Abbazia di San Michele Arcangelo a Passignano (Tavarnelle Val di Pesa)
Abbazia di San Michele Arcangelo a Passignano, complesso monastico | |
Stato | Italia |
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Regione | Toscana |
Regione ecclesiastica |
Regione ecclesiastica Toscana |
Provincia | Firenze |
Comune | Tavarnelle Val di Pesa |
Località | Badia a Passignano |
Diocesi | Fiesole |
Religione | Cattolica |
Telefono | +39 055 8071171 |
Sito web | Sito ufficiale |
Proprietà | Congregazione Vallombrosana |
Oggetto tipo | Abbazia |
Oggetto qualificazione | vallombrosana |
Dedicazione | San Michele arcangelo |
Sigla Ordine fondatore | O.S.B. |
Sigla Ordine qualificante | O.S.B. Vall. |
Sigla Ordine reggente | O.S.B. Vall. |
Fondatore | Sichelmo |
Data fondazione | 890 |
Stile architettonico | Romanico, gotico, rinascimentale |
Inizio della costruzione | IX secolo |
Altitudine | 341 s.l.m. |
Coordinate geografiche | |
Toscana | |
L'Abbazia di San Michele Arcangelo a Passignano, più comunemente nota come Badia a Passignano, è un monastero della Congregazione Vallombrosana situato nel territorio delle colline del Chianti, in località Passignano nel comune di Tavarnelle Val di Pesa (Firenze).
Storia
Origini
La dedicazione a san Michele suggerisce come epoca della fondazione quella longobarda, visto il particolare culto tributato all'arcangelo da parte del popolo germanico. Una tradizione vuole che il fondatore sarebbe un certo Sichelmo: nel Rituale Passinianense del 1316[1] alla data 18 ottobre risulta previsto un ufficio in suffragio di Sichelmo e di suo fratello Zenobio, vi si legge infatti:
« | De officio Sichelmi, qui hedificavit hoc monasterium. » |
Un'errata identificazione di Zenobio, fratello di Sichelmo con san Zanobi († 417/429) ha portato ad individuare come data di fondazione il 395, mentre altre ipotesi hanno suggerito come anno l'899 o il 989 sempre in base ad arbitrarie identificazioni di Zenobio con omonimi vescovi fiesolani.
Certo è che nell'archivio dell'abbazia - che un tempo conteneva oltre 6600 pergamene - si conservava un atto qui rogato nel marzo dell'884 e redatto alla presenza di un tale Wilerado scabino. Da un altro documento, datato 27 marzo 903, sappiamo che nell'allora oratorio di San Michele di Passignano viveva una comunità monastica benedettina presieduta da un abate e da un proposto.
Dopo il Mille
Nell'XI secolo la comunità fu tra le prime ad accogliere la riforma monastica vallombrosana promossa da san Giovanni Gualberto (995 - 1073), divenendo una delle sedi della lotta contro la simonia.
Il primo abate vallombrosano fu Giovanni Leto (dei conti Guidi), fra i primi seguaci del Santo, che fece restaurare l'ormai fatiscente monastero e costruire la chiesa di San Biagio, fuori del cenobio, per accogliere i fedeli del luogo. L'abate Leto era presente al sinodo romano del 1050 e preparò l'incontro tra papa Leone IX e san Giovanni Gualberto che si tenne proprio nell'abbazia.
Un altro importante abate fu il beato Pietro, detto poi "Igneo", perché il 13 febbraio 1068 (mercoledì delle Ceneri) camminò illeso in mezzo al fuoco nella Badia a Settimo, costringendo il simoniaco Pietro Mezzabarba, vescovo di Firenze, ad abbandonare la città.
Il 12 luglio 1073, nell'abbazia di Passignano morì san Giovanni Gualberto, vedendo poco prima della morte elevato al soglio pontificio il vallombrosano Ildebrando, che, solo contro tutti, aveva strenuamente difeso la Congregazione dalle accuse di san Pier Damiani, durante il sinodo romano del 1067.
Nel 1072, papa Alessandro II approvò la Congregazione ed elevò alla dignità cardinalizia Pietro Igneo, che da quel momento si dedicò ad un'intensa attività diplomatica presso la corte dell'imperatore Enrico IV.
L'essere la custode delle spoglie mortali di san Giovanni Gualberto pose l'abbazia in una posizione di prestigio nell'ambiente vallombrosano, che, però, le venne anche attraverso donazioni e acquisti che le permisero di amministrare non solo vasti territori nel Chianti, ma anche molti edifici, adibiti al culto o all'accoglienza dei pellegrini, dei malati e dei poveri.[2]
Nell'aprile del 1121 si accampò presso il monastero l'esercito guidato da Corrado di Scheiern, marchese di Toscana, che in quell'occasione confermò ai monaci i loro privilegi; probabilmente nel monastero soggiornò anche l'imperatore Federico Barbarossa.
La distruzione di Fiesole nel 1125 da parte dei fiorentini fu un evento che influì sulla storia dell'Abbazia. Dopo la distruzione della rivale i fiorentini, temendo una grave punizione da parte di papa Onorio II, si rivolsero all'abate di Vallombrosa, sant'Atto, affinché intercedesse a loro favore presso il pontefice. Il Santo si impegnò ad intervenire a condizione che il vescovo di Firenze, in cambio dei territori fiesolani occupati nel Mugello, cedesse alla Diocesi di Fiesole la Pieve di San Pietro a Sillano, di cui il cenobio era una dipendenza.
Il distacco dall'Arcidiocesi di Firenze spinse l'abbazia a seguire l'orientamento politico di Siena. Ciò fu anche una conseguenza dell'ubicazione del monastero: posto ai confini tra i due contadi era spesso vittima delle ostilità tra i due subendo gravi danni.
