Papa Paolo V

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Paolo V
Papa
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al secolo Camillo Borghese
battezzato
ERRORE in "fase canonizz"
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Caravaggio, Ritratto di papa Paolo V (1605), olio su tela; Parigi, Museo del Luovre.
Titolo
Incarichi attuali
Età alla morte 68 anni
Nascita Roma
17 settembre 1552
Morte Roma
28 gennaio 1621
Sepoltura Roma, Basilica di Santa Maria Maggiore
Conversione
Appartenenza
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Professione religiosa [[{{{aPR}}}]]
Ordinato diacono
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Ordinazione presbiterale 20 ottobre 1577
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Nominato vescovo 4 aprile 1597 da papa Clemente VIII
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Consacrazione vescovile 27 maggio 1597 dal papa Clemente VIII
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Creazione
a Cardinale
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(vedi)
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Cardinale
5 giugno 1596 da Clemente VIII (vedi)
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Dimissioni dal cardinalato [[{{{aPdim}}}]]
Cardinale per 24 anni, 7 mesi e 23 giorni
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Nomina a pseudocardinale annullata da {{{Annullato da}}}
Riammesso da
Precedente {{{Precedente}}}
Successivo {{{Successivo}}}
Incarichi ricoperti
prima dell'elezione
Emblem of the Papacy SE.svg Informazioni sul papato
233° vescovo di Roma
Elezione
al pontificato
16 maggio 1605
Conclave del maggio 1605
Consacrazione 29 maggio 1605
Fine del
pontificato
28 gennaio 1621
(per decesso)
Durata del
pontificato
15 anni, 8 mesi e 12 giorni
Segretario {{{segretario}}}
Predecessore papa Leone XI
Successore papa Gregorio XV
Extra Papa Paolo V
Anni di pontificato


Cardinali 60 creazioni in 10 concistori
Proclamazioni Beati Santi
Antipapi {{{antipapi}}}
Eventi Nessun Giubileo indetto
Venerato da {{{venerato da}}}
Venerabile il [[{{{aV}}}]]
Beatificazione [[{{{aB}}}]]
Canonizzazione [[{{{aS}}}]]
Ricorrenza [[{{{ricorrenza}}}]]
Altre ricorrenze
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Attributi {{{attributi}}}
Devozioni particolari {{{devozioni}}}
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Incoronazione
Investitura
Predecessore
Erede
Successore
Nome completo {{{nome completo}}}
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Onorificenze
Nome templare {{{nome templare}}}
Nomi postumi
Altri titoli
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Padre {{{padre}}}
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Paolo V, al secolo Camillo Borghese (Roma, 17 settembre 1552; † Roma, 28 gennaio 1621) è stato il 133º vescovo di Roma e papa italiano dal 1605 alla sua morte.

Biografia

Le origini e la carriera ecclesiastica

Nacque a Roma dalla nobile famiglia Borghese, originaria di Siena, che si era da poco trasferita nell'Urbe. Il padre era l'avvocato concistoriale Marcantonio (1504-1574), patrizio senese, e la madre era la nobile romana Flaminia Astalli. Marcantonio aveva trasferito la famiglia a Roma legando le sue fortune a quelle della Curia pontificia. Preparò i due figli maggiori, Camillo ed Orazio, ad intraprendere carriere di alto livello destinando loro tutte le proprie risorse.

Studiò diritto canonico a Perugia e Padova; svolse l'attività di avvocato canonista finché non scelse la carriera ecclesiastica, nella quale ottenne successo in breve tempo. Nel 1588 fu vice-legato a Bologna. Nel giugno 1596 venne nominato cardinale da Papa Clemente VIII, per il quale era stato diplomatico nel 1593 presso la corte spagnola di Filippo II; divenne Vicario di Roma nel 1603. Non si legò ad alcuna fazione politica, dedicandosi invece allo studio del diritto.

