Sant'Ippolito di Roma
Sant'Ippolito di Roma Presbitero · Martire · Antipapa | |
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Santo | |
Padre della Chiesa | |
Antonio del Ceraiolo, Sant'Ippolito (part. dalla predella con Santi e sante martiri), tempera su tavola; Cortona (Arezzo), Museo dell'Accademia Etrusca e della città | |
Età alla morte | circa 65 anni |
Nascita | Asia 170 ca. |
Morte | Sardegna 235 |
Sepoltura | Roma, Catacomba di Sant'Ippolito |
Eletto Antipapa | 217 |
Fine pontificato | 235 |
Opposto a | |
Sostenuto da | oppositori di papa Ponziano |
Scomunicato da |
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Venerato da | Chiesa cattolica, Chiesa ortodossa |
Ricorrenza | 13 agosto |
Attributi | Finimenti da cavallo, palma |
Patrono di | Cavalli, carcerieri |
Collegamenti esterni | |
Scheda su santiebeati.it |
Nel Martirologio Romano, 13 agosto, n. 1:
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Sant'Ippolito di Roma (Asia, 170 ca.; † Sardegna, 235) è stato un presbitero, antipapa, martire ,teologo e scrittore latino cristiano: venerato come santo è stato il primo antipapa della storia della Chiesa, ma prima della morte si riconciliò con il papa legittimo, Ponziano, insieme al quale subì il martirio.
Testimonianze su Ippolito
Fino alla pubblicazione, avvenuta nel 1851 dei Philosophumena, di Ippolito si avevano poche e frammentarie notizie, come si può evincere dalle fonti sotto riportate:
- Eusebio di Cesarea riporta che era il vescovo di una non meglio specificata diocesi e ne enumera una serie di scritti[1].
- Sofronio Eusebio Girolamo fornisce le stesse informazioni di Eusebio (forse perché la sua fonte principale fu Eusebio stesso), aggiunge altre opere al suo elenco e racconta di una delle sue omelie recitate alla presenza di Origene[2].
- La Cronografia del 354 menziona, nella lista dei Papi, il vescovo Ponziano e il presbitero Ippolito, esiliati in Sardegna nel 235; inoltre, il calendario romano assegna al 13 agosto la festa di Ippolito sulla via Tiburtina e di quella di Ponziano nelle catacombe di Callisto[3].
- L'iscrizione fatta apporre da papa Damaso I sulla sua tomba narra che Ippolito seguì lo scisma Novaziano (anche se prima della morte esortò i suoi seguaci a riconciliarsi con la chiesa cattolica)[4].
- L'inno di Prudenzio sul martirio di Ippolito[5] ricorda il suo martirio (non si capisce bene se a Ostia o Porto): Ippolito fu dilaniato da due cavalli selvaggi (una evidente reminiscenza del mitico Ippolito figlio di Teseo).
- Alcuni autori greci più tardi[6] non aggiungono altre informazioni rispetto a quelle riportate da Eusebio e Girolamo; alcuni si riferiscono a Ippolito come al vescovo di Roma, altri come al vescovo di Porto. Secondo Fozio[7], Ippolito fu un discepolo di Sant'Ireneo di Lione. Secondo altri scrittori orientali, così come per papa Gelasio, la sede di Ippolito era la capitale araba Bostra.
- Numerose leggende di martiri raccontano di Ippolito in diverse vicende. Secondo quella di San Lorenzo, Ippolito era un ufficiale incaricato di sorvegliare il diacono ferito, ma venne da questi convertito assieme a tutto il corpo di guardia e martirizzato con dei cavalli selvaggi[8]. Secondo una leggenda di Porto, che identifica Ippolito nel martire Nonnus, egli fu martirizzato assieme ad altri della città stessa[9].
- Altra opera di grande importanza per la sua conoscenza è la statua marmorea del santo conservata presso la Biblioteca Apostolica Vaticana. La statua, scoperta nel 1553, databile al IV-V secolo, rappresenta Ippolito assiso ed enumera le sue opere sulla sedia sulla quale è seduto.[10] [11]
- La topografia delle tombe dei martiri romani ne indica la tomba sulla via Tiburtina e menziona una basilica ivi eretta; racconta, inoltre, alcuni dettagli leggendari che lo riguardano[12]. La catacomba del santo fu scoperta dall'archeologo Giovanni Battista de Rossi (1822-1894).[13]
Grazie alla scoperta del Philosophumena è stato possibile sia chiarire i dettagli più importanti della vita del santo, sia mettere ordine tra i dati contrastanti riportati dagli antichi autori. La trattazione della sua agiografia proseguirà partendo dal presupposto che Ippolito sia realmente l'autore di tale opera.
Biografia
Dalla documentazione archeologica e documentaria si evince l'esistenza di un Ippolito vescovo e scrittore (Ippolito Romano) e di un Ippolito martire romano, la cui statua tombale venne rinvenuta mutilata nel 1553 lungo la via Tiburtina, nei pressi di Roma, dove la tradizione poneva la tomba del martire. Presumibilmente si tratta della stessa persona.
Sulla sua persona sono pervenute scarse informazioni, spesso in contrasto tra loro. Dalle notizie tramandate da Eusebio di Cesarea, san Girolamo, papa Damaso I e Prudenzio, si desume che nacque probabilmente in Asia Minore, dove dovette studiare teologia, esegetica e retorica (secondo alcune fonti, fu discepolo di Sant'Ireneo di Lione); divenuto un esponente importante della sua Chiesa, giunse come presbitero a Roma sotto il pontificato di Zefirino (199-217).
Secondo Döllinger, Harnack e altri studiosi tedeschi, Ippolito sarebbe stato un vescovo, mentre secondo Puech era un semplice presbitero romano del III secolo, avverso all'eresia monarchiana, a Zefirino e al vescovo di Roma Callisto (217-222).
Il durissimo confronto tra Callisto e Ippolito raggiunse l'apice trasformandosi in scisma quando il primo divenne papa (217). Immediatamente Ippolito lasciò la comunione della Chiesa di Roma e fu eletto antipapa da una ristretta schiera di seguaci da lui chiamati Chiesa in contrasto con la maggioranza dei romani da lui chiamati la Scuola di Callisto. Il santo accusava Callisto di essere caduto nell'eresia di Teodato prima e di Sabellio poi. Inoltre lo accusava di lassismo morale nei confronti di peccati gravi quali l'adulterio e l'omicidio. Ippolito continuò la sua opposizione alla Chiesa di Roma come antipapa anche durante i pontificati dei due successori di Callisto: Urbano I e Ponziano. Probabilmente, proprio sotto il pontificato di Ponziano il santo scrisse il "Philosophumena".
In seguito, i capi delle due chiese vennero esiliati da Massimino il Trace in Sardegna. Secondo la tradizione cattolica lo scisma rientrò nel momento in cui Ippolito incontrò Ponziano (secondo successore di Callisto) sull'isola. Essi, riconciliatisi invitarono i rispettivi seguaci a fare altrettanto. Intorno al 235 la morte li colse entrambi nell'isola e nel 236 o 237 le salme dei due martiri raggiunsero Roma.
Il suo corpo fu poi tumulato nell'omonima catacomba,[14] sulla sinistra della Via Tiburtina. Secondo le testimonianze dell'epoca, Ippolito venne sepolto il 13 agosto 236 (o di un anno successivo) e sul luogo della sua sepoltura sarebbe stata eretta la statua ritrovata nel 1553 e attualmente conservata nell'atrio della Biblioteca Apostolica Vaticana.
Cesare Baronio, nell'edizione del Martirologio Romano del 1586, fissa per Sant'Ippolito di Roma la data del 13 agosto.
Cristologia
Sotto papa Zefirino (198-217) entrò in contrasto con il pontefice su alcune sue opinioni cristologiche: Ippolito avversava la posizione di Teodoto di Bisanzio e degli Alogi; similmente si oppose a Noeto di Smirne, Epigono, Cleomene e Sabellio, i quali insistevano sulla unità di Dio (Monarchiani) e che ritenevano il Padre e il Figlio mere manifestazioni (modi) della Natura Divina (Moralismo, Sabellianesimo).
Per il santo, al contrario, Padre e Figlio erano due persone distinte e separate e il Figlio era subordinato al Padre. Dato che l'eresia modalista non era apparsa inizialmente chiara, Zefirino non prese posizione contro di essa e Ippolito lo censurò fortemente, rappresentandolo come un uomo debole, indegno di guidare la Chiesa e strumento nelle mani dell'ambizioso e intrigante diacono Callisto[15].
Indistinzione tra il Padre e il Figlio
Secondo l'interpretazione di S. Mouraviev (che, rispetto al Wendland, legge diversamente il frammento sostituendo al posto di lógos il termine dógma, e, al posto di eînai, eidénai):
« | Heraclite dit donc: "Que Dieu est entièrement divisible indivisible, nascible non nascible, mortel immortel" - Verbe Éternité, Père Fils, - "il est juste en écoutant non pas moi, mais le Dogma, de le reconnaître." "Il est sage de savoir que Toutes choses (i.e. toutes les qualités contraires) sont Un (Dieu)", dit Héraclite[16] » |
Ossia nell'unità si compongono i contrari (mere manifestazioni del tutto), nell'unità si realizza l'armonia dei diversi.
Quindi, nell'opinione di Ippolito, l'eresia dell'indistinzione o identificazione di Padre e Figlio, Dio e Logos, Creatore e creatura si trova già negli scritti di Eraclito.
Ippolito e la filosofia greca
Ippolito fu uno dei maggiori conservatori e tramandatori dei frammenti di Eraclito, che ci sono giunti proprio grazie ai suoi scritti. L'intento di Ippolito era quello di dimostrare come le eresie derivassero dal pensiero filosofico classico.
Opere
Ippolito fu il più importante teologo e il più prolifico scrittore cristiano dell'era precostantiniana. Nonostante ciò il destino della sua copiosa produzione è stato sfortunato. La maggior parte dei suoi scritti sono andati perduti o ci sono giunti solo attraverso dei frammenti, mentre altri sono arrivati fino a noi solo nelle traduzioni in lingue orientali e slave. Ciò fu dovuto al fatto che il santo scriveva in greco e quando il greco non venne più compreso a Roma, i romani persero interesse in questo autore, mentre a oriente la gente ancora lo comprendeva e divenne un autore molto famoso.
I suoi trattati esegetici furono numerosi: scrisse commentari su molti libri del vecchio e del nuovo testamento, molti dei quali esistono solo in frammento. Tuttavia, il trattato sul Cantico dei Cantici ci è probabilmente giunto nella sua interezza ("Werke des Hippolytus", edizione Bonwetsch, 1897, pagina 343 e seguenti), parimenti a quello sul Libro di Daniele in quattro volumi (ibidem, pagina 2 e seguenti). Di altre otto delle sue opere, che trattano soggetti dogmatici e apologetici, si conosce solo il titolo, mentre un'altra ci è giunta per intero in lingua greca: si tratta del "De Anticristo".
Delle sue polemiche contro gli eretici, l'opera più importante è il "Philosophumena", il cui titolo originale è "kata pason aireseon elegchos" ("Refutatio omnium haeresium"). Dell'opera, pubblicata nel 1851, sono noti il primo libro e dal quarto al decimo, mentre mancano i primi capitoli del quarto e completamente il secondo e il terzo. I primi quattro libri trattano dei filosofi ellenici, mentre i libri dal quinto al nono espongono e confutano le eresie cristiane. L'ultimo libro ricapitola quanto esposto nei precedenti. L'opera è una delle più importanti fonti per la storia delle eresie che hanno affetto i primi secoli della Chiesa. Ippolito avversava il pensiero filosofico greco, accusava gli eretici e i pagani di essere legati alla speculazione filosofica della classicità e perciò di essere legati a una speculazione che ignora il messaggio di Cristo (anche se in alcuni casi, ingannevoli, pare anticiparlo).
Un trattato più breve contro le eresie ("Syntagma"), scritto da Ippolito in una data anteriore, può essere ricavato da adattamenti successivi (Libellus adversus omnes haereses; Epiphanius, "Panarion"; Philastrius, "De haeresibus"). Scrisse anche un terzo trattato antieretico intitolato il "Piccolo Labirinto". Accanto a queste opere, il santo scrisse anche delle monografie contro Marcione, i Montanisti, gli Alogi e Caio. Di questi scritti esistono solo pochi frammenti. San Girolamo, inoltre, cita un suo lavoro sulle leggi della Chiesa.
A lui sono attribuiti anche tre trattati sul diritto canonico: le "Constitutiones per Hippolytum", la Costituzione della Chiesa Egiziana, in Copto, e i "Canones Hippolyti". Di queste opere le prime due sono senza dubbio apocrife e la terza probabilmente risale al V o al VI secolo.
Le edizioni critiche delle opere di Ippolito si possono trovare in:
- "S. Hippolyti episcopi et mart. opera" (2 vols., Hamburg, 1716-18) a cura di Fabricius
- "Bibliotheca veterum patrum", II, 1766 a cura di Gallandi
- "Hippolytus" I, pts. I and II (Leipzig, 1897) a cura di Bonwetsch e Achelis
- "Die gr. chr. Schriftsteller", lavori a cura dell'Accademia Berlinese
- "Philosophumena" (Oxford, 1851) a cura di Miller
- "Canones Hippolyti" (Munich, 1870) a cura di Haneberg
- "Die altesten Quellen des orientalischen Kirchenrechts:, I, in "Texte und Untersuchungen", VI (Leipzig, 1891), 4 a cura di Achelis
Contro Callisto
« | L'eresia di costoro la rafforzava Callisto, la cui vita abbiamo esposto dettagliatamente. Costui inventò un'eresia: prendendo le mosse da questi [i Noeziani] anche lui riconosce che esiste un solo Padre e Dio, il Creatore dell'universo; egli è in realtà colui che è nominato e designato col nome di Figlio, ma nella sostanza uno solo è lo Spirito indivisibile. In quanto Spirito, disse, Dio non è altro dal Verbo e il Verbo non è altro da Dio. Si tratta dunque di un'unica persona divisa nel nome, ma non nella sostanza. Ed è dunque in questo Verbo, ch'egli chiama Dio Uno, ch'egli dice che si è incarnato. E vuole che il visibile e impotente in carne e ossa sia il Figlio e lo Spirito che l'abita, il Padre, inciampando ora nella dottrina di Noeto, ora in quella di Teodoto, ma senza essere convinto sostenitore di nessuna». » | |
(Hippolytus (1977, 283-284))
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« | e così come aveva abbandonato la sua prima fede, inventò quest'altra eresia, affermando che il Verbo è lui stesso Figlio e anche Padre, chiamato appunto anche con un tale nome, ma in realtà Uno: lo Spirito indivisibile; poiché il Padre non è una cosa, il Figlio un'altra, ma sono uno e lo stesso e tutte le cose sono compiute dallo Spirito divino, sia quelle inferiori che quelle superiori e lo Spirito che si è incarnato nella Vergine non differisce dal Padre, ma sono uno e il medesimo. Ed è questo che è stato detto [dalle Scritture]: "Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?" Ciò che si vede, cioè l'uomo, questo è il Figlio, ma lo Spirito contenuto nel Figlio, questo è il Padre. "Non riconoscerò infatti due dei - disse - ma uno solo". Il Padre, infatti, nato da sé stesso, essendosi incarnato, ha divinizzato la carne unendola a sé stesso e ha costituito con essa una cosa sola, di modo che è un solo Dio che si chiama Padre e Figlio e questa persona, essendo una, non può essere due e così il Padre ha sofferto la passione con il Figlio » | |
(Hippolytus (1977, 248-249))
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I Celti
« | I Druidi dei Celti hanno studiato assiduamente la filosofia pitagorica... E i Celti ripongono fiducia nei loro Druidi come veggenti e come profeti poiché costoro possono predire certi avvenimenti grazie al calcolo e all'aritmetica dei Pitagorici. Non tralasceremo la loro dottrina, dal momento che certuni hanno creduto di poter ravvisare diverse scuole filosofiche presso costoro[17] » |
Note | |
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Bibliografia | |
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Voci correlate | |
Collegamenti esterni | |
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