Lo scisma che si consumò, durante il pontificato di Alessandro III, segnò profondamente la Congregazione Vallombrosana, poiché dall'Abbazia venne allontanato nel 1165 l'abate Lamberto, sostenitore del papa e venne nominato al suo posto, dal cancelliere imperiale, l'abate Ugo, fautore dell'antipapa Pasquale III. Il momento di massima tensione fu nel 1168 quando venne designato quale antipapa Giovanni di Strumi, abate vallombrosano, che prese il nome di Callisto III, per questo all'interno del monastero si formarono due fazioni con conseguenti disordini che non terminarono nemmono nel 1169 quando Alessandro III, oltre a confermare i privilegi della congregazione, ordinò al nuovo abate di Vallombrosa, Giacomo, di allontanare da Passignano l'abate Ugo e di ripristinare la direzione di Lamberto. In questo stesso periodo si moltiplicarono in Toscana le mire e i complotti di Manuele I Comneno, imperatore di Costantinopoli, che avevano come obiettivo la conquista delle terre dell'Italia centrale per compensare la perdita di quelle che i Normanni gli avevano sottratto nel Meridione. Dall'imperatore bizantino giunsero delle somme di denaro destinate al cenobio di San Michele, presso Poggio San Donato a Siena, sottoposto a Passignano, che ufficialmente erano stati inviati per il mantenimento del monastero, ma che in realtà venivano distribuiti alla popolazione per organizzare sommosse: questo provocò l'intervento del pontefice che in data 16 maggio 1177 proibì qualsiasi attività sobillatrice. Sempre in questo periodo iniziò una controversia giuridica sul possesso di tale monastero tra Passignano e Vallombrosa, che si concluse a favore del primo.
In seguito alla distruzione di Fiesole del 1125, il vescovo, obbligato a risiedere a Firenze, progettò di trasferire la propria sede a Figline Valdarno per sottrarsi al governo fiorentino. Il piano era conosciuto ed appoggiato da Siena, da Arezzo ed, in particolare, da papa Alessandro III che lo approvò con tre bolle consecutive ed, addirittura, nell'ultima considerava il progetto ormai concluso visto che conferiva al presule il titolo di vescovo di Figline e Fiesole. Inoltre, a Figline erano già sorti alcuni edifici che avrebbero dovuto accogliere il vescovo ed il monastero di Passignano aveva appositamente acquistato, il 30 aprile 1175, la Collegiata di Santa Maria che sarebbe divenuta la nuova cattedrale; tutto era ormai pronto per effettuare il trasloco, tanto che il vescovo fiesolano aveva chiesto per questo aiuto agli aretini. Ma, quando i fiorentini sconfissero Arezzo in battaglia, tutto saltò e questi distrussero Figline e bruciarono tutti i locali della costituenda diocesi. Dopo tali eventi iniziò una lunga serie di processi contro Passignano e il Capitolo di Fiesole che durarono vari decenni.
Il 20 novembre 1199 Firenze impose ai monaci di Passignano il giuramento di non ordire alcun complotto né alleandosi col papa, né con l'imperatore, ma l'Abbazia era già legata alla famiglia filo imperiale degli Alberti, conti di Prato, che contro Firenze progettò di costruire non una fortezza, ma un'intera città: Semifonte. Il monastero contribuì a tale disegno realizzando una chiesa ed un ospedale. Nel 1196 i fiorentini distrussero gli edifici di Passignano e nel 1202 demolirono fin dalle fondamenta la città di Semifonte, imponendo al cenobio una tassa di 124 libbre per la sistemazione degli abitanti superstiti.
Duecento
Oltre alle attività politiche verso la fine del XII secolo l'abate di Passignano Gregorio fu impegnato per la canonizzazione di san Giovanni Gualberto per la quale scrisse anche una nuova versione della Vita del Santo in cui introdusse anche nuove informazioni tra cui la nascita nel castello di Petroio e l'appartenenza alla famiglia dei Visdomini, della quale era membro anche lui. Il 1 ottobre 1193 avvenne la canonizzazione da parte di papa Celestino III e al rito parteciparono 23 cardinali, un arcivescovo, l'abate di Fulda e gli ambasciatori dell'imperatore bizantino e del re d'Inghilterra. L'elevazione delle spoglie mortali del Santo, ordinata il 23 maggio1194 dal papa ai vescovi di Arezzo, Pistoia e Siena, non poté effettuarsi a causa dell'opposizione dei vescovi di Firenze e Fiesole, che ancora erano in causa con Passignano. Nel 1205 papa Innocenzo III depose l'abate di Passignano Uberto[3] e il 27 marzo 1210 ordinò ai vescovi di Fiesole e di Firenze di elevare le reliquie del fondatore di Vallombrosa, ma questo ordine venne eseguito solo il 10 ottobre dello stesso anno. In quell'occasione il corpo fu ispezionato e da esso vennero prelevate alcune parti che nel tempo i monasteri vallombrosani fecero custodire in preziosi reliquiari. In seguito l'abate Gregorio venne nominato vescovo di Aquino.
Nonostante che in seguito al Concilio Lateranense IV del 1216 fosse stato istituito l'ufficio dei Visitatori per controllare che nei monasteri si osservasse la Regola, e l'istituzione dell'ufficio del Procuratore presso la Curia Romana per tutelate le esenzioni ed i privilegi dell'Ordine, nel 1222 il monastero di Passignano e gli altri cenobi vallombrosani si trovarono al centro di una contesa con Ildebrando da Lucca vescovo di Fiesole a causa di esenzioni fiscali. La disputa si tenne il 26 febbraio 1222 nella Pieve di Santa Maria Novella, nella Diocesi di Fiesole. A difendere le ragioni dei monasteri intervenne Giacomo, decano di Vallombrosa, che mostrò la bolla pontificia con i privilegi. Si scatenò il parapiglia; prima il Diocesi di Fiesole|vescovo fiesolano]] tentò di impedire la lettura del documento, poi affermò che i monasteri erano sul suo territorio e che quindi a lui dovevano pagare le tasse, infine visto che i monaci non avevano regalato nulla in occasione della sua consacrazione pronunciò un elogio degli incendiari dei beni monastici e minacciò mali peggiori per i ribelli.
