Concilio di Roma (896)
Roma (Romanum) | |
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Jean Paul Laurens, Sinodo del cadavere (1870), olio su tela; Nantes (Francia), Musée des Beaux-Arts | |
Concili non ecumenici della Chiesa cattolica | |
Località | Roma |
Data | 896 |
Presieduto da | |
Argomenti | Riesumazione |
Il Concilio di Roma (Concilium Romanum), detto anche Sinodo del cadavere, è un sinodo locale che si è tenuto a Roma nel 896, più conosciuto come "Sinodo del cadavere", presieduto da Papa Stefano VI.
Il concilio ha processato e condannato, dieci mesi dopo la sua morte, il precedente Papa Formoso. Il processo, con il conseguente strazio del cadavere, suscitò una rivolta popolare in tutta Roma. La rivolta si concluse con la cattura di Stefano che venne imprigionato a Castel Sant'Angelo, e ucciso per strangolamento nell'estate dello stesso anno.
Quadro storico
Il periodo storico nel quale si colloca il Sinodo fu caratterizzato da varie importanti situazioni:
- a Costantinopoli era stato espulso il patriarca Fozio, e ne aveva preso il posto il vescovo Stefano I, figlio dell'Imperatore Basilio I;
- nello stesso periodo ci fu una discussione tra gli arcivescovi di Colonia e Amburgo a motivo del vescovato di Brema;
- vi fu anche la contesa per la Corona francese tra Oddone, conte di Parigi e Carlo il Semplice, e in tale conflitto il papa si schierò con Carlo.
La lotta tra il Ducato di Spoleto e il re di Germania
Formoso, eletto papa, fu costretto neppure un anno dopo, nell'aprile 892, ad incoronare Lamberto di Spoleto, figlio del duca Guido II di Spoleto, imperatore del Sacro Romano Impero.
Formoso persuase Arnolfo di Carinzia ad avanzare su Roma e a liberare l'Italia. Figlio naturale di re Carlomanno, Arnolfo di Carinzia fu eletto re di Germania nell'887, dopo aver capeggiato una ribellione contro lo zio Carlo il Grosso, sovrano dei Franchi Orientali. Si distinse nell'891, per la vittoria riportata a Lovanio sui Normanni, e nei successivi scontri contro gli Ungari e i Moravi. Con il tramonto dell'era carolingia a seguito dell'uscita di scena di Carlo il Grosso, Arnolfo diventò il monarca più potente nei territori del grande impero in disfacimento, conquistando alcune regioni che appartenevano ai Franchi Occidentali. In Italia sottomise Berengario del Friuli ed entrò in rotta di collisione con il ducato di Spoleto. Dopo l'investitura imperiale di Guido II nell'891, Arnolfo maturò la decisione di scendere in Italia con un esercito. Nell'894 Arnolfo soggiogò tutta la parte a nord del Po. Guido morì nel dicembre, lasciando il figlio Lamberto a prendersi cura della madre Ageltrude, avversaria, quest'ultima, dei Carolingi. Nell'autunno dell'895 Arnolfo intraprese la sua seconda campagna italiana, e nell'896 venne incoronato dal papa a Roma. Il nuovo imperatore si mosse contro Spoleto, ma venne colpito da una paralisi mentre era in marcia e non fu più in grado di continuare la campagna; si ritirò nei propri domini, restando paralizzato a vita.
Il processo al cadavere di Formoso
A Formoso successe per soli quindici giorni papa Bonifacio VI. Papa Stefano VI, successore di Bonifacio, influenzato da Lamberto ed Ageltrude, processò Formoso nell'897. Il cadavere di Formoso venne riesumato, rivestito dei paramenti pontifici e collocato su un trono per rispondere a tutte le accuse che erano state avanzate da Giovanni VIII. Il verdetto stabilì che il deceduto era stato indegno del pontificato. Il defunto papa fu accusato di ambizione smodata per l'ufficio di pontefice, e tutti i suoi atti e le sue misure vennero annullati; anche gli Ordini Sacri da lui conferiti vennero dichiarati non validi. Le vesti papali gli vennero strappate di dosso, le tre dita della mano destra, usate per le benedizioni, gli vennero tagliate, e il cadavere fu infine gettato nel Tevere.
I sette capi d'accusa
Nel Sinodo del cadavere furono ben sette i capi d'accusa nei confronti del defunto papa Formoso:
- l'aver ambito al trono papale, fin dall'elezione di Giovanni VIII, sebbene non fosse consentito per un vescovo di una diocesi diversa da Roma;
- l'essere fuggito nell'876, sentendosi probabilmente colpevole di qualche reato;
- l'aver saccheggiato un monastero insieme agli esponenti del partito filotedesco nel giorno della sua fuga;
- l'aver celebrato funzioni religiose nonostante fosse stato sospeso a divinis;
- l'aver cambiato sede episcopale, da Porto a Roma, commettendo una sorta di "adulterio";
- l'aver costretto lo zar Boris di Bulgaria[1] a richiedere solo lui e nessun altro come primate della Chiesa bulgara;
- l'aver tradito il giuramento pronunciato davanti a Giovanni VIII, giuramento con il quale si era impegnato a non tornare più a Roma.
La damnatio memoriae
Formoso fu condannato alla damnatio memoriae ("condanna della memoria"): ciò fece sì che si eliminassero tutte le immagini in cui appariva il volto di papa Formoso. Solo in un affresco commissionato quando Formoso era ancora vescovo di Porto, che raffigurava il futuro papa con lo zar Boris di Bulgaria accanto a Gesù Cristo, i santi Pietro e Paolo, Ippolito e Lorenzo, il volto del pontefice, abraso, non era stato distrutto totalmente. Questo affresco si trovava in un piccolo oratorio dedicato a San Lorenzo, addossato alle sostruzioni del tempio di Claudio sul Monte Celio, a Roma. In questo oratorio, oggi distrutto, venne rinvenuto l'affresco da un archeologo del Seicento, Giovanni Giustino Ciampini nel settembre del 1689.[2] Egli in base alla sagoma che ancora si intravedeva, ne fece alcune riproduzioni; lo stesso fecero altri due pittori. Questo dipinto era prezioso per la storia delle relazioni di papa Formoso con lo zar dei Bulgari.
Il seguito e la riabilitazione di Formoso
Il cadavere percorse, in tre giorni, venti miglia, trascinato dalla corrente del fiume, fino a arenarsi su una sponda presso Ostia, ove un monaco - si dice indirizzato lì da una visione del defunto pontefice[3] - lo riconobbe per quello di Formoso; il cadavere fu tenuto nascosto dai suoi fedeli finché fu vivo papa Stefano; dopo la morte di quest'ultimo e la deposizione del successore Romano, il corpo nascosto venne inumato, per la seconda volta, nella Basilica di San Pietro; a prendere tale decisione fu Papa Teodoro II, che lo pose in seguito tra le tombe degli apostoli con una pomposa cerimonia. Ulteriori processi contro persone decedute vennero vietati.
In seguito papa Sergio III (904-911) riapprovò le decisioni contro Formoso, chiedendo nuovamente la consacrazione dei Vescovi ordinati da Formoso. Poiché però nel corso della loro attività essi avevano conferito l'ordine a molti altri ecclesiastici, ciò causò una grande confusione. Successivamente la validità dell'operato di Formoso venne pienamente ripristinata.
Note | |
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Fonti | |
Bibliografia | |
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Voci correlate | |