Papa Liberio
Liberio Papa | |
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Bartolomé Esteban Murillo , Papa Liberio (part. da Il patrizio Giovanni narra la visione della Madonna a papa Liberio), 1664-1665, olio su tela; Madrid (Spagna), Museo Nazionale del Prado | |
Nascita | Roma |
Morte | Roma 24 settembre 366 |
Sepoltura | Roma, Catacomba di Priscilla |
Informazioni sul papato | |
36° vescovo di Roma | |
Elezione al pontificato |
17 maggio 352 |
Fine del pontificato |
24 settembre 366 (per decesso) |
Durata del pontificato |
14 anni, 4 mesi e 7 giorni |
Predecessore | Papa Giulio I |
Successore | Papa Damaso I |
Extra | Papa Liberio Anni di pontificato |
Cardinali | creazioni |
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Liberio (Roma; † Roma, 24 settembre 366) è stato il 36° vescovo di Roma e papa italiano dal 17 maggio 352 alla sua morte e fu il primo papa a non essere proclamato santo.
Biografia
I primi anni di pontificato
Papa Giulio I morì il 12 aprile 352 e, secondo il Catalogo Liberiano, il suo successore, Papa Liberio, fu consacrato il 22 maggio. Poiché, però, il 22 maggio non era una domenica, è molto più probabile che Liberio fosse consacrato il 17. Della sua vita prima dell'incoronazione non si conosce nulla, salvo che era un diacono romano.
Dopo la morte di Costante I, avvenuta nel gennaio del 350, Costanzo II divenne imperatore e tentò di unificare i cristiani con una formula di compromesso tra ariani e cristiani chiamata semiarianesimo. Liberio, però, come il suo predecessore Giulio, approvava l'assoluzione di Atanasio proclamata dal Concilio di Sardica, fondando la sua ortodossia sulle decisioni del Concilio di Nicea.
Dopo la sconfitta finale dell'usurpatore Magnenzio e la sua morte nel 353, Liberio, d'accordo con un gran numero di vescovi italiani, inviò dei legati presso l'imperatore in Gallia per implorarlo di riunire un Concilio ad Aquileia, nel quale discutere la questione di Atanasio. Costanzo, nel frattempo, stava esercitando forti pressioni sui vescovi di Gallia affinché condannassero il vescovo di Alessandria, e ne riunì un certo numero ad Arles, dove aveva passato l'inverno. I vescovi di corte, che accompagnavano l'imperatore costantemente, erano i moderatori del concilio. I legati del papa, tra cui Vincenzo da Capua, che era stato uno dei legati papali al Concilio di Nicea, furono costretti dall'imperatore a sottoscrivere contro la propria volontà una condanna del patriarca di Alessandria d'Egitto La sola cosa che riuscirono ad ottenere in cambio fu la promessa che tutti avrebbero condannato l'Arianesimo. Il partito di corte accettò il patto, ma non onorò la sua parte. Liberio, all'arrivo di tali notizie, scrisse ad Osio di Cordova il suo profondo dolore per l'accaduto; lui stesso avrebbe preferito morire, piuttosto che essere accusato di aver accettato ingiustizia ed eterodossia.