Il monaco Giacomo effettuò altre missioni con risultati migliori come quella del 1210 quando consegnò a Luigi IX di Francia una reliquia di san Giovanni Gualberto, o come nel 1222 quando su incarico di Innocenzo III aiutò san Domenico nella predicazione contro gli eretici; come nel 1226 quando fece da intermediario per conto di Gregorio IX alla corte di Federico II di Svevia. Missione fallita visto che nel 1229, il papa iniziò una guerra contro l'imperatore. Per le spese militari il papa impose ai monasteri toscani della pesanti tasse, e per poterle pagare i vallombrosani furono costretti a impegnare quasi tutto il loro patrimonio che nel 1245, dopo una sentenza del tribunale, cadde in mano ai creditori. I beni di Passignano passarono alla famiglia degli Scolari, i quali nel 1255 occuparono il cenobio, tenendo prigionieri i monaci, ed incendiarono il monastero, che subì gravi danni. Di questa situazione approfittarono gli abitanti di Poggio a Vento, un villaggio limitrofo soggetto all'autorità di Passignano, che ottennero nel 1258 di poter eleggere autonomamente i rettori del comune. A dare parere a loro favorevole fu il giurista Accursio.
I ghibellini furono cacciati definitivamente da Firenze nel 1267 e nel 1269, dopo la sconfitta a Colle Val d'Elsa anche a Siena si insediò un governo guelfo, instaurato da Simone V di Montfort, vicario di Carlo d'Angiò. Questi avvenimenti ebbero ripercussioni immediate sulla vita dell'Abbazia. Nel 1272 l'abate di Vallombrosa Plebano depone quello di Passignano Rodolfo ed affida il monastero a Ruggero dei Buondelmonti, guelfo, già eletto nel 1266, ma a causa del governo ghibellino instaurato a seguito della Battaglia di Montaperti non aveva potuto prenderne il possesso. Il Buondelmonti iniziò a ricostruire il monastero - nell'architrave di un porta è incisa la data 1294 - e la chiesa che nel 1287 erano terminati e, successivamente, fece erigere il campanile che era concluso nel 1297.
Dal Trecento al Quattrocento
Il 23 dicembre 1297 papa Bonifacio VIII nominò l'abate di Passignano Ruggero Buondelmonti priore generale di Camaldoli in sostituzione del priore Frediano. Prima ancora di poter prendere possesso della nuova carica, il 26 marzo 1298 lo stesso pontefice lo nominò abate generale di Vallombrosa in sostituzione di Valentino. Per qualche anno Ruggero mantenne anche la carica di abate di Passignano e in politica si schierò con i Guelfi neri appoggiando Corso Donati. Dopo il Calendimaggio del 1300, partecipò al convegno che si tenne nella Basilica di Santa Trinita a Firenze in cui venne deciso di chiamare a Firenze Carlo di Valois e di cacciare dalla città i guelfi bianchi, a cui apparteneva anche Dante Alighieri. Nel 1312 si oppose all'imperatore Enrico VII di Lussemburgo, che con le sue truppe imperiali aveva occupato il Monastero di San Salvi a Firenze. In tale occasione, l'abbazia venne inserita al 29º posto tra quelle considerate ribelli all'Impero.[4] Nel novembre del 1312 nonostante il monastero fosse stato trasformato in fortezza cadde sotto l'assedio delle truppe imperiali guidate dal fratello dell'imperatore Baldovino, arcivescovo di Treviri; il monastero venne occupato fino all'8 marzo 1313. In questa circostanza, i monaci, sotto la minaccia di distruzione da parte delle truppe imperiali, fecero voto a Maria Vergine di celebrare solennemente ogni anno il giorno 8 dicembre (festa dell'Immacolata Concezione) purché rimanesse salvo il Monastero. Il voto fu adempiuto l'anno stesso.[5]
L'abate Ruggero Buondelmonti morì il 14 agosto 1313 presso il Guarlone assistito dall'abate di Passignano Nicola.
Subito dopo la morte di Buondelmonti l'abate di San Mercuriale di Forlì Bartolo Ceci occupa il monastero di Vallombrosa ed impedisce agli abati di eleggere il nuovo generale dell'ordine. Per tutta risposta i monaci si riunirono presso la Basilica di Santa Trinita a Firenze ed elessero generale dell'Ordine l'abate di Passignano Nicola. Contro Bartolo Ceci si schierò anche Roberto d'Angiò, re di Napoli, che pretese dal papa una punizione esemplare contro il ribelle che oltretutto era stato autore di una rivolta popolare a Forlì contro il dominio angioino. Il 2 febbraio 1317 il sovrano angioino nominò l'abate di Passignano cappellano regio. Fra i prigionieri fatti da Castruccio Castracani il 23 settembre 1325 dopo la Battaglia di Altopascio figurano tre monaci di Passignano: Puccio Lapi, Moco Compagni e Bartolo Benucci.
Nel XIV secolo, la ricchezza del monastero era enorme come dimostra una deliberazione emanata il 30 settembre 1370 dal vicario dell'esecutore degli ordinamenti di giustizia del comune di Firenze in cui il monastero venne condannato a pagare una tassa annuale di 320 moggia di grano.
Nonostante queste vicende, nel corso del XIV secolo vengono eseguite a Siena due pregevoli opere d'arte: il reliquiario di San Giovanni Gualberto, completato nel secolo successivo ed un polittico per l'altare maggiore di Jacopo di Mino (purtroppo andato perduto).
Nel 1365 risulta in fase di costruzione la Chiesa di San Biagio; nello stesso anno Bindo dei Buondelmonti istigò i muratori ad interrompere il lavoro e aizzò i contadini a smettere di lavorare le terre del monastero; questi fatti provocarono la reazione del comune di Firenze che intervenne ammonendolo e facendogli sapere che considerava come ribellione contro la città qualsiasi sgarbo fatto al monastero. Nello stesso anno, santa Caterina da Siena scrisse due lettere all'abate Martino ed una ai monaci di Passignano, esortandoli a preferire la morte piuttosto che venire meno agli impegni della propria professione religiosa.
Con lo scopo di sottrarre i monasteri al sistema della commenda il 13 maggio 1437 papa Eugenio IV nominò abate di Vallombrosa Placido Pavanelli, e sempre nello stesso anno impone a Gomez abate della Badia fiorentina, di inviare dei monaci nei monasteri vallombrosani per introdurre la riforma di Santa Giustina. Tra i monaci inviati c'era Francesco Altoviti che il 7 gennaio 1441 sarà nominato abate di Passignano. È sotto il suo governo che il monastero prende gran parte delle forme che ancora oggi è possibile vedere. Nel 1454 Altoviti fu nominato anche abate di Vallombrosa. Dopo tale nomina, l'Altoviti nominò Isidoro del Sera quale abate di Passignano e Bernardo quale abate di san Salvi; entrambi erano monaci dell'osservanza di Santa Giustina e fu in questo periodo che tra i monaci vallombrosani si cominciò ad organizzare i cenobi secondo la riforma attuata nel monastero padovano.
