedicata.” (Orientamenti2021 §11bc).


Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Eremita diocesano


Istituti Religiosi di vita semi-eremitica

Papa Celestino V, eremita, fu il maggiore edificatore di eremi in Italia, soprattutto tra le montagne della Majella; tali eremi erano dipendenti dall'ordine celestiniano, di cui egli fu il fondatore.

Diversi Ordini religiosi presero origine da esperienze eremitiche: i Carmelitani, i Servi di Maria, gli Olivetani, l'Ordine dei Minimi di san Francesco di Paola, i Cappuccini, che col passar del tempo si trasformarono in cenobitiche. San Francesco d'Assisi trascorse lunghi periodi in solitudine e scrisse De religiosa habitatione in heremo, una regola per alcuni suoi confratelli che si sentivano chiamati alla vita eremitica. I Certosini e i Camaldolesi ancor oggi uniscono la vita cenobitica, cioè in comunità, a quella eremitica in solitudine personale; i loro monasteri infatti sono un insieme di piccoli eremi individuali. Così è pure dei religiosi ortodossi nella penisola del Monte Athos, patria dell'esicasmo, in Grecia.

Alcuni Ordini religiosi cenobitici di vita contemplativa, ad esempio i Trappisti (che sono dei cistercensi riformati) prevedono nelle loro Costituzioni religiose le vocazioni alla vita eremitica. Quando un loro monaco o monaca ha raggiunto un certo grado riconosciuto di maturità all'interno della comunità cenobitica, può proseguire la vita monastica con uno stile eremitico, dopo il consenso del responsabile della sua comunità. Allora quel monaco si ritira in un alloggiamento separato già appositamente predisposto e non varia la sua posizione canonica. Charles de Foucauld (†1916) e Thomas Merton (†1968) furono celebri trappisti che sperimentarono la vita eremitica in diversi luoghi.

Eremitismo pre-cristiano

La scelta di solitudine e penitenza che caratterizza la vita eremitica non è esclusiva del cristianesimo, ma nasce in India e poi fra gli israeliti (i profeti Elia e Giovanni Battista). L'India ha conosciuto fin dall'antichità forme di vita solitaria e penitente, paragonabili a certi aspetti della vita eremitica nota al mondo semitico, forme legate all'Induismo, al Taoismo e al Buddismo (VI secolo a.C. e seguenti).

"La preghiera richiede all'eremita un'assiduità non statica ma dinamica e multiforme: non perché si debbano accumulare preghiere e atti di devozione, ma perché la relazione con Dio coinvolge l'orante in tutte le sue dimensioni -corporeità, intelligenza, affettività- e illumina il senso di tutta la sua esistenza. Ricordando che la preghiera consiste innanzitutto nel rendersi disponibili a percepire i desideri dello Spirito (Rm 8,26-27 )..." (Orientamenti2021 §17). La discrezione, ossia il discernimento tra le possibili scelte ascetiche ed eucologiche, secondo i santi e i dottori della Chiesa è la chiave del profitto spirituale. Quindi, fra la ricca molteplicità delle preghiere cattoliche, più che imporne una all'eremita laico come “formattazione” univoca di stampo cenobitico, occorrerebbe curare l'osservanza della Orationis formas, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica (15 ottobre 1989) del card. Joseph Ratzinger (vedasi il Collegamento Esterno in calce).

Infatti gli Orientamenti2021 al §26 propongono: ”L'eremitismo, come espressione di una ricerca d'interiorizzazione e di unificazione, può essere un punto di confronto [...]per il mondo che l'eremita condivide con i nostri fratelli nella fede e nell'umanità. Per questo molti eremiti nel dopo-Concilio [Vatic.II][...]sono stati protagonisti di apertura e di dialogo con forme monastiche di altre Chiese e di altre religioni [...]Queste esperienze sono feconde e di stimolo per la Chiesa tutta purché procedano di pari passo con la serietà nelle relazioni, lo studio attento e l'assiduità nella preghiera”.[5]