Prima di questi eventi, molti vescovi orientali sottoscrissero e fecero recapitare al papa una lettera contro Atanasio. Nel frattempo, Costanzo inviò un emissario molto particolare, Montano, ad Alessandria, dove arrivò il 22 maggio del 353 per informare il patriarca che l'imperatore era disposto a concedergli un'udienza personale; ma Atanasio che non l'aveva mai richiesta fiutò la trappola, e non si mosse dalla sua sede. Lasciò Alessandria solo il febbraio seguente, quando Giorgio, un ariano, fu nominato vescovo al suo posto e si appropriò della sede con la violenza. Ma Atanasio aveva già convocato un concilio di fronte al quale si era difeso, ed alla fine del maggio 353 arrivò a Roma una lettera in suo favore sottoscritta da settantacinque (od ottanta) vescovi egiziani. Costanzo, allora, accusò pubblicamente il papa di non volere la pace e di non tener conto della lettera dei vescovi orientali contro Atanasio. Liberio rispose con una lettera dignitosa e commovente (Obsecro, tranqullissime imperator) in cui dichiarava di aver letto la lettera dei vescovi orientali di fronte ad un concilio riunitosi a Roma (probabilmente un concilio di anniversario, il 17 maggio 353), ma, siccome la lettera arrivata dall'Egitto era sottoscritta da un numero superiore di vescovi, era impossibile condannare Atanasio; ed egli stesso non poteva essere in comunione con gli orientali, poiché alcuni di loro rifiutavano di condannare Ario, ed erano in comunione con Giorgio di Alessandria, che accettava i presbiteri Ariani che Alessandro aveva scomunicato molto tempo prima. Inoltre, si lamentava del Concilio di Arles, ed implorava la convocazione di un altro concilio, attraverso il quale la fede esposta attraverso il Credo Niceno potesse essere rafforzata. Latori della lettera furono Lucifero, vescovo di Calaris), il presbitero Pancrazio, e il diacono Ilario di Poitiers.
Nella primavera del 355 si tenne un concilio a Milano. Eusebio da Vercelli fu convinto dal papa a presenziarlo in suo nome. Questi insistette affinché tutti i presenti iniziassero il concilio sottoscrivendo le delibere nicene. I vescovi di corte, però, declinarono l'invito e fecero entrare dei soldati. Costanzo allora ordinò che tutti i vescovi condannassero Atanasio. Eusebio, Lucifero da Cagliari e Dionisio da Milano si rifiutarono, pertanto furono esiliati. Liberio inviò quindi un'altra lettera all'imperatore e, per tutta risposta, i suoi legati, il presbitero Eutropio ed il diacono Ilario furono esiliati, il diacono fu anche crudelmente picchiato. Inoltre, l'ariano Aussenzio fu nominato vescovo di Milano.
In seguito, il papa scrisse una lettera, nota come Quamuis sub imagine, ai vescovi esiliati, chiamandoli martiri, ed esprimendo il suo rammarico poiché lui non era stato il primo a soffrire così da poter essere di esempio per gli altri; chiese, inoltre, le loro preghiere, affinché potesse essere degno di condividere il loro esilio. Che queste non fossero semplici parole fu provato dalla condotta successiva del papa. Costanzo non era soddisfatto dalla rinnovata condanna di Atanasio da parte dei vescovi italiani, che avevano ceduto alle sue pressioni a Milano. Egli sapeva che il papa era l'unico superiore ecclesiastico del vescovo di Alessandria, e si "struggeva dal bruciante desiderio", (riporta il pagano Ammiano Marcellino) "che la sentenza fosse confermata dalla somma autorità del vescovo della città eterna". L'imperatore inviò, quindi, a Roma il suo prefetto di palazzo, l'eunuco Eusebio, un personaggio molto potente, con una lettera e dei regali. Il suo messaggio era molto semplice: "Obbedisci all'imperatore e prendi questo", ma il papa disse che non poteva condannare Atanasio per il semplice motivo che questi era stato assolto da due sinodi generali ed era stato congedato in pace dalla Chiesa romana, né, in ogni caso, si poteva condannare una persona in contumacia; tale era la tradizione che gli era stata tramandata dai suoi predecessori e da san Pietro; se l'imperatore desiderava la pace, avrebbe dovuto annullare ciò che aveva decretato contro Atanasio ed avrebbe dovuto convocare un concilio nel quale fosse preservato il Credo Niceno; i seguaci di Ario avrebbero dovuto essere espulsi e la loro eresia sottoposta ad anatema; i non ortodossi non avrebbero dovuto sedere in tale sinodo. Prima si doveva stabilire la fede, solamente dopo si sarebbero potute trattare tutte le altre questioni; inoltre Ursacio di Singiduno e Valente di Mursia, i vescovi di corte della Pannonia dovevano essere messi da parte.