Durante il pontificato di Callisto III si arrivò ad una concordia tra gli abati vallombrosani sulla regola da seguire; prima dell'approvazione il papa incaricò Antonino Pierozzi, arcivescovo di Firenze, di esaminare il testo dell'intesa che però non venne approvata a causa della morte del pontefice. Gli stessi abati presentarono una nuova richiesta al successore, papa Pio II, che incaricò l'abate della Badia fiorentina per la revisione dell'accordo. La nuova bozza trasformò l'ordine in congregatio, organizzata sul modello di Santa Giustina, e dava facoltà agli altri monasteri di aderirvi. Questa nuova congregazione, aveva un preside e celebrava ogni anno i capitoli dell'osservanza, venne detta Sansavina (dal monastero di San Salvi) e venne approvata dal papa il 13 giugno 1463. Inoltre, venne riconosciuto in Francesco Altoviti il generale della Congregazione; ma la concordia ebbe breve durata.
Alla morte dell'Altoviti, 22 aprile 1479, all'interno della famiglia vallombrosana avvenne lo scisma: il gruppo dei cosiddetti sansavini elesse quale generale don Isidoro abate di Passignano ma tale nomina venne contestata dai monaci di Vallombrosa che elessero un loro generale nella persona di don Biagio Milanesi che nel 1480 ottenne anche il via libera dal papa. Lo scisma però andava ricucito e così il Milanesi in accordo con l'abate di Passignano stese una bozza di accordo. Tale accordo venne approvato da Innocenzo VIII il 31 gennaio 1485; si stabilì di mettere fine alla congregazione di San Salvi, di creare la nuova Congregazione di Santa Maria in Vallombrosa e si obbligarono tutti i monasteri dell'ordine ad aderirvi sottraendosi alla commenda. Alla nuova congregazione chiese di aderire anche Passignano, ma il papa fece sapere al Milanesi che il monastero era stato promesso a Lorenzo il Magnifico con la giustificazione che essendo posto in una zona militarmente strategica, quasi al confine con Siena, non poteva essere governato da abati annuali ma doveva essere una diretta dipendenza dello stato mediceo. Nel 1485 Isidoro morì e il Milanesi nominò abate di Passignano Riccardo degli Alberti, tale nomina non fu gradita dal Magnifico che organizzò una spedizione punitiva. In piena notte un esercito composto da oltre tremila fanti preceduti dal boia entrarono nel monastero, percossero e ferirono i 25 frati presenti che caricati su muli vennero spediti a San Salvi e infine espulsero l'abate. Non era la prima volta che i monaci di Passignano si rifugiavano a san Salvi; già nel 1478 durante la seconda invasione aragonese del Chianti, nonostante che il monastero fosse una fortezza e disponesse di armi dell'ultima generazione, dopo che seppero della sconfitta fiorentina e dell'accampamento aragonese di stanza a Castellina, i monaci preferirono portare via tutto e mettersi al sicuro. In quell'occasione i beni portati via vennero custoditi tra i monasteri di Santa Maria Novella e Santa Verdiana. Il 25 febbraio 1487 si tenne il matrimonio traFranceschetto Cybo, figlio naturale (regolarmente legittimato) del pontefice Innocenzo VIII e Maddalena, figlia di Lorenzo il Magnifico, il quale ottenne che il monastero di Passignano, unitamente alla Badia a Coltibuono, fosse dato in commenda al figlio Giovanni, futuro papa Leone X, al quale i monaci dovettero pagare annualmente due mila fiorini d'oro.
Verso la fine del XV secolo i lavori di ampliamento erano ormai terminati ed avevano visto all'opera maestranze lombarde per i lavori alle mura mentre per la parte in pietra erano stati chiamati gli scalpellini di Settignano. Tra questi ebbe un ruolo maggiore Mariotto di Andrea di Neri che realizzò i capitelli del chiostro, del pozzo, delle finestre e delle porte e inoltre fece il pulpito del refettorio, i beccatelli che tengono il tetto e le fessure per le bombarde. Per i lavori pittorici furono chiamati artisti locali: Bernardo Rosselli nel 1472 dipinse le due lunette del refettorio; i fratelli David e Domenico Ghirlandaio lavorano nel monastero una prima volta nel 1476 quando eseguirono il dipinto murale con l'Ultima Cena per il refettorio, poi tornarono una seconda nell'anno successivo (1477) per decorare l'aula capitolare ed, infine, vi tornano nel 1478 per dipingere il giardinuzzo. Un altro artista impegnato nel cenobio fu Filippo di Antonio Filippelli, nativo nel borgo di Passignano, che a spese dei monaci venne mandato a bottega dai Ghirlandaio, e che nel chiostro dell'Abbazia realizzò il ciclo di dipinti murali con Storie della vita di san Benedetto da Norcia.[6] Per gli intagli lignei furono chiamati i fiesolani Giovanni e Luca che nel 1482 realizzarono la porta che dal giardino immette nel chiostro.
Cinquecento e Seicento
La ricchezza del monastero nel XVI secolo portò i monaci a progettare l'ampliamento della chiesa abbaziale. Nel 1505 in occasione del capitolo generale l'abate Milanesi approvò il progetto per la realizzazione di un monumento funebre a san Giovanni Gualberto. Il concorso venne vinto da Benedetto da Rovezzano che nella sua bottega fiorentina per vari anni lavorò ai marmi. Il progetto però non fu completato. Il ritorno dei Medici al potere nel 1513 ebbe ripercussioni sulla vita dell'ordine vallombrosano che vide il proprio abate mandato in esilio. La pace con la famiglia Medici venne siglata nel 1515 in occasione della vista di papa Leone X al Santa Maria dell'Impruneta, in quell'occasione il monastero di Passignano prestò gli arazzi per adornarne la chiesa. Un nuovo ordine a completare l'opera venne dal papa Clemente VII il 2 gennaio 1526 ma rimase lettera morta.