Note
  1. 1,0 1,1 .Un approfondimento del Magistero su ciò che è fondamentale: l'eremita, come il monaco cattolico orientale, "Nell'intento di trasfigurare il mondo e la vita... privilegia la conversione, la rinuncia a sé stessi e la compunzione del cuore, la ricerca dell'esichìa, cioè della pace interiore e la preghiera incessante, il digiuno e le veglie, il combattimento spirituale e il silenzio, la gioia pasquale per la presenza del Signore e per l'attesa della sua venuta definitiva..." (Vita consecrata 6). "...testimoniano tali meraviglie con il linguaggio eloquente di un'esistenza trasfigurata, capace di sorprendere il mondo" (Vita consecrata 20). I Padri del deserto avvertivano che, come in ogni settore della vita, così anche in questo si possono rivelare qua e là incoerenze, discordanze e contro-testimonianze, ancorché involontarie e inconsapevoli. Intendevano per tali le imitazioni di atteggiamenti devozionistici senza amare e praticare le vere virtù eremitiche. Esse sono:
    l'umiltà di cercare sempre l'ultimo posto (tapeínōsis) senza calcolo o tornaconto (Lc 14,11 ); il distacco o estraneità (xéniteía) da tutte le illusioni (Sir 4,27-28 ; Evangelii Nuntiandi 48=C.C.C. nº1676 nota 13) e dalle agitazioni care al secolo (tachyoyrgía); "Questo stare al margine è certamente anche segno di rinuncia e privazione: di parole e di relazioni. È il senso di quella che gli antichi Padri chiamavano xéniteía." (Orientamenti2021 §24); lo svuotamento da tutto ciò che non viene da Dio (kénōsis); la mortificazione della carne, degli occhi e dell'orgoglio (aghia nékrosis) che uccide l'uomo vecchio per vivere nella conversione continua; l'intima letizia in ogni situazione con cuore adulto, cioè con sapienza evangelica, con discernimento degli spiriti e con buona salute mentale; la pratica delle opere di misericordia spirituale con tale zelo per la santificazione dei fedeli da uscire dall'eremo a questo scopo; la comunione con i sacri pastori. Vanno aggiunte le virtù tipiche della povertà di spirito: umiltà, mitezza, mansuetudine, operare nel nascondimento senza ricevere onore, non cercare il proprio interesse ma quello degli altri, portare con serena gratitudine la propria croce, sentire di essere in debito con tutti, concepire se stesso in termini di gratuità e non di tornaconto, cercare solo la volontà di Dio e non la propria, la sua amicizia e non quella di persone influenti, accogliendo serenamente per questi scopi le purificazioni che Dio permette.
    I Padri non erano teneri verso i solitari che invece indulgevano a: incontentabilità e raffinatezze, a vanagloria notorietà e ostentazione di sé, a dar importanza a ciò che si dice di loro, a un'indole petulante, a faziosità e pregiudizi, a ideologizzare la fede, a difficoltà nel perdono, a preferire la lettera allo spirito. Insegnavano che l'esercizio gioioso delle virtù teologali cardinali ed eremitiche si rafforza soltanto con suppliche quotidiane e specifiche alle persone della SS.ma Trinità. "Questa solitudine originaria diventa lotta contro la vanagloria, contro il bisogno di riconoscimento di sé, nella ricerca dell'altrui approvazione e considerazione. L'Imitazione di Cristo ammonisce: «L'uomo vede in superficie, Dio invece vede nel cuore; l'uomo guarda alle azioni esterne. Dio giudica invece le intenzioni. Agire bene, sempre e avere poca stima di sé medesimi, è segno di umiltà di spirito; non cercare conforto da alcuna creatura è segno di grande libertà e di fiducia interiore. Chi non cerca per sé alcuna testimonianza dal di fuori, evidentemente si abbandona del tutto a Dio...»" (Orientamenti2021 §22).
  2. Il 31 luglio 2021 Papa Francesco ha approvato pubblicamente La forma di vita eremitica nella Chiesa particolare. «Ponam in deserto viam (Is 43,19)» Orientamenti, elaborata dalla Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica e stampata per i tipi della Libreria Editrice Vaticana il 14 settembre 2021. Si tratta di un ragguardevole documento della Santa Sede che in questa Voce occorre citare sovente con l'abbreviazione di Orientamenti2021.
  3. "Mondo" è una studiata attrazione delle anime nell'inganno e nella malevolenza (1Gv 2,15-17 ). Si sceglie il deserto quando si decide di escludere dal cuore immagini o parole rivali di Dio-Amore; e il cuore diventa "circonciso", ferito ma privato del superfluo. Tutta la Scrittura mostra che "deserto" è il luogo teologico ove Dio ha scelto di condurre un'anima per donarsi a lei, quindi è il luogo dove può riprendere il dialogo interrotto nel giardino dell'Eden. Lì non si vedono più, grandi le cose piccole e piccole le cose grandi. Lì il deserto fiorisce, il silenzio diventa messaggio, la solitudine trasfigura in comunione.