Il conclave

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Conclave del maggio 1605

Il 27 aprile 1605, alla morte di Leone XI, che era stato papa solo per 26 giorni, si aprì un conclave che, come spesso avveniva, fu tormentato dai diversi interessi delle nazioni cattoliche, cioè Francia, Austria e Spagna. Dopo otto giorni e il veto di Filippo III di Spagna nei confronti dei cardinali Cesare Baronio e San Roberto Bellarmino, considerati intransigenti e a lui avversi, il 16 maggio ci si accordò sul cardinale Borghese. La sua neutralità e la distanza dalle varie fazioni lo resero un ideale candidato di compromesso. Il suo carattere era severo e poco incline ai compromessi (un avvocato più che un diplomatico) e difese i diritti della Chiesa con tutte le sue forze. Il suo primo atto fu quello di rimandare nelle loro diocesi i vescovi che soggiornavano a Roma, poiché il Concilio di Trento aveva ribadito che ogni vescovo doveva risiedere nella propria diocesi.

Composizione del conclave

Il pontificato

La sua profonda cultura giuridica, unita al carattere intransigente, causò subito contrasti con alcuni principati italiani e con la Francia. Impose infatti a Enrico IV di Francia l'accettazione delle norme del Concilio di Trento, censurò i duchi di Parma e di Savoia, obbligò inoltre le Repubbliche di Genova e di Lucca ad abrogare dei provvedimenti ortodossi, ma spettanti, secondo lui, solamente alla suprema autorità pontificia.

Quindi cominciò ad attaccare la Repubblica di Venezia, intimando al Patriarca, Francesco Vendramin, di presentarsi a Roma per farsi esaminare; inoltre protestò, come aveva fatto il suo predecessore Clemente VIII, per una legge della Serenissima che obbligava tutti i navigli pontifici a passare per Venezia. La situazione si aggravò quando Venezia si rifiutò di concedere l'estradizione a due canonici, Scipione Saraceni e il Conte Marcantonio Brandolin (abate di Nervesa), il primo accusato di reati comuni, il secondo di omicidi, stupri e altre violenze. Il Papa chiese che i due fossero estradati a Roma, in quanto religiosi, per essere sottoposti al tribunale ecclesiastico; inoltre chiese l'abrogazione di due leggi, con le quali il Senato aveva vietato la costruzione di luoghi di culto senza esplicita autorizzazione del potere civile e aveva subordinato al proprio consenso l'alienazione di beni immobili ecclesiastici (lo aveva fatto per evitare la presenza di troppi beni immobili religiosi all'interno del suo territorio). Venezia, attraverso l'ambasciatore Agostino Nani, si oppose, poiché affermava che i Veneziani non erano tenuti a rendere conto dei loro atti se non a Dio, che per il Senato Veneziano era l'unico superiore al Doge nelle cose temporali; quindi la minaccia di scomunica, con cui aveva superato le rimostranze di molti altri stati europei, non aveva funzionato con Venezia.

A dicembre inviò a Venezia due Brevi Apostolici, che dichiaravano nulli quei due provvedimenti e pretese la loro abrogazione, sperando di sortire un effetto intimidatorio in quella parte del Senato Veneziano, i cosiddetti "giovani", che gli erano ostili. La posizione veneziana venne difesa da un abile teologo, Paolo Sarpi, religioso servita, che venne nominato il 28 gennaio come consultore in iure, ossia teologo e canonista della Repubblica, che estese la questione ai principi generali, definendo sfere separate per potere secolare e potere ecclesiastico.

Dopo l'elezione di un "giovane" come nuovo doge, Leonardo Donà, papa Paolo inviò un altro Breve che esigeva la revoca di un'altra legge, quella che aboliva il diritto di prelazione degli ecclesiastici sui beni enfiteutici, quindi il 17 aprile 1606 diede lettura in concistoro di un monitorio, un vero e proprio ultimatum, con il quale minacciava di scomunicare il Senato Veneziano e di interdire tutto il territorio della Serenissima, se i due prigionieri non fossero stati consegnati e le tre leggi non fossero state abrogate. Ma la Repubblica, che aveva già ricevuto molte scomuniche durante la sua storia, rispose esponendo sui portali della Basilica di San Pietro a Roma il famoso Protesto, un documento nel quale l'ultimatum papale veniva dichiarato nullo e privo di valore perché contrario alle Sacre Scritture, ai sacri canoni e ai Padri della Chiesa e si pregava Dio affinché persuadesse il Papa a riconoscerne l'inutilità e il male operato contro la Repubblica; più dure furono le parole del doge contro il nunzio apostolico di Venezia, al quale disse: "la vostra scomunica non stimiamo per nulla, come cosa senza valore." Il Protesto fu divulgato a tutte le autorità ecclesiastiche dello Stato Veneziano, decretando che, stante l'invalidità del documento, la vita religiosa doveva proseguire come al solito.