I lavori ripresero speditamente nel 1549 quando iniziò la trasformazione della chiesa in stile manierista - barocco: la prima realizzazione fu il coro ligneo posto a metà della navata e realizzato dal monaco vallombrosano Michele Confetto. Nel 1580 venne inaugurata la cappella di san Giovanni Gualberto decorata da Giovanni Maria Butteri su disegno di Alessandro Allori; in quell'occasione venne effettuata anche una ricognizione sui resti del santo. Lo stesso Alessandro Allori realizzò i dipinti murali della parte sinistra del transetto. Una nuova fase dei lavori impegnò il monastero dal 1598 al 1602. A dirigere i lavori fu Domenico Cresti detto il "Passignano". Sotto la sua direzione venne abbattuta l'abside romanica e venne costruita la cappella maggiore; lo stesso artista eseguì gli affreschi della volta e le tele lì conservate. Sempre il Passignano progettò e realizzò l'intera trasformazione della chiesa con la costruzione della cupola e delle volte nel transetto e della navata. La decorazione della chiesa venne completata nel 1609, quando vennero eseguiti ad affresco da Benedetto Veli i dipinti murali nella cappella di san Atto, che nel monastero aveva suo fratello don Tesauro Veli.
Come nei secoli precedenti i mutamenti politici di Firenze avevano ripercussioni a Passignano. Come detto in precedenza il ritorno al potere dei Medici comportò l'esilio dell'abate. Nel 1530 gli spagnoli, occupata Firenze, nel 1555 aiutarono i Medici a conquistare definitamente Siena, il cui territorio viene annesso a quello fiorentino; di conseguenza si sposta il centro del potere politico, economico e militare e il cenobio di Passignano perse l'importanza strategica del secoli precedenti. Oltre al monastero perse di importanza anche l'intero ordine Vallombrosano ridimensionato dal Concilio di Trento e dalla Controriforma, dai nuovi ordini religiosi e dalla evangelizzazione delle nuove terre che portarono ad un ridimensionamento del ruolo dei monaci. L'ordine cambiò anche nome, divenendo nuovamente Congregazione di Santa Maria di Vallombrosa e anche la sede che dal 1550 venne posta nel monastero di San Bartolomeo a Ripoli, dove risiedeva l'abate generale e la curia generalizia.
Per Passignano questo fu il periodo in cui si accentuò il suo aspetto monastico divenendo sede di uno studentato. Per poter formare i giovani qui risiedevano i monaci più osservanti e istruiti dell'intera Congregazione; si iniziarono a studiare le lingue greco e ebraico per poter studiare le sacre Scritture e, inoltre, in queste lingue veniva recitato anche l'Uffizio divino. Si iniziò anche uno studio approfondito della matematica e delle scienze esatte; per l'insegnamento della matematica fu chiamato nel 1588 Galileo Galilei, che in gioventù aveva avuto una esperienza monastica a Vallombrosa.
Nel XVII secolo vennero eseguiti molti lavori al cenobio: tra il 1626 e il 1627 vennero realizzati due ambienti per la foresteria di sopra, mentre in quella di sotto furono aperte le finestre che danno sul chiostro. Nel 1628 fu costruito il muro che collega la chiesa di San Biagio alle prima case del borgo.
Tra il1636 e il 1638, il monastero venne rifornito di acqua corrente che raggiunse anche le stalle e l'orto dove nel mezzo fu costruita la fontana, dalla quale defluiva nel la peschiera, dove i monaci allevavano i pesci per la quaresima, e dove venne costruito un tabernacolo. Nello stesso anno fu rifatto anche il camino della cucina e costruito il loggiato che lo circonda.
Dal Settecento a oggi
Nel XVIII secolo furono eseguiti ulteriori lavori: nel 1710 furono rifatte le porte; nel 1747 vennero chiusi gli archi del cortile minore, conosciuto come il grottesco, e nel 1755 furono chiuse le logge superiori del chiostro dove vennero aperte quindici finestre e otto furono dipinte.
Alla metà del XVIII secolo la comunità di Passignano era formata da 25 religiosi: l'abate, sei monaci sacerdoti (priore, camerlengo, lettore, scriba, sagrestano, maestro dello studio), circa dieci studenti, 3 monaci conversi (portinaio, sarto e cantiniere) e sei civili (fattore, muratore, ortolano, cuoco, manovale e vetturale).
Nella seconda metà del XVIII secolo, il monastero non rimase estraneo alle riforme propugnate dal vescovo Scipione de Ricci (1740 - 1810), che morì a Rignana, vicino a Passignano, e ivi è sepolto nella cappella di famiglia.
Il 10 ottobre 1810 il monastero venne soppresso dalle leggi napoleoniche. La vita monastica di Passignano si interruppe e venne disperso l'intero patrimonio archivistico e tutta la biblioteca. Tutti i beni immobili furono dati in affitto, che, oltre, al monastero comprendevano ben 41 poderi e 80 case coloniche con un territorio che aveva un'estensione di oltre 2 chilometri di raggio in qualunque direzione uno guardasse per un totale di 12 chilometri quadrati di superficie.
Con la Restaurazione, il granduca Ferdinando III di Toscana e ai vallombrosani vennero restituiti il monastero di Vallombrosa, il Santuario di Montenero e la chiesa di Santa Trinita a Firenze. Nel 1818 i monaci, con pagamenti dilazionati, riuscirono a riacquistare l'Abbazia di Passignano e la sua tenuta, ricostituendo una piccola comunità monastica. L'abate fu possibile nominarlo solo nel 1858 quando anche la comunità era più numerosa.
Nel 1866 con le leggi Siccardi vennero soppressi tutti gli ordini religiosi e lo Stato italiano incamerò tutte le proprietà della Badia compreso il monastero, assegnandone una piccola parte a due monaci lasciati a custodia della chiesa e della parrocchia.