L'eunuco si irritò, ed andò via coi suoi doni, che abbandonò di fronte al sepolcro di San Pietro. Liberio rimproverò severamente i guardiani di quel luogo sacro per non avere prevenuto l'inaudito sacrilegio. Gettò via i regali, cosa che irritò ancora di più l'eunuco, il quale scrisse all'imperatore che i termini del problema erano cambiati: non si trattava più di convincere Liberio a condannare Atanasio, ma di evitare di gettare formalmente l'anatema sugli ariani. Costanzo, allora, ordinò al praefectus urbi di Roma, Flavio Leonzio, di catturare Liberio segretamente o con la violenza, e di portarlo a corte. Roma fu scossa da una specie di persecuzione. Narrava Atanasio: i vescovi e le pie donne furono obbligati a nascondersi, i monaci non erano più al sicuro, gli stranieri furono espulsi, ed i cancelli ed il porto furono sorvegliati. Liberio fu portato davanti all'imperatore a Milano. Qui parlò audacemente, chiedendo a Costanzo di smettere di lottare contro Dio, e dichiarandosi pronto a recarsi immediatamente in esilio. Rifiutò di accettare le decisioni del Concilio di Tiro e di sconfessare Atanasio. L'imperatore concesse al papa tre giorni per ripensarci, e poi lo bandì a Beroea in Tracia, spedendogli cinquecento pezzi d'oro per le sue spese; ma Liberio li rifiutò dicendo che Costanzo ne avrebbe avuto bisogno per pagare i suoi soldati.
Esilio
Quando Liberio lasciò Roma, tutto il clero giurò che non avrebbe riconosciuto altro vescovo all'infuori di lui. Ma presto molti di loro accettarono come papa l'arcidiacono Felice, la cui consacrazione, officiata dal vescovo ariano Acacio di Cesarea, era stata organizzata dal vescovo di Centumcellae per ordine dell'imperatore. Il popolo di Roma, però, ignorò l'antipapa e, il 1 aprile 357, in occasione di una sua visita a Roma, Costanzo poté vedere da se stesso il fallimento del suo designato. L'imperatore, inoltre, era consapevole che non c'era alcuna giustificazione canonica per l'esilio di Liberio e l'intromissione di Felice. Egli fu anche impressionato dalle preghiere per il ritorno del papa audacemente indirizzategli dalle più nobili tra le matrone romane.
Non c'è alcun motivo per supporre che Felice fu riconosciuto da qualche vescovo fuori Roma, tranne da quelli del partito di corte e da qualche ariano estremo, e l'atteggiamento intransigente tenuto da Liberio durante il suo bando dovette fare molto danno alla causa che l'imperatore aveva a cuore. Non sorprende apprendere che Liberio tornò a Roma prima della fine del 357, e che all'estero si rumoreggiasse di una sua sottoscrizione della condanna di Atanasio e di una sua approvazione del Credo ariano. Alcuni critici, però, sostengono che la sua restaurazione avvenne nel 358, ma questo è impossibile, poiché Atanasio narrava che Liberio subì i rigori dell'esilio per due anni, ed il Gesta inter Liberium et Felicem episcopos, che costituiva la prefazione al Liber Precum di Faustino e Marcellino, riportava che tornò "nel terzo anno" di esilio.
Il motivo per cui l'imperatore fece tornare Liberio dall'esilio viene riferito in più versioni. Secondo Teodoreto di Ciro, Costanzo fu spinto dalle matrone romane a richiamare il papa , ma quando la sua lettera, che diceva che Liberio e Felice dovevano essere vescovi insieme, fu letta nel circo, i romani lo derisero, e proruppero nel grido di "Un solo Dio, un solo Cristo, un solo vescovo". Sia Tirannio Rufino che lo storico ariano Filostorgio affermavano che i romani pretesero il ritorno del loro papa, mentre Sulpicio Severo e Sozomeno riportavano di violente sedizioni a Roma. Socrate Scolastico fu più preciso, e dichiarò che i romani si sollevarono contro Felice e lo scacciarono, cosicché l'imperatore fu obbligato ad essere acquiescente.
In ogni caso, l'ariano Filostorgio riferì che Liberio si reinsediò solamente quando ebbe acconsentito a sottoscrivere la seconda formula di Sirmio, che fu elaborata, dopo l'estate del 357, dai vescovi di corte Germinio, Ursacio e Valente. Essa rifiutava i termini homoousios e homoiousios. Girolamo, nella sua Cronaca, affermava che Liberio "vinto dalla noia dell'esilio, dopo aver sottoscritto l'eresia rientrò a Roma in trionfo." Anche la prefazione al Liber Precum parlava della sua caduta nell'eresia. Atanasio, scrivendo verso la fine del 357, disse: "Liberio, dopo essere stato esiliato, tornò dopo due anni, e, per paura della morte con la quale fu minacciato, firmò" (la condanna di Atanasio stesso) (Hist. Ar., XLI). Ilario, in un'opera del 360, scriveva a Costanzo: "Io non so quale sia stata l'empietà più grande, se il suo esilio o la sua restaurazione" (Contra Const., II).
Sozomeno raccontava una storia che non trova riscontro in nessun altro scrittore. Secondo quest'ultimo, Costanzo, dopo il suo ritorno da Roma, fece convocare Liberio a Sirmio (357), e là il papa fu costretto dai capi semiariani, Basilio di Ancira, Eustazio di Sebaste, ed Eleusio, a condannare l'Homoousion ed a sottoscrivere una combinazione di tre formule: quella del concilio di Antiochia del 267 contro Paolo di Samosata (nel quale l'homoousios venne rifiutato come tendenza sabelliana), quello del sinodo di Sirmio che condannò Fotino nel 351, ed il Credo del concilio di Antiochia del 341. Queste formule non erano propriamente eretiche, e si dice che Liberio abbia preteso da Ursacio e Valente una confessione, che il Figlio è "in tutte le cose simile al Padre". Ma, questo racconto storicamente non può funzionare poiché i semiariani si unirono solo all'inizio del 358, e la loro breve influenza sull'imperatore cominciò a metà di quell'anno, inoltre, la formula "in tutte le cose come" non faceva parte della panoplia semiariana del 358, ma gli fu imposta nel 359, anno in cui l'adottarono, dichiarando che era inclusa nella loro formula speciale "come in sostanza".
Ultimi anni di pontificato
Quando Liberio tornò a Roma, i romani non potevano aver saputo che Liberio era caduto, dato che Girolamo riportava che il papa rientrò a Roma come un conquistatore. Inoltre non esistono indizi che possano portare ad una sua ammissione di cedimento. Nel 359, comunque, furono convocati simultaneamente i concili di Seleucia e di Ariminium. Al secondo, dove la maggior parte dei circa 400 vescovi presenti era ortodossa, le pressioni, i ritardi e le subdole macchinazioni del partito di corte fecero cadere in errore i vescovi e gli fecero sottoscrivere una formula semi-ariana secondo cui il Figlio, pur non essendo creato dal Padre, non era costituito dalla stessa sostanza (homoousios) del Padre. Né Felice né il papa erano presenti o inviarono legati.
Dopo il concilio, la disapprovazione di Liberio fu presto palese. Alla fine del 361, quando morì Costanzo, il papa annullò pubblicamente le decisioni di Rimini e, con l'accordo di Atanasio ed Ilario, confermò nel loro incarico i vescovi che avevano sottoscritto e successivamente ritirato la loro adesione, a condizione di provare la sincerità del loro pentimento tramite lo zelo contro gli ariani. Inoltre, firmò un decreto che vietava di ribattezzare coloro che avevano ricevuto il battesimo ariano.
Intorno al 366 Liberio ricevette una delegazione di semiariani guidata da Eustazio. Li trattò dapprima come eretici, insistendo sulla loro accettazione della formula Nicena, poi ammise alla comunione i più moderati del vecchio partito ariano. Non poteva sapere che molti di loro sarebbero risultati, in seguito, contrari sulla questione della Divinità dello Spirito Santo. Liberio morì il 24 settembre 366.
Predecessore: | Papa | Successore: | |
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papa Giulio I | 17 maggio 352 - 24 settembre 366 | papa Damaso I |
Fonti | |
Bibliografia | |
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Voci correlate | |
Collegamenti esterni | |
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