Nel Protesto i teologi veneziani sostenevano che il potere spirituale e quello temporale (entrambi istituiti da Dio) erano considerati indipendenti: il primo era stato affidato agli apostoli e ai loro successori (quindi il potere papale), mentre il secondo era stato consegnato ai principi, ai quali anche gli ecclesiastici dovevano obbedienza in quanto sudditi, quindi ogni intromissione papale era considerata nulla. Il Papa e i suoi teologi, invece, si rifacevano alle dottrine medioevali sull'origine divina di ogni potere e sulla supremazia assoluta del potere spirituale su quello temporale, delegabile, ma quindi anche revocabile, dal Papa stesso; inoltre affermavano che ogni ingerenza del potere politico sul clero era ingiusta, in quanto tutti i politici dovevano obbedire al Papa, senza poter ribattere alle sue decisioni, in quanto il giudizio sugli atti del Papa spetta solamente a Dio.

Tutti i cittadini della Repubblica continuarono ad andare regolarmente a Messa; visto che fu dato l'ordine al clero veneziano di non fare menzione della scomunica, tutto il clero si schierò con il Senato e il governo della città, a eccezione dei Gesuiti, dei Teatini e dei Cappuccini; i primi furono espulsi a forza dal Senato, in quanto volevano obbedire alle disposizione del Papa pur restando nei territori di Venezia (fu necessario anche porre per loro una scorta armata per difenderli dalla violenza del popolo), i secondi e i terzi se ne andarono di loro spontanea scelta. Le Messe continuarono a essere celebrate e la festa del Corpus Christi venne svolta con magnificenza, per dare mortificazione al Papa.

Nel giro di un anno (marzo 1607) il disaccordo venne mediato da Francia e Spagna poiché si stava rischiando una guerra europea, con Francia, Inghilterra e Turchi che si sarebbero schierati con Venezia in caso di un attacco spagnolo e austriaco contro i domini del Golfo, che era di certo ben visto dal Papa. Il primo a muoversi fu Filippo III di Spagna, che inviò a Venezia un ambasciatore straordinario che trovò favorevole lo stesso doge, ma che fallì a causa dell'intransigente opposizione di una parte del Senato. Quindi si fece avanti Enrico IV Francia, che attraverso il cardinale di Joyeuse negoziò un compromesso, al quale intervento la Spagna non si oppose. Il 21 aprile 1607 la Repubblica di Venezia consegnò i due canonici all'ambasciatore di Francia (con esplicita dichiarazione che lo si faceva per un atto di riguardo verso Enrico IV, senza alcun pregiudizio del diritto della Repubblica di giudicare anche gli ecclesiastici), il quale li inviò al cardinale François de Joyeuse, che a sua volta li consegnò alle autorità papali.

A quel punto il cardinale si presentò al Collegio (magistratura Veneziana), comunicando che l'interdetto era stato revocato e tutte le censure ecclesiastiche erano state tolte; il doge, a sua volta, comunicò la revoca del Protesto, ma non abrogò le tre leggi contestate che furono sospese temporaneamente. La Repubblica quindi riammise i Teatini e i Cappuccini, ma non i Gesuiti (furono minacciate severe pene a chi avesse fatto educare i figli da loro fuori dallo Stato) e si rifiutò di assegnare la pingue rendite dell'abbazia di Santa Maria della Vangadizza nel Polesine al cardinale e nipote del papa Scipione Caffarelli-Borghese; condannò inoltre a morte un ecclesiastico patrizio, l'abate Marcantonio Corner, colpevole del ratto a mano armata della moglie di un mercante.