Il 7 ottobre 1870, l'Abbazia e le sue proprietà (39 poderi con 1264 ettari di terreno) vennero messa all'asta e vendute al conte Maurizio Dzieduszycki. Incomincia così per il cenobio un lungo periodo di nascondimento e di trasformazione; fu cambiato il nome: non più l'Abbazia di Passignano, ma il castello di Passignano, mutando e aggiungendo nuovi elementi architettonici per darle l'aspetto di maniero.
Per i monaci rimasti nel 1875 venne fatta costruite al posto di un vecchio fabbricato l'attuale canonica posta sulla sinistra della chiesa abbaziale. Nel tempo si sono susseguiti vari proprietari fino al 10 ottobre 1986, quando i monaci vallombrosani hanno potuto riprendere possesso del cenobio.
Descrizione
Il complesso monastico, racchiuso all'interno della cortina muraria quattrocentesca a pianta quadrangolare con torri angolari, si compone di due corpi di fabbrica:
- Chiesa abbaziale
- Monastero
Ingresso e cortile
Si accede all'abbazia percorrendo un ampio viale con cipressi che conduce alla corte sulla quale prospettano alcuni edifici e la chiesa abbaziale.
Chiesa di San Michele Arcangelo
Un oratorio dedicato a san Michele arcangelo esisteva già prima del Mille, ma l'attuale chiesa venne costruita a partire dal 1266, dopo che tutto il monastero era stato bruciato dagli Scolari nel 1255.
Esterno
La facciata a capanna, rivestita da filari di pietra alberese,[7] è aperta da un portale ed un grande oculo, presenta:
- sopra al portale, lunetta con Madonna con Gesù Bambino e due angeli (seconda metà del XIX secolo), affresco di Filadelfo Simi.
- sopra alla lunetta, Stemma della Congregazione Vallombrosana, in pietra.
- sulla sommità, Statua di san Michele arcangelo che uccide il drago (XIII secolo), in marmo, di ambito bizantino: questa opera è la copia dell'originale custodito all'interno del monastero.
Interno
L'interno a navata unica, con pianta a croce latina, venne ristrutturata nella seconda meta del XVI secolo e successivamente all'inizio del XVIII secolo ed ancora alla metà del XIX secolo. In quell'occasione vennero ricostruite le volte per nascondere le capriate originali una delle quali è datata 1287.
Lungo la navata, ai due altari laterali, sono collocati dipinti, ad olio su tela, eseguiti nel 1709 da Giuseppe Nicola Nasini, raffiguranti:
La chiesa è divisa da un ricco tramezzo ligneo, databile al 1549, realizzato dal converso vallombrosano Michele Confetto, decorato da due dipinti su tavola del terzo quarto XVI secolo, attribuiti a Michele di Ridolfo del Ghirlandaio, raffiguranti:
- a destra San Michele, san Gabriele e san Raffaele arcangeli;[8]
- a sinistra, Adorazione di Gesù Bambino con san Giuseppe e angeli: nell'opera la figura del santo si appoggia ad un bastone che presenta lo stemma dell'abate Ungaro, committente delle due opere.[9]
Oltre, l'iconostasi, si osserva:
- Coro ligneo (1549) realizzato da Michele Confetto con la collaborazione del carpentiere Ermini di Lucolena: nel fregio superiore figurano iscrizioni, nelle quali si legge:
- in ebraico,
« | Lodatelo con cembali sonori, lodatelo con cembali squillanti; ogni vivente dia lode al Signore. » | |
- in greco,
« | Voi che state nella casa del Signore, negli atri della casa del nostro Dio. Lodate il Signore: il Signore è buono; cantate inni al suo nome, perché è amabile. » | |
All'incrocio del transetto con la navata, sono presenti altri dipinti murali, ad affresco, realizzati nel 1706 da Giuseppe Nicola Nasini che presentano:
- Storie del Antico e del Nuovo Testamento.
Transetto destro
La decorazione del transetto destro fu eseguita da Benedetto Veli nel 1609 con dipinti murali, ad affresco, raffiguranti Storie di sant'Atto di Pistoia, tra le quali si notano:
- Incontro tra papa Innocenzo II e sant'Atto di Pistoia: l'opera è un documento storico importante poiché illustra la corte pontificia del XVII secolo ed, in particolare, per le uniformi indossate dalle guardie svizzere.
- Esposizione del corpo riesumato di sant'Atto di Pistoia nel Duomo: il dipinto documenta le spoglie incorrotte del santo dopo 250 anni dalla morte.
Cappella di San Sebastiano e Sant'Atto
A destra dell'altare maggiore, è situata la cappella dedicata a San Sebastiano e sant'Atto di Pistoia, anche se in origine era intitolata al solo Santo martire, ma all'inizio del XVII secolo, dopo la canonizzazione (1605), venne dedicata anche a sant'Atto (1070 - 1153), abate di Vallombrosa e successivamente vescovo di Pistoia.
La cappella presenta un apparato decorativo eseguito nel 1609 da Benedetto Veli con dipinti murali, ad affresco, raffiguranti:
- nella volta, Incoronazione di Maria Vergine
- nelle vele, Davide e Gioele e Giuditta e Abigail.
- nelle lunette:
- Martirio dei santi Marco e Marcelliano
- Storie dell'Antico Testamento
- Sant'Atto di Pistoia riceve le reliquie di san Giacomo apostolo portate da Santiago de Compostela.
- Costruzione della cappella di Sant'Atto
Completano la decorazione della cappella alcuni dipinti, olio su tela, eseguiti anche questi nel 1609 da Benedetto Velio che raffigurano:
- all'altare, Maria Vergine in gloria tra san Sebastiano e san'Atto di Pistoia
- alle pareti laterali:
- a sinistra, San Sebastiano conforta un gruppo di fedeli;
- a destra, Due cittadini pistoiesi ricevono dal vescovo di Santiago de Compostela le reliquie di san Giacomo apostolo per consegnarle a sant'Atto.
Sul pilastro posto, alla destra della la cappella maggiore, è collocato:
- Gesù Cristo crocifisso (XVI secolo), in legno policromo dipinto, di ambito fiorentino: l'opera è considerata miracolosa dalla comunità cristiana.[10].