    Se non è così, si rimane incapaci di scelte profetiche, cedendo alla protervia e all'ostentazione. Colui/colei che ha una vera indole eremitica non ha un'indole desiderosa di esibire il proprio valore intellettuale o spirituale. Non è più una persona in cerca di consensi, perché sa che una cosa è amare, altra cosa è pretendere di essere amati.
  4. La Norma o Progetto di vita dell'eremita di fatto, può anche non essere ancora scritta. In tal caso è raccomandabile che l'eremita, se è laico, acquisisca o abbia acquisito in passato una formazione teologica elementare e che persegua una formazione spirituale continua, affidandosi, oltre che al proprio direttore spirituale, anche a persone esperte di tale vocazione e stato di vita, che possano aiutarlo a precisare il suo Progetto e curarne le variazioni nel tempo. È segno di comunione con la Chiesa locale, che l'eremita non professo faccia conoscere il proprio cammino anche al sacerdote Delegato del Vescovo per la Vita Consacrata. Sembra utile che l'eremita di fatto, se è laico e non è stato membro di Istituto religioso, emetta i voti personali di castità, povertà e obbedienza. "Personali o privati" significa non accolti nelle mani del Vescovo a nome della Chiesa con il rito liturgico di consacrazione, ma accolti in modo confidenziale nelle mani di un sacerdote, secolare o regolare, che sia la sua guida spirituale o almeno conosca bene il suo cammino di fede. I voti personali sono spontanei, facoltativi e non necessari; essi non producono effetti canonici, ma, dopo attento discernimento con il direttore spirituale o con il confessore ordinario, impegnano in coscienza alla particolare condizione spirituale e morale di fedele dedicato a Dio nel "praticare", non nel "professare", i consigli evangelici. In tal caso si tratta di un eremita non consacrato con assunzione solo privata dei voti (1Cor 7,29-31 ). Questa condizione privata, anziché permanente può diventare transitoria e preparatoria per accedere alla condizione di "vita consacrata", cioè una forma di vita stabile approvata canonicamente dalla Chiesa, con la professione pubblica nelle mani del Vescovo dei voti o di altri vincoli sacri (Can.603 §2). Vedasi a questo proposito la Voce Eremita diocesano nota 4. L'atto di accoglimento in diocesi e di semplice riconoscimento di un eremita da parte del Vescovo, può avvenire anche attraverso la pronuncia dinanzi al Vescovo di un Propositum da parte dell'eremita, nel quale non vi sia accenno a una terminologia di consacrazione né ai tre consigli evangelici (Orientamenti2021, Appendice).
    Sia l'accoglimento/riconoscimento, sia la professione eremitica, a volte dipendono dal grado di interessamento e premura che un Vescovo accorda a un aspirante eremita che gli si rivolge filialmente. Molti aspiranti eremiti laici ripetono l'esperienza di San Benedetto Giuseppe Labre. Egli volle farsi monaco ma venne allontanato per vari motivi da certosini, trappisti e cistercensi. A Chieri (TO) capì che la sua vocazione era di pellegrinare pregando nei santuari europei. Attraversò a questo fine Francia, Svizzera, Spagna e Italia, dormendo per strada coperto di piaghe. Si stabilì a Roma sotto il 43° arco del Colosseo, passando le giornate in adorazione continua nelle chiese. Morì già in fama di santità a 35 anni; tutta Roma partecipò alle sue esequie.
  5. Riguardo al dialogo con forme monastiche di altre Chiese, non si può prescindere dall'eremitismo vissuto nell' Orientale Lumen dell'Ortodossia.
    Il dialogo con forme monastiche di altre religioni, è un chiaro riferimento all'ascetismo nell'induismo, nel buddismo e nel taoismo. Certamente un eremita cattolico oggi non può pensare a una separazione assoluta dalle fedi non cristiane, avendo essa prodotto sovente incomunicabilità e quindi conflitti. Nemmeno può correre il pericolo di naufragare in una mescolanza indifferente, a pena di invalidare proprio quell'alterità che mantiene in essere il dialogo interreligioso. Dunque l'eremita cattolico in questo sforzo dialogico con persone di altre religioni, che potrebbe anche presentarsi all'improvviso, cercherà non un relativismo del minor denominatore comune con pretese di universalità o il sincretismo opportunista di una realpolitik, bensì accetterà di approfondire la propria specificità spirituale, in modo da lasciarsi avvedutamente interrogare dalle convinzioni altrui (1Pt 3,15  e Evangelii Gaudium, 251). Un eremita cattolico sinceramente umile, anziché dissertare sulla Verità, farà bene a venerarla a prezzo della vita; né può porre a Cristo la domanda di Pilato sulla Verità (Gv 18,37-38 ), se non vuol liquidare il fallimento del proprio Battesimo.
Fonti
Bibliografia
Voci correlate
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Il contenuto di questa voce è stato firmato il giorno 3 marzo 2017 da Pierluigi Calabrese, laureato in lettere (Critica testuale), dottore di ricerca in esegesi, eremita dal 2000.

Il firmatario ne garantisce la correttezza, la scientificità, l'equilibrio delle sue parti.