Le difficoltà di intesa si ebbero anche a livello internazionale con l'Inghilterra. Paolo V scrisse una lettera il 9 luglio 1606, per congratularsi con Giacomo I d'Inghilterra per la sua ascesa al trono (il re infatti era cattolico); tuttavia il riferimento al "Complotto della polvere da sparo", ordito contro la vita del monarca e di tutti i membri del Parlamento nel novembre precedente, fu infelice, poiché gli inglesi ritenevano che vi fossero stati coinvolti agenti del papato, in quanto i cospiratori erano anch'essi cattolici. Paolo V pregò Giacomo I di non far soffrire i cattolici innocenti, per il crimine di pochi. Promise di esortare tutti i cattolici del reame a sottomettersi al loro sovrano, in tutte le questioni che non si opponevano all'onore di Dio. Poco dopo però il re inglese pretese un giuramento di fedeltà da tutti i suoi sudditi e in questo giuramento si anteponeva l'interesse del re a qualsiasi altro dovere. Tale giuramento non poteva essere richiesto quindi a un cattolico e infatti Paolo V lo condannò solennemente in una nota pubblicata poche settimane dopo (22 settembre 1606, ed estesa il 23 agosto 1607). Questa condanna comportò la divisione dei cattolici inglesi. Altro elemento di disturbo nelle relazioni con l'Inghilterra fu la lettera del cardinale Roberto Bellarmino all'arciprete inglese Blackwell, che lo rimproverava per aver prestato il giuramento di fedeltà in apparente spregio dei suoi doveri nei confronti del Papa. La lettera ricevette sufficiente diffusione da venire citata in uno dei saggi teologici di Giacomo I (1608) e Bellarmino si trovò a duellare in uno scambio di pamphlet con il Re d'Inghilterra.

Gian Lorenzo Bernini, Ritratto di papa Paolo V (1622-1623), marmo; Roma, Galleria Borghese

La congregazione de Auxiliis divinae gratiae, istituita, dieci anni prima dal suo predecessore Clemente VIII, aveva tentato di comporre la disputa teologica tra gesuiti e domenicani sul il De liberi arbitrii cum gratiae donis, divina praescientia, praedestinatione et reprobatione concordia, lavoro di padre Luis de Molina, S.J. ritenuto dai teologi domenicani eretico. Paolo V ne seguì i lavori assistendo personalmente a diciassette dibattiti. Resosi conto che non si sarebbe giunti a una ricomposizione tra le due tesi espresse, il pontefice decise, sembra anche grazie ai consigli del suo teologo san Francesco di Sales, di permettere sia ai gesuiti sia ai domenicani di mantenere le proprie convinzioni sul libero arbitrio. Il decreto del papa comunicato ai due ordini reca la data del 5 settembre 1607, esso permetteva ai due Ordini di difendere la propria dottrina e ingiungeva di non censurare o condannare l'opinione opposta e comandava loro di attendere, come figli leali della Chiesa, la decisione finale della Sede Apostolica. Tale decisione, tuttavia, non fu raggiunta, e le due congregazioni, di conseguenza, poterono mantenere le loro rispettive teorie, proprio come qualsiasi altra opinione teologica.

Paolo V si incontrò con Galileo Galilei nel 1616, dopo che il cardinale Bellarmino aveva, dietro suo ordine, avvertito Galileo di non sostenere o difendere le idee eliocentriche di Nicolò Copernico fino all'avvenuta dimostrazione, invitandolo inoltre a esporre la sua teoria solo come ipotesi matematica. Che ci fosse stato o meno anche l'ordine di non insegnare tali teorie, è oggetto di discussione.

A Roma il Papa finanziò il completamento della Basilica di San Pietro e migliorò la Biblioteca Apostolica Vaticana; fondò l' Archivio Segreto Vaticano.

Incoraggiò sempre il pittore Guido Reni e dichiarò la sua profonda ammirazione anche per le opere di Caravaggio. Canonizzò San Carlo Borromeo (1º novembre 1610) e San Francesco di Roma. Beatificò diverse personalità, tra le quali Sant'Ignazio di Loyola, San Filippo Neri, Santa Teresa d'Avila e San Francesco Saverio. Come molti altri Papi, fu criticato per il nepotismo e suo nipote, il cardinale Scipione Borghese, acquistò enorme potere, consolidando l'ascesa della famiglia Borghese.

La morte

Si spense il 28 gennaio 1621; la sua tomba si trova nella cappella Paolina della Basilica di Santa Maria Maggiore di Roma.

A Paolo V successe Gregorio XV.

Curiosità

Cardinali creati da Paolo V

Onorificenze

Gran Maestro dell'Ordine Supremo del Cristo - nastrino per uniforme ordinaria Gran Maestro dell'Ordine Supremo del Cristo

Genealogia episcopale

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Genealogia episcopale

Successione degli incarichi

Predecessore: Cardinale presbitero di Sant'Eusebio Successore: Kardinalcoa.png
Giulio Canani sino al 1591
Sede Vacante (1591-1596)
1596 - 1599 Arnaud d'Ossat I
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con
con
Giulio Canani sino al 1591
Sede Vacante (1591-1596)
{{{data}}} Arnaud d'Ossat
Predecessore: Vescovo di Jesi Successore: Bishopcoa.png
? 1597 - 1599 ? I
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con
con
? {{{data}}} ?
Predecessore: Cardinale presbitero dei Santi Giovanni e Paolo Successore: Kardinalcoa.png
Agostino Cubani 1599 - 1602 Ottavio Acquaviva d'Aragona, Sr. I
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con
con
Agostino Cubani {{{data}}} Ottavio Acquaviva d'Aragona, Sr.
Predecessore: Cardinale presbitero di San Crisogono Successore: Kardinalcoa.png
Domenico Pinelli 1602 - 1605 Carlo Conti di Poli I
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con
con
Domenico Pinelli {{{data}}} Carlo Conti di Poli
Predecessore: Segretario della Congregazione della Romana e Universale Inquisizione Successore: Emblem Holy See.svg
Giulio Antonio Santori 9 giugno 1603-16 maggio 1605 Pompeo Arrigoni I
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con
con
Giulio Antonio Santori {{{data}}} Pompeo Arrigoni
Predecessore: Vicario Generale di Sua Santità per la Città di Roma e Distretto Successore: Berretta cardinalizia.png
Girolamo Rusticucci 9 giugno 1603-16 maggio 1605 Girolamo Pamphili I
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con
Girolamo Rusticucci {{{data}}} Girolamo Pamphili
Predecessore: Papa Successore: Emblem of the Papacy SE.svg
Papa Leone XI 16 maggio 1605 - 28 gennaio 1621 Papa Gregorio XV I
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con
con
Papa Leone XI {{{data}}} Papa Gregorio XV
Note
  1. Cardinale dimissionario. Il 10 novembre 1642 rinunciò alla diaconia di Santa Maria in Via Lata e si sposò con la principessa Maria di Savoia, sua nipote
  2. Il Papa accettò la sua rinuncia al cardinalato il 16 novembre 1615. Si sposò per evitare l'estinzione della sua famiglia dopo la morte del padre, del fratello e del nipote
  3. Il 5 settembre 1616 fu privato del cardinalato per essersi sposato
  4. pubblicato il 9 aprile 1616
Bibliografia
  • Giacomo I, De Triplici Nodo, Triplex Cuneus, (il suo pamphlet anonimo incoraggiante la lealtà alla corona, accompagnato dalle lettere di Paolo V sull'opinione della Chiesa cattolica riguardo al giuramento di fedeltà e la risposta di Giacomo a queste).
  • Stephen A. Coston, King James VI & I and Papal Opposition, 1998.
  • Volker Reinhardt, Enciclopedia dei Papi, III, Roma, 2000, pp.277-292.
Voci correlate
Collegamenti esterni