Cappella di San Michele Arcangelo
La cappella maggiore, dedicata a san Michele Arcangelo, venne progettata nel 1598 da Domenico Cresti detto il Passignano e da lui decorata nel 1601 con dipinti murali, ad affresco, raffiguranti:
- sulla volta, Dio Padre in gloria fra angeli;
- nei pennacchi, Virtù cardinali;
- nelle lunette, Davide, Isaia e Sibille.
Completano l'apparato decorativo della cappella alcuni dipinti, ad olio su tela, realizzati dal medesimo artista:
- all'altare, Madonna con Gesù Bambino e santi
- alla parete destra, San Michele Arcangelo appare sul monte Gargano al vescovo di Siponto;
- alla parete destra, San Michele Arcangelo combatte contro il drago
Inoltre, ai lati dell'altare maggiore, entro nicchie, sono collocate due sculture in gesso, datate al 1602, di Andrea di Michelangelo Ferrucci raffiguranti:
Cappella di San Giovanni Gualberto
A sinistra dell'altare maggiore, è situata la cappella dedicata a san Giovanni Gualberto, nella quale è custodito il sepolcro del Santo, decorata con dipinti murali, ad affresco, raffiguranti:
- nella volta, Storie di san Giovanni Gualberto (1580), affreschi, di Alessandro Allori.
- nel sottarco, Santi vallombrosani (1580-1581), affreschi, di Giovanni Maria Butteri e Alessandro Pieroni: le figure, all'interno di cornici dorate, sono raffigurate a mezzobusto.
- all'altare,
- pala con Allegoria della Chiesa romana che consegna la bolla di canonizzazione di san Giovanni Gualberto (1730 - 1740), olio su tela, attribuita a Vincenzo Meucci.
- Statua di san Giovanni Gualberto (1580 ca.), in marmo, di Giovanni Battista Caccini:[11] questa scultura, posta sul sepolcro, era destinata al monumento funebre del santo, commissionato nel 1505 a Benedetto da Rovezzano e mai messo in opera.
Ai lati della parete dell'arco, su due piccole mensole, sono collocati:
- Due angeli (1507), in marmo, di Benedetto da Rovezzano: queste due sculture, quello di destra regge lo stemma dei Visdomini, sono gli unici due elementi del monumento funebre poi non realizzato.
Alle pareti laterali sono due dipinti raffiguranti:
- a destra, Prova del fuoco di san Pietro Igneo (1581), olio su tela, di Giovanni Maria Butteri.
- a sinistra, San Giovanni Gualberto e l'uccisore del fratello davanti al crocifisso (1580 - 1581 ca.), olio su tela, di Alessandro Pieroni:[12] questa opera raffigura il fatto centrale della vita del santo ovvero il perdono dell'uccisore del fratello e il crocifisso di San Miniato che inchinò il capo in segno di approvazione.
Transetto sinistro
La decorazione del transetto sinistro è dovuta ad Alessandro Allori e allievi che la eseguirono tra il 1580 ed il 1581 con dipinti murali, ad affresco, raffiguranti Storie di san Giovanni Gualberto, tra i quali il più interessante è quello che presenta:
- Ricognizione delle ossa di san Giovanni Gualberto: l'opera è divisa su due pareti ma raffigura un solo episodio. Molto bella è la precisione dei dettagli come l'abbigliamento delle dame, dei contadini e dei giovani. I monaci sono disposti in prospettiva concentrica verso il prelato e i loro volti sono altrettanti ritratti dei monaci allora presenti nella Badia. È rappresentata anche la stessa cappella nella versione dell'Allori e si vedono alcuni operai intenti a sollevare la pietra del sepolcro. Si nota anche il polittico, che era posto all'altare maggiore, eseguito dal pittore senese Jacopo di Mino nel 1372 su commissione dell'abate Federico Chigi, che raffigurava la Madonna e santi, rimosso per far posto al dipinto del Passignano ed in seguito disperso.
Nella parete del campanile è collocata:
- Lastra tombale originaria di san Giovanni Gualberto.
Cripta
Si accede alla cripta da un porta situata nella parete sinistra della cappella di san Giovanni Gualberto.
La cripta, riferibile alla primitiva chiesa dell'XI secolo, è un piccolo ambiente absidato, diviso in tre navate con volte a crociera sostenute da quattro colonne di spoglio con semplici capitelli.
Al centro del pavimento è posta un'iscrizione che indica il luogo della prima sepoltura di san Giovanni Gualberto, qui rimasto dal 1073 al 1210.
Sacrestia
Si accede alla sacrestia per una porta posta sulla parete destra della cappella di san Sebastiano e san Atto. Si tratta di un ambiente della seconda metà del XV secolo coperto con volte a botte e sostenute da peducci, in pietra serena, nello stile di Francesco di Simone Ferrucci.
Al centro delle due finestre è collocato:
- Tabernacolo, in pietra serena scolpita, ricavato da un antico lavabo, fatto realizzare dall'abate Isidoro del Sera tra il 1460 ed il 1469 per custodirvi il reliquiario del Santo, chiuso da sportelli lignei dipinti con Storie della vita san Giovanni Gualberto (San Pietro Igneo e la prova del fuoco; San Giovanni Gualberto libera un monaco dal demonio; Reliquiario di san Giovanni Gualberto portato in processione) ed Angeli reggicandelabro, eseguiti dal monaco vallombrosano Filippo di Antonio Filippelli.[13] All'interno è custodito lo splendido e prezioso:
- Reliquiario a busto di san Giovanni Gualberto costituito da un busto, in argento cesellato e sbalzato, realizzato nel XV secolo con aureola creata da Paolo Sogliani nel XVI secolo, mentre la base è decorata con una ghirlanda di pinnacoli e venti dittici cuspidati con Storie della vita del Santo, in smalto, realizzata tra il 1324 e il 1332: all'interno della teca sono conservati resti della calotta cranica di Santo.
Inoltre, nella sacrestia sono conservati:
- Due armadi, in legno, realizzati nel 1580 da Domenico Atticciati.
- Otto piccoli dipinti (prima metà del XVII secolo), olio su tela, attribuiti a Francesco Curradi.
Monastero
Del cenobio originario, realizzato per ospitare la prima comunità vallombrosana, oggi non rimane nulla. Una prima mole di lavori venne effettuata intorno al 1055 dopo la nomina ad abate di Leto. Successivamente, nel 1255, tutto il monastero venne incendiato e distrutto dagli Scolari e dai fiorentini e solo dal 1266, sotto la direzione dell'abate Ruggero dei Buondelmonti, il cenobio venne ricostruito grazie a dei lavori che durarono fino alla fine del secolo; di quel tempo oggi rimangono i locali delle cantine che presentano volte con sottarchi databili al XIII secolo.
Nel XV secolo durante la reggenza degli abati Francesco Altoviti e Isidoro del Sera il complesso monastico venne totalmente rinnovato secondo i canoni rinascimentali.
Davanti alla chiesa è situato il portone d'ingresso al monastero, che immette in un piazzale caratterizzato due torri e da un prospetto medievaleggianti, frutto delle modificazioni avvenute dopo il 1870, quando il complesso, ormai passato in mano ai privati, venne trasformato, su progetto dell'architetto Uguccioni di Firenze, in una villa-castello in stile neogotico.
Chiostro
Si entra nel chiostro per un portale d'ingresso del XV secolo, in pietra serena, raffinata opera degli scalpellini Andrea di Neri e Mariotto da Settignano, con battenti lignei coevi, intagliati ed intarsiati.
Il chiostro venne realizzato tra il 1470 ed il 1483 su disegno di Jacopo Rosselli (1439-1515), fratello di Bernardo, il pittore che dipinse le lunette nel refettorio.
Al piano terra presenta una serie di ampie arcate a sesto ribassato e con volte a crociera con colonne e peducci. Non sono rimaste ne tracce visive ne testimonianze negli archivi di decorazioni pittoriche. Il piano superiore è coperto a tetto e sostenuto da colonne, originariamente era aperto con architravature lignee e con un parapetto in muratura, ma fu chiuso nel 1755.
Le pareti interne del chiostro furono decorate da Filippo di Antonio Filippelli con un ciclo di dipinti murali, ad affresco, raffiguranti:
- Storie della vita di san Benedetto da Norcia (1483 - 1485): le opere nel 1734 furono scialbati e solo all'inizio del XX secolo vennero riportati alla luce e restaurati. Tra i dipinti di particolare interesse si notano:
- San Benedetto da Norcia;[14]
- San Benedetto da Norcia benedice il vino avvelenato;[15]
- San Benedetto da Norcia esorcizza un monaco;[16]
- Morte di san Benedetto da Norcia.[17]
Refettorio
Il refettorio (l. 17,40 metri, l. 10,50 m, h. 8,50 m), edificato nel XV secolo, è coperto con volte a botte poggianti su peducci in pietra serena. Il lavori furono commissionati dall'abate Isidoro del Sera il quale volle far eseguire sulla parete di fondo un Ultima Cena, secondo le consuetudini monastiche.
L'apparato decorativo venne inizialmente affidato a Bernardo Rosselli, che nel 1474 dipinse le due lunette raffiguranti:
- a sinistra, Cacciata di Adamo ed Eva dal paradiso terrestre: il dipinto palesemente ispirato all'omonimo di Masaccio nella cappella Brancacci, dove viene illustrata la colpa dei progenitori nelle sue conseguenze, mostrando l'inizio dell'espiazione; un portale dipinto separa il paradiso terrestre dal mondo terreno. Adamo ed Eva vengono accompagnati da un angelo fuori dalla porta ma nono sono del tutto abbandonati dalla Provvidenza divina che gli dà gli attrezzi per procurarsi da vivere: la zappa per Adamo e la conocchia per Eva.[18]
- a destra, Caino uccide Abele: il dipinto raffigura Caino ed Abele inseriti in un paesaggio diverso: terra, acqua, animali, l'ara sacrificale per immolare l'agnello e due mani accoglienti che indicano che il sacrificio è gradito a Dio. Il protagonista della scena è Caino che uccide il fratello Abele il quale gronda sangue dalla testa.[19]
Successivamente, nel 1476, venne chiamato Domenico Ghirlandaio, all'epoca ventisettenne, ma già pittore di fama, che si fece aiutare dal fratello David, i quali realizzarono un ampio dipinto murale, ad affresco, raffigurante:
- Ultima Cena:[20] l'opera è ricordata anche da Giorgio Vasari[21] e documentata nel libro della contabilità del monastero dove sono riportati sia i compensi percepiti dai due fratelli, sia le spese per i materiali utilizzati e chi li forniva. L'opera dei Ghirlandaio mostra un ambiente claustrale, quasi un refettorio; la scena è inquadrata in un'architettura quattrocentesca chiaramente ispirata al cenacolo di Andrea del Castagno in Sant'Apollonia, ma la prospettiva non è impeccabile in quanto le figure degli apostoli sono sproporzionate rispetto al basso ambiente della scena. Nel dipinto murale, intorno ad una lunga tavola imbandita - come una un desco fiorentino del tempo con bottiglie di acqua e vino, i bicchieri e pani - compaiono:
- Gesù Cristo, raffigurato con un'espressione solenne, getta lo sguardo sul tavolo e alza la mano destra per benedire ed al suo petto si appoggia san Giovanni, il discepolo prediletto;
- Giuda Iscariota, di fronte a Gesù che consapevole del suo tradimento con la sua posa, il suo sguardo rivolto verso il basso e i capelli disordinati esprime una cupa solitudine.
- Apostoli, con diverse sono le espressioni e gestualità: alcuni mostrano un volto giovane, mentre altri sono vecchi e rugosi con il più anziano di loro ripreso in atteggiamento orante. Notevole e messa ben in evidenza la ricchezza della tavola e la finezza delle bottiglie di acqua e vino, i bicchieri e i pani.
Cucina
Tra gli ambienti di servizio del monastero di particolare pregio è la cucina rimasta estranea ai rifacimenti ottocenteschi. All'angolo sinistro, spicca la mole del focolare con cappa sorretta da un architrave in pietra scolpita e poggiante su due robuste colonne in pietra. Il camino, come appare oggi è stato sistemato nel XVIII secolo.
Allo stesso periodo risale la tavola posta al centro della sala il cui piano è realizzato con un'unica lastra di pietra.
Note | |
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Bibliografia | |
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Voci correlate | |
Collegamenti esterni | |
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