Abramo
Abramo Personaggio dell'Antico Testamento | |
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Caravaggio, Sacrificio di Isacco (1594 - 1596), olio su tela; Firenze, Galleria degli Uffizi | |
Nascita | XX secolo a.C. ? |
Morte | XIX secolo a.C. ? |
Venerato da | Chiesa cattolica e da tutte le altre Chiese che ammettono il culto dei santi, Ebraismo, Islam |
Ricorrenza | 9 ottobre |
Santuario principale | Cupola della Roccia, Gerusalemme |
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Scheda su santiebeati.it |
Nel Martirologio Romano, 9 ottobre, n. 3:
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Abramo (in ebraico: אַבְרָהָם, Avraham, "Padre di molti/dei popoli"; XX secolo a.C.?; † XIX secolo a.C.?) è un personaggio dell'Antico Testamento, patriarca ebreo. Il primo dell'Antico Testamento, padre di tutti i credenti. La sua storia è narrata in Genesi 12-25 . Il suo nome originale era Abram (אַבְרָם, Gen 17,5 ), poi cambiato da Dio in Abraham (אברהם, Gen 17,5 )[1], comunemente italianizzato in Abramo. Il suo influsso copre tutto il Nuovo Testamento, ed è una figura fondamentale dell'ebraismo, del cristianesimo e dell'Islam.
Tratti biografici
All'interno del racconto biblico si trova il significativo momento in cui Dio gli cambia il nome (17,5).
La vocazione e l'uscita dalla sua terra
La famiglia di Abram. La prima migrazione di Abram, da Ur dei Caldei a Carran (11,26-32).
La vocazione di Abram: Dio gli parla la prima volta. Abram ha 75 anni, è un uomo ormai maturo, ma ancora in pieno vigore (12,1-3).
Seconda migrazione di Abram, per ubbidire a Dio: da Carran a Canaan (12,4-6).
In Canaan, Dio gli appare e gli parla la seconda volta (12,7-8).
Terza migrazione, a causa della fame, verso sud, al deserto del Negheb e poi in Egitto. Difficoltà con il faraone a motivo di Sarai, sua sposa, che era anche sua "sorella" o comunque parente sua (12,9-20).
Nella montagna di Canaan
Ritorno alla terra di Canaan. Difficoltà di convivenza tra Abram e Lot e loro separazione: Lot sceglie la vallata del Giordano e le città della Pentapoli, mentre Abram si ferma in alto, sulle montagne di Canaan, ad ovest (13,1-13).
Dio parla ad Abram per la terza volta (13,14-18).
Invasione dei re dell'oriente contro le città della Pentapoli. Ottenute alcune vittorie, mettono a segno quella decisiva e poi si ritirano, portando via un grande bottino e tanti prigionieri, tra i quali Lot e la sua famiglia (14,1-12).
Abram insegue e sconfigge gli invasori, libera Lot e ricupera tutto il bottino (14,13-17).
Abram incontra Melchisedec, Sacerdote e Re[2] (14,18-24).
Dio parla in visione ad Abram per la quarta volta: gli promette un figlio: egli e non un servo, sarà suo erede. Quindi gli promette un'innumerevole discendenza e gli rivela la futura sorte di questo popolo. La promessa di Dio viene sancita con un sacrificio (15,1-21).
Ismaele
Essendo Sarai sterile, a petizione sua Abram si unisce alla schiava Agar, dalla quale nasce Ismaele, figlio di Abram secondo la carne[3]; Abram ha 86 anni (16,1-16).
Il cambio del nome
Dio appare la quinta volta ad Abram, che ha 99 anni. Gli cambia il nome di Abram ("Padre eccelso") in quello di Abramo ("Padre di moltitudini") e gli ribadisce le sue promesse: il possesso perpetuo di una terra e una discendenza innumerevole, legata a Dio con un futuro patto, così come al presente Dio si lega gratuitamente con Abramo (17,1-8). Segno e garanzia di questo patto o alleanza con Dio è la circoncisione (17,9-14).
Anche a Sarai Dio cambia il nome in Sara ("Principessa", "Stirpe reale") e promette ad Abramo che sarà proprio lei, la sua sposa, a dargli un figlio, che egli chiamerà Isacco: con lui Dio manterrà la promessa di un'alleanza eterna (17,15-27).
Isacco
Dio appare per la sesta volta ad Abramo, in figura di tre uomini[4] (18,1-8). Attraverso i misteriosi ospiti Dio rinnova ad Abramo la promessa di dargli un figlio, che nascerà da Sara nel giro di un anno; Sara se ne ride (18,9-15).
Dio fa conoscere ad Abramo la sua intenzione di distruggere le città colpevoli, ed Abramo intercede chiedendo di non distruggerle nel caso vi trovasse cinquanta giusti; Abramo si azzarda a scendere nel numero dei giusti che Dio potrebbe trovare e giunge al numero di dieci. Due delle Tre Persone proseguono, mentre Abramo rimane alla presenza del Signore. Nel capitolo seguente le due Persone inviate sono chiamate "angeli" (18,16-33).
Distruzione di Sodoma. Incesto delle figlie di Lot con il padre (19).
Abramo dimora per un breve periodo in Gerar. Di nuovo Sara è presa dal re del posto, Abimelec, per sposarla, credendola soltanto sorella di Abramo (cfr. 12,9-20) (20,1-18).
Nascita di Isacco, il figlio legittimo, l'erede promesso e depositario della promessa divina. Abramo ha cent'anni. Isacco è figlio non del vigore naturale di Abramo, ma della sua fede (21,1-8).
Espulsione della schiava Agar e di suo figlio Ismaele, che molestava il piccolo Isacco; Dio soccorre Agar[5] (21,9-21).
Abimelec, vedendo che Abramo è benedetto da Dio, fa alleanza con lui (21,22-34).
Il sacrificio di Isacco
Dio parla ad Abramo la settima volta e gli chiede di sacrificare suo figlio. Fede e obbedienza perfetta di Abramo, la cui mano viene fermata da Dio appena prima che uccida il figlio. Dio si compiace di Abramo[6] (22,1-14).
L'Angelo di Dio parla ancora ad Abramo (è l'ottava volta) e gli comunica il giuramento di Dio: dopo la prova, gli conferma tutte le benedizioni e le promesse fatte: moltiplicare la sua discendenza come le stelle del cielo e come la sabbia del mare, dando loro la Vittoria e il Regno e benedire tutte le nazioni della terra "nella sua Discendenza"[7] (22,15-19).
Notizie sui discendenti di Nacor, fratello di Abramo (22,20-24).
Morte e sepoltura di Sara, all'età di 127 anni (23,1-20).
La sposa per Isacco
Abramo, che ha 140 anni, invia il suo servo alla sua terra e tra la sua famiglia, alla casa paterna, per trovare una sposa per suo figlio Isacco (24,1-9).
Il servo va in Mesopotamia, alla città di Nacor, dove trova in modo provvidenziale la giovane Rebecca, parente di Abramo. Parla alla famiglia, la quale accetta di farla partire per divenire sposa di Isacco (24,10-53). Il servo ritorna con la giovane; matrimonio di Isacco e Rebecca (24,54-67).
Ultimi anni della vita di Abramo. Ha seconda sposa, di nome Keturà, che gli dà altri figli; ma separa costoro da Isacco, inviandoli verso oriente. Abramo muore all'età di 175 anni (25,1-11).
Profilo teologico
Il racconto biblico dell'esistenza di Abramo non è una semplice cronaca, ma un racconto religioso frutto della confluenza di tre tradizioni, ognuna con una sua prospettiva peculiare:
- la tradizione jahvista, che insiste sulle benedizioni e sulle promesse di YHWH;
- la tradizione elohista, che rimarca la fede a tutta prova del patriarca;
- la tradizione sacerdotale, il cui punto focale è sull'alleanza e sulla circoncisione.
La figura di Abramo appare così come quella di un uomo che Dio ha anzitutto attirato a sé, poi ha provato e infine ha fatto, contro ogni aspettativa, il padre di un popolo innumerevole[8].
Eletto da Dio
La tradizione jahvista pone tutta la vita di Abramo sotto il segno della libera iniziativa di Dio.
Dio interviene per primo; sceglie Abramo in una famiglia che "serviva altri dei" (Gs 24,2 ), lo "fa uscire" dalla città di Ur (Gen 11,31 ) e lo conduce per le sue vie in un paese sconosciuto (Eb 11,8 ).
L'iniziativa di Dio è iniziativa di amore: fin dall'inizio Dio manifesta verso Abramo una generosità senza limiti. Le sue promesse delineano un futuro meraviglioso. L'espressione che ritorna continuamente è "Io darò":
- Dio darà ad Abramo una terra (Gen 12,7; 13,15-17; 15,18; 17,8 );
- lo favorirà, lo renderà estremamente fecondo (12,2; 16,10; 22,17).
Le circostanze in verità sono contrarie a queste prospettive: Abramo è un nomade e Sara non è più in età di avere figli. Ciò fa tanto più risaltare la gratuità delle promesse divine: l'avvenire di Abramo dipende completamente dalla potenza e dalla bontà di Dio.
Abramo riassume così in sé il popolo di Dio, eletto senza alcun merito antecedente. Tutto ciò che gli si chiede è una fede attenta e intrepida, un'accettazione senza reticenze del disegno di Dio.
Le prove
La tradizione elohista narra come la fede di Abramo deve essere purificata e fortificata mediante la prova.
Dio tenta Abramo domandandogli il sacrificio di Isacco, di quel figlio la cui vita è condizione della realizzazione della promessa che di Dio (Gen 22,1-2 ). Abramo "non risparmia il suo figlio, il suo unico" (22,12.16)[9]; ma è Dio che preserva Isacco, prendendosi egli stesso la cura di "provvedere l'agnello per l'olocausto" (22,8.13-14). Così è resa manifesta la profondità del "timore di Dio" in Abramo (Gen 22,12 ).
D'altra parte, Dio rivela nella stessa occasione che il suo disegno non è ordinato alla morte, ma alla vita. "Egli non si rallegra della morte dei viventi" (Sap 1,13 ; cfr. Dt 12,31 ; Ger 7,31 ). Un giorno la morte sarà vinta; il sacrificio di Isacco apparirà allora come una scena profetica del sacrificio di Cristo (Eb 11,19; 2,14-17 ; cfr. Rm 8,32 ).
Padre
L'obbedienza di Abramo porta alla conferma della promessa (Gen 22,16-18 ), di cui egli vede abbozzarsi la realizzazione: "YHWH benedì Abramo in tutto" (Gen 24,1 ). "Nessuno gli fu uguale in gloria" (Sir 44,19 ). Non si tratta di una fortuna individuale: la vocazione di Abramo è di essere padre; la sua gloria è nella sua discendenza.
Secondo la tradizione sacerdotale, il cambiamento di nome ('Abram che diventa 'Abraham) attesta questo orientamento, perché il nuovo nome è interpretato con il significato di "padre di moltitudini" (Gen 17,5 ).
Poiché Dio non gli nascondeva quel che intendeva fare, il patriarca si assume il compito di intercedere per Sodoma e Gomorra (Gen 18,16-33 ); la sua paternità estenderà ancora la sua influenza; la sua irradiazione sarà universale: "Nella tua posterità si diranno benedette tutte le nazioni" (Gen 22,18 ). Meditando su questo oracolo, la tradizione ebraica gli riconoscerà un senso profondo: "Dio gli promise con giuramento di benedire tutte le nazioni nella sua discendenza" (Sir 44,21 ; cfr. Gen 22,18 secondo i LXX). Così come i destini dell'umanità peccatrice sono stati abbozzati in Adamo, così quelli dell'umanità salvata lo sono in Abramo il credente.
La discendenza di Abramo
La figura di Abramo ha una fecondità spirituale che abbraccia tutto l'Antico Testamento e poi soprattutto il Nuovo, in riferimento a Gesù Cristo, "figlio di Abramo" (Mt 1,1 ).
Abramo, segno della fedeltà di Dio
Le promesse fatte da Dio ad Abramo mirano anche alla sua posterità (Gen 13,15; 17,7-8 ), ma non nella dimensione della carne, quanto nella maniera in cui le specifica la predilezione divina: non con Ismaele stabilirà Dio la sua alleanza, ma con Isacco (17,15-22); non con Esaù, ma con Giacobbe (27; cfr. Rm 9 ). Con essi Dio rinnova loro le proprie promesse (Gen 26,3-5; 28,13-14 ), ed essi le trasmettono come una eredità (Gen 28,4; 48,15-16; 50,24 ).
Quando i discendenti di Abramo sono oppressi in Egitto, Dio porge l'orecchio ai loro gemiti, perché "si ricorda della sua alleanza con Abramo, Isacco e Giacobbe" (Es 2,23-25 ; cfr. Dt 1,8 ). "Ricordandosi della sua parola santa verso Abramo suo servo, fece uscire il suo popolo con esultanza" (Sal 105,42-43 ). Più tardi, egli consola gli esiliati chiamandoli "stirpe di Abramo mio amico" (Is 41,8 ).
Nei tempi pericolosi, quando l'esistenza stessa di Israele è minacciata, i profeti gli ridanno fiducia ricordando la vocazione di Abramo: "Guardate la rupe da cui siete stati tagliati, la gola del pozzo da cui siete stati estratti. Guardate Abramo vostro padre..." (Is 51,1-2 ; cfr. Is 29,22 ; Nee 9,7-8 ). E per ottenere i favori di Dio, la preghiera migliore consiste nell'appellarsi ad Abramo: "Ricordati di Abramo..." (Es 32,13 ; Dt 9,27 ; 1Re 18,36 ); "accorda... ad Abramo la tua grazia" (Mi 7,20 ).
Coloro che sono figli di Abramo solo secondo la carne
Ma c'è un modo sconveniente di appellarsi al patriarca. Non basta essere nati fisicamente da lui per essere suoi veri eredi; occorre ancora ricollegarsi a lui spiritualmente. È falsa fiducia quella che non è congiunta ad una docilità profonda verso Dio. Già Ezechiele lo dice ai suoi contemporanei (33,24-29).
Annunciando il giudizio di Dio, Giovanni Battista insorge poi con più vigore contro la stessa illusione: "Non crediate di poter dire dentro di voi: abbiamo Abramo per padre. Poiché io vi dico che Dio può da queste pietre far sorgere figli ad Abramo" (Mt 3,9 ).
Il ricco della parabola grida "padre Abramo", ma non ottiene nulla dal suo antenato: per colpa sua un abisso si è scavato fra loro (Lc 16,24-26 ).
Il quarto vangelo offre la stessa constatazione: smascherando i progetti omicidi dei Giudei, Gesù rinfaccia loro che la qualità di figli di Abramo non ha loro impedito di diventare di fatto i figli del demonio (Gv 8,37-44 ). La filiazione carnale non è nulla senza la fedeltà a Dio.
Le opere e la fede
Affinché la fedeltà a Dio sia autentica, dev'essere evitata un'altra deviazione. Nel corso delle età la tradizione ha celebrato i meriti di Abramo, la sua obbedienza (Nee 9,8 ; Sir 44,20 ), il suo eroismo (1Mac 2,52 ; Sap 10,5-6 ); continuando in questa direzione talune correnti del giudaismo finirono per esagerare questo aspetto: ponevano tutta la loro fiducia nelle opere umane, nella perfetta osservanza della legge e giungevano a dimenticare che l'essenziale consiste nel confidare in Dio.
Già combattuta nella parabola del fariseo e del pubblicano (Lc 18,9-14 ), questa pretesa orgogliosa viene completamente smantellata da Paolo, il quale si fonda su Gen 15,6 : "Abramo credette in Dio che glielo attribuì come giustizia", per dimostrare che la fede e non le opere, costituisce il fondamento della salvezza (Gal 3,6 ; Rm 4,3 ). L'uomo non ha di che gloriarsi, perché tutto gli viene da Dio "a titolo gratuito" (Rm 3,27; 4,1-4 ). Nessuna opera precede il favore di Dio, tutte ne sono il frutto. Però questo frutto non deve mancare (Gal 5,6 ; cfr. 1Cor 15,10 ), come non è mancato nella vita di Abramo; è quel che fa notare Giacomo a proposito dello stesso testo (2,20-24; cfr. Eb 11,8-19 ).
Cristo, figlio di Abramo
La vera posterità di Abramo è Gesù Cristo, il "figlio di Abramo" (Mt 1,1 ) che è tuttavia più grande di Abramo (Gv 8,53 ) perché può dire: "Prima che Abramo fosse, Io Sono" (8,58). Tra i discendenti del patriarca egli è pure il solo a cui spetti pienamente l'eredità della promessa; è la discendenza per eccellenza (Gal 3,16 ). Verso la venuta di Gesù era teso Abramo fin dalla sua vocazione e la sua gioia fu di scorgere quel giorno attraverso le benedizioni della sua propria esistenza (Gv 8,56 ; cfr. Lc 1,54-55.73 ).
Lungi dall'essere una restrizione, questa concentrazione della promessa su un discendente unico è la condizione del vero universalismo, a sua volta definito secondo il disegno di Dio (Gal 4,21-31 ; Rm 9-11 ). Tutti coloro che credono in Cristo, circoncisi od incirconcisi, israeliti o gentili, possono partecipare alle benedizioni di Abramo (Gal 3,14 ). La loro fede fa di essi la discendenza spirituale di colui che ha creduto ed è ormai "il padre di tutti i credenti" (Rm 4,11-12 ). "Voi tutti siete un essere in Cristo Gesù. Ora se appartenete a Cristo, siete discendenza di Abramo e quindi eredi secondo la promessa" (Gal 3,28-29 ).
Questo è il coronamento della rivelazione biblica, portata a termine dallo Spirito di Dio. È pure l'ultima parola sulla "grande ricompensa" (Gen 15,1 ), annunziata al grande patriarca: la sua paternità si estende a tutti gli eletti del cielo. La patria definitiva dei credenti è "il seno di Abramo" (Lc 16,22 ).
Approfondimenti storico-critici
Storicità dei racconti su Abramo
La figura di Abramo non trova riscontro in alcuna altra testimonianza antica indipendente dalla Genesi.
L'esegesi biblica ha confrontato i dati biblici con le conoscenze sugli antichi popoli orientali, in particolare con le conoscenze derivate dall'archeologia e ha evidenziato la sostanziale congruenza del comportamento di Abramo con gli usi e costumi degli Hurriti, antica popolazione mesopotamica.
Ciò porta ad affermare il carattere sostanzialmente storico del personaggio e fa supporre che possa essere vissuto tra il XX e il XIX secolo a.C..
A livello meno macroscopico, i testi suscitano molti interrogativi, a cui la critica storica ha cercato di dare risposte.
L'ambiente geografico
L'analisi approfondita degli elementi genealogici riguardanti Abramo (Gen 11,10-32; 22,20-24; 25,1-4.13-16; 36,10-14 ) si rivela non facile, ed è resa più difficile dal fatto che alcuni patriarchi hanno più mogli. Appare tuttavia un dato certo: tutte le persone nominate in quelle liste sono sottomembri del gruppo di Sem, ampiamente descritto in Gen 11,10-32 . I più diretti progenitori di Abramo, Serug, Nacor e Terach, rimandano a un determinato ambiente geografico, quello della Mesopotamia nord-occidentale e più precisamente quello attorno alla città di Carran, nel territorio dell'alto Balich[10]; allo stesso ambiente rimanda anche la lista dei figli di Nacor (Gen 22,20-24 ).
Invece le liste di Gen 25,1-4.13-16 rimandano alla Palestina meridionale e all'Arabia nord-occidentale.
Uno dei sei figli di Keturà, Midian, porta il nome di una popolazione di nomadi cammellieri che girovagavano per quasi tutta l'ampiezza del territorio del golfo di Acaba; tra i successivi discendenti dei figli di Keturà sono contati anche i Sabei, che vivevano lungo la costa del Mar Rosso e, più a nord, i Dedaniti (cfr. Is 21,13 ; Ez 27,20 ).
Nel sud vivevano anche i dodici figli di Ismaele, figli di Abramo (Gen 25,13-16 ), di cui si specifica che vivevano "difronte all'Egitto"[11].
Da tutto questo risulta che i discendenti di Abramo devono aver occupato uno spazio molto ampio, i cui punti principali sono da cercarsi nella Mesopotamia superiore e nell'Arabia meridionale. I dati delle genealogie sarebbero da prendere sul serio dal punto di vista storico[12]. In mezzo a queste popolazioni si trovano quegli elementi da cui un giorno doveva formarsi "Israele".
La lista di Gen 36,10-14 riconduce invece direttamente in Palestina.
Si può riassumere:
« | Terah, dell'alta Mesopotamia ha tre figli, Abramo, Nacor e Haran. Nacor ha dodici figli, che abitano il territorio nord siriaco dell'alta Mesopotamia. Abramo dall'unione con Agar ha il figlio Ismaele, i cui dodici figli abitano nel sud e nella parte sud-occidentale della penisola arabica, mentre il territorio confinante nord-occidentale è occupato dai sei figli che Abramo ebbe da Ketura. » | |
(Sigfried Herrmann, 1977, p. 72)
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Il nome di Abramo
L'orientalista Mario Liverani ha proposto di vedere nel nome Abramo l'eponimo mitico di una tribù palestinese del XIII secolo a.C., quella dei Raham, di cui si è trovata menzione nella stele di Seti I trovata a Bet-She'an e risalente all'incirca al 1289 a.C.[13]. La tribù abitava probabilmente nella zona circostante o vicina a Bet-She'an, in Galilea: la stele infatti si riferisce a lotte avvenute nella zona.
Le tribù semitiche seminomadi e pastorali dell'epoca usavano anteporre al proprio nome il termine banū ("figli di"), per cui si ipotizza che i Raham chiamassero loro stessi Banu Raham. Inoltre, molte di esse interpretavano i legami di sangue tra i membri della tribù come una discendenza comune da un antenato eponimo (cioè che ha dato il nome alla tribù), anziché come risultato di legami intra-tribali. Il nome di questo mitico antenato eponimo veniva costruito con il prefisso Abū ("padre") seguito dal nome della tribù; nel caso dei Raham, sarebbe stato Abu Raham, poi divenuto Ab-raham, Abramo.
Il Viaggio di Abramo da Ur a Harran si spiegherebbe come un riflesso retrospettivo della vicenda del ritorno degli ebrei dall'esilio di Babilonia. L'arrivo di Abramo in Palestina e le vicende della sua integrazione tra la popolazione locale dovevano servire da modello per un'integrazione pacifica dei reduci dall'esilio tra le popolazioni della Palestina a loro contemporanea.
Nella letteratura
La figura di Abramo è ricordata in diverse opere letterarie. Dante lo cita nel IV canto dell'Inferno (v. 58), tra i patriarchi che lasciarono il limbo quando Cristo scese agli inferi per liberare le anime dei giusti dell'Antico Testamento.
Abramo compare anche nell'Inno ai patriarchi, ottavo tra i Canti di Giacomo Leopardi. In particolare, viene ricordato l'episodio biblico (Genesi 18,1-2 ) in cui Dio appare ad Abramo presso le Querce di Mamre:
« | Or te, padre de' pii, te giusto e forte, E di tuo seme i generosi alunni Medita il petto mio. Dirò siccome Sedente, oscuro, in sul meriggio all'ombre Del riposato albergo, appo le molli Rive del gregge tuo nutrici e sedi, te de' celesti peregrini occulte beàr l'eteree menti » | |
(vv. 71-78)
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Note | |
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Bibliografia | |
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Voci correlate | |
Collegamenti esterni